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Dal Riformista un articolo di Mario Rodriguez sulla comunicazione politica di Berlusconi

17/02/2004

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Per molti anni avere dubbi sulla capacità di comunicazione di Re Media pareva da un lato azzardato e dall'altro velleitario. Difficile criticare Berlusconi sul campo della comunicazione visto che vince e visto che gli sconfitti continuano ad attribuire proprio alla comunicazione la loro sconfitta. Oggi che i consensi sembrano diminuire si può forse avanzare qualche timida critica al modo di "comunicare comportandosi" e "comportarsi comunicando" del Presidente del Consiglio. Temo però che i più duri a convincersi non saranno tanto gli uomini del Presidente ma proprio gli avversari i quali dovrebbero riconoscere che la loro sconfitta, soprattutto quella recente, non è avvenuta tanto sul campo della comunicazione quanto su quello della politica. Non sul campo della pubblicità ma su quello del prodotto.Berlusconi, dieci anni dopo, ha perso smalto e non ha saputo rinnovare la sua proposta, non riesce ad adeguarla ad un'Italia che appare diversa anche nei suoi valori emergenti. La convention del decennale non ha avuto l'impatto di altri eventi mediatici. Certo dieci anni fa era tutto più facile. Portare la cultura delle convention aziendali, dei Milan club, di Mediolanum e di Publitalia, nella liturgia della politica italiana era già di per sé un atto coraggioso e innovativo. Oggi non è più così. Non basta più. Non solo Berlusconi non è riuscito a tenere il passo con le aspettative che proprio lui aveva creato ma, anzi, è tornato indietro: l'evento del decennale assomiglia troppo a quanto le altre forze politiche sanno offrire, oggi. La capacità distintiva è diminuita. Berlusconi fa il verso a se stesso si accontenta di piacere ai già convinti. E questo è molto evidente nel linguaggio: il racconto in terza persona del De bello italico non lascia dubbi.Però nel rivolgersi ai suoi, Berlusconi li esalta e li motiva molto di più di quanto non riesca a fare lo schieramento opposto. Questo è il vero vantaggio di capacità comunicativa. Tanto che i più convinti che Berlusconi sia più forte sono ancora gli elettori dell'Ulivo.Ma la scelta di soddisfare i già convinti è una scelta strategica, cruciale. Il percorso del triennio elettorale 2004 2006, aperto con la convention del decennale, sembra voler perseguire chiaramente due obiettivi: l'allarme che il nemico è sempre alle porte, (la vittoria dei comunisti, ex, post o amici che siano); la deificazione del leader (con lo Spirito Santo che don Gianni fa muovere sulla sua testa nonostante le smentite della CEI). E qui, lo dico modestamente, con tutte le precauzioni necessarie, non avendo prove o evidenze, emerge il limite maggiore della proposta berlusconiana. La sua forza e il suo limite.Un uomo di marketing include, amplia il proprio mercato, non sbatte la porta in faccia a chi potrebbe entrare nel suo negozio a fare acquisti. Gli uomini Mediaset gioiscono nel constatare che molta della loro audience è ulivista, si gongolano quando ne conquistano uno in più. Un uomo politico cerca il consenso anche nella parte opposta e, soprattutto, dopo una vittoria non concede all'avversario spazi per mantenere alto il livello dello scontro e quindi il desiderio di rivalsa. L'allargamento del consenso è connaturato all'azione politica. Soprattutto in sistemi elettorali maggioritari nei quali si vince conquistando gli elettori marginali di centro e non esaltando i già convinti. Su questo argomento marketing e politica convergono.Invece Berlusconi pensando che quello che ha funzionato dieci anni fa possa funzionare ancora oggi si ripropone (narrandosi in terza persona) come gladiatore della libertà. Ma lo spazio competitivo è cambiato e il paese gli chiede di essere più timoniere che guerriero, finita la fase di movimento c'è l'istituzionalizzazione potrebbe spiegare Alberoni. I valori centrati sull'individuo contrapposto alla socialità sono stati fortemente scossi dall'incremento delle preoccupazioni indotte sia dal nuovo terrorismo internazionale sia dalla crisi economica e soprattutto dalla fine delle certezze del vecchi welfare (criticate e criticabili ma pur sempre certezze). Certo è più difficile ma per consolidare il mercato bisogna adeguare il prodotto.Sono convinto che un Berlusconi che adottasse una linea politica e comunicativa più vicina a Follini o Casini, ma anche a Fini, allargherebbe il proprio consenso e farebbe molta più paura alla sinistra. Ma alle proposte connaturate a culture politiche forti egli preferisce o subisce le pressioni di esaltatore di differenziazioni come Bossi.Capisco che può sembrare rischioso affermarlo, ma Berlusconi crede più alla propaganda che alla comunicazione. Egli fa propaganda cioè veicola verità senza appello non si propone di comprendere le ragioni dell'interlocutore, non lo ritiene un pari, non vuole costruire relazioni durature, vuole che gli si dia ragione. Perciò non si capacita che una parte del paese non sia d'accordo con lui. E per spiegare il fenomeno ricorre al complotto della stampa o alle menzogne dei comunisti.
