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Etica e impresa: un'intervista di PuntoCom a Toni Muzi Falconi

08/11/2004
Da .COM di sabato 30 ottobre 2004Una classe dirigente inconsapevoleUn'eccessiva ricerca della visibilità e una scarsa attenzione al rapporto con i consumatoridi Giuliano LescaDopo anni di crisi finanziarie cha hanno minato i profitti e la credibilità del mondo dell'impresa, le pubbliche relazioni rappresentano uno strumento essenziale per il recupero di un contatto efficace nei confronti del pubblico e delle istituzioni.Ma una comunicazione che aspiri a riformulare se stessa attorno ai valori dell'etica e della trasparenza, è chiamata necessariamente a ridefinire il proprio statuto e le proprie metodologie: in primis, riguardo all'approccio con l'altro.Ad un anno dal primo World Public Relations Festival, tenutosi a Roma ed incentrato proprio sul tema dell'etica, ed in vista della seconda edizione che nel giugno 2005 affronterà la questione delle diversità nella comunicazione, si possono tracciare bilanci e formulare previsioni sul futuro del settore. Con un occhio particolare alla situazione italiana, crocevia di ritardi e aspettative che disegnano uno scenario comunque in evoluzione. Ne discutiamo con Toni Muzi Falconi, coordinatore dei due Festival, oltre che promotore e presidente della "Global Alliance" ed ex presidente della Ferpi.Negli ultimi anni, dopo la grave crisi di credibilità subita dal mondo dell'impresa, lei è stato uno dei più convinti promotori della nascita di un protocollo etico internazionale per gli operatori della comunicazione. Ad un anno dalla sua elaborazione, cosa è cambiato?Una decina di associazioni di relatori pubblici di altrettanti Paesi, primo il Porto Rico seguito a ruota dall'Italia, hanno ratificato il protocollo della Global Alliance approvato a Roma nel 2003 e adattato i propri codici e altre 50 associazioni dovranno farlo entro la fine del 2005. Questo è sicuramente un cambiamento importante. Soprattutto, è cambiato lo spirito con cui quell'adozione si è verificata: basato molto di più sulla discussione, la condivisione e la formazione permanente dei professionisti, sui casi concreti che non sul controllo formale del suo rispetto. Tenga anche conto che il protocollo è entrato in tutte le università come materia di studio e molte sono le tesi di laurea sul tema. Insomma l'etica non è più un optional, ma parte integrante e quotidiana dell'esercizio professionale. Certo, non per tutti, ma il mercato comincia a capire e noi dobbiamo fare di tutto per convincerlo.Molti sono ancora convinti che etica e impresa non vadano d'accordo. È opinione diffusa che i profitti crescano dove i diritti e le regole vengono meno. In sostanza, quale interesse ha l'azienda a mostrarsi per quello che è?È vero quello che lei dice se parliamo di organizzazioni (non solo imprese ma anche amministrazioni pubbliche e organizzazioni sociali) che si propongono di raggiungere obiettivi a breve e sentono poco la necessità di una legittimazione sociale al proprio agire. Per capirci, un sveltina…e via. Non è invece vero per le organizzazioni che intendono vivere e crescere nel mercato del tempo. Per questo valgono i comportamenti concreti. Sono le organizzazioni di cui i giornali non parlano quasi mai perché le conseguenze che producono sugli altri non destano scandalo e riprovazione. Sono organizzazioni rispettose nel mondo ma che non inseguono la visibilità quotidiana. Sono quelle che fanno delle relazioni con i pubblici influenti una ragione di esistenza.Secondo una recente ricerca del Grey Global Group, la distanza percepita dagli operatori dell'informazione verso il mondo aziendale è ancora forte. Cosa deve cambiare nel rapporto tra media e imprese perché ciascuno operi efficientemente, nel rispetto del ruolo dell'altro?I giornalisti svolgano con efficacia il loro compito di cani da guardia dei comportamenti delle imprese senza guardare in faccia amici, parenti degli amici, azionisti e amici degli azionisti. I relatori pubblici e le organizzazioni per cui lavorano considerino i giornalisti uno, e neppure il più importante, dei loro pubblici influenti e si sforzino di sviluppare con questi relazioni bilaterali e tendenzialmente simmetriche senza pretendere di avere ragione e di dire l'ultima parola, magari minacciando ritorsioni di vario genere.Il clima internazionale, seppure in forme contraddittorie, pare spingere all'incontro e al confronto con l' "altro". E il prossimo Festival internazionale delle PR, previsto per il giugno 2005 a Trieste, sarà incentrato non a caso sul concetto di diversità, intesa come valore in sé. Cosa significa, oggi, promuovere la diversità nella comunicazione?La forma più efficace di comunicazione non è all'altro, ma con l'altro. Ogni persona è diversa dall'altro e il dialogo fra identità diverse, meglio se forti e convinte, è il modo migliore per raggiungere gli obiettivi  che una organizzazione intende raggiungere.Come si può coniugare l'aspirazione ad un codice etico planetario con la realtà di un approccio individuale e segmentato, tanto storicamente quanto geograficamente, quale è quello promosso dal Festival?Molto nel mondo, in ogni continente e anche da noi in Italia, lavorano da anni intorno ad una teoria globale delle relazioni pubbliche che si basa su pochissimi principi generali globali, e tante applicazioni specifiche locali che tengono conto prioritariamente delle aspettative degli altri. Ricercatori, professionisti e docenti lavorano insieme con la Global Alliance per lo sviluppo di un corpo di conoscenze condiviso.Lei, in virtù delle cariche che ricopre, gode di una prospettiva privilegiata sulla situazione internazionale. Come giudica la posizione del mondo produttivo italiano rispetto a questi temi?L'aspetto più fragile del nostro Paese è la diffusa inconsapevolezza della nostra classe dirigente rispetto a quello che succede nel mondo. Ma questa è una responsabilità mia e dei miei colleghi che facciamo troppo poco non solo per essere informati ma per affermare le stesse cose che ci diciamo tra noi e che diamo per scontate. Sono certamente, come dice lei, un privilegiato, ma non sufficientemente convincente e intenso nel dialogo con gli altri perché si rendano consapevoli. Del resto, non possiamo certo dire che la situazione internazionale di oggi rappresenti uno stimolo al dialogo.Esiste un grado sufficiente di consapevolezza circa l'importanza di cambiare, di aprirsi all'esterno?In linea generale nella nostra classe dirigente esiste una eccessiva attenzione al sistema dei media e una pervasiva e perversa ricerca della visibilità costi quel che costi, fine a se stessa