Addirittura afferma che non è riuscito a comunicare tutto il bene che ha già fatto al paese. Proprio da Re Media non ci si sarebbe aspettati che dicesse la stessa frase di tutti i primi ministri che lo hanno preceduto, Amato, Prodi, D'Alema: non ci hanno capito, non siamo stati capaci di comunicare.
Ma come, proprio Re Media dice questo? Davvero può pensare che sia una questione di volume o di ripetizione dei concetti? Non sarà invece che ciò che si afferma non basta, che le persone vivono e conoscono vivendo, quotidianamente, la propria esperienza. I grandi messaggi mediati vengono comunque filtrati dall'esperienza personale ed i significati sono negoziazioni nelle quali il ruolo del ricevente è determinante. Non si può apparire ciò che si vuole, ciò che appariamo (la maledetta immagine) è sem­pre fuori di noi, nella mente del ricevente. Possiamo interagire ma non possiamo determinarla. La differenza non è solo terminolo­gica, ma influisce in modo determinante sui comportamenti.
Il primo Berlusconi ha saputo muovere decine di milioni di elettori. Bisogna riconoscergli la capacità di aver creato in pochi mesi il primo partito italiano certo, con il sostegno di un'eccezionale copertura mediatica, ma anche con la piena consapevolezza di quello che rappresenta la comunicazione nell'era della tv. Il Presidente del Consiglio ha tutto il diritto di rivendicare un evento che nella storia italiana e forse nella storia politica ha dell'eccezionale.
Il secondo Berlusconi non muove più grandi numeri di elettori. Il decennio inizia con un rapporto di forza in stallo: Forza Italia è il primo partito ma il Paese è spaccato in due e la frattura che passa tra il 48 e il 52 per cento appare una frattura antica. Gli esiti del voto sono stati diversi dal passato solo perché le regole del gioco e gli attori in gioco sono diversi, ma nella sostanza gli schieramenti di centro destra e di centro sinistra sembrano abbastanza stabili almeno da dopo il ‘76. E questo nonostante un turn over di lettori considerevole a conferma che il voto italiano è soprattutto ascrittivi.
Berlusconi non ha saputo, nonostante il suo strapotere mediatico ed economico, far saltare questo confine. E addirittura pare che proprio stando al Governo i suoi consensi comincino a diminuire.
E, non dimentichiamolo, Berlusconi può gestire la partita della permanent campaign oltre che con il suo potere mediatico mettendo sul tavolo da gioco un chip di decine di migliaia di euro: un mezzo formidabile per tener sotto scacco i propri alleati che sanno benissimo che non starebbero mai insieme senza il cemento economico di Arcore.
Ma allora questo potere mediatico dove si esercita? Non è che il problema sia la politica, cioè il prodotto, le prestazioni?
Berlusconi più di molti suoi sostenitori (ma meno di molti suoi avversari) sembra invece convinto che il proprio successo sia dovuto alla comunicazione e alla tv piuttosto che alla politica. Per questo qualcuno teme legittimamente una sua deriva populistico mediatica, soprattutto se fortemente indebolito e reso insicuro dalla crisi dell'alleanza che lo sostiene. Facendo il lifting dimostra di non aver metabolizzato ancora la differenza tra look e comunicazione. È schiavo di quell'immagine mediata dalla tv che ha segnato il suo enorme successo. È vero, facendo così rimane su un terreno completamente diverso da tutti gli altri politici italiani. E in questo conferma la sua grande capacità di rimanere se stesso, di non accettare le convenzioni della politica e potersi credibilmente proporre come qualcosa di estraneo ad essa anche facendo il Premier e il leader del partito di maggioranza. Ma l'estraneità alla politica potrebbe essere anche il suo punto debole. Soprattutto in quella mancanza di una prospettiva di lungo periodo (che va oltre il leader, la sua durata fisica e personale) che è parte costitutiva di ogni visione politica che deve per sua natura contenere anche un po' di utopia.La pubblicità non inventa i prodotti, come la propaganda non crea i movimenti politici. La comunicazione sì perché sviluppa reti di relazioni.
Mario Rodriguez
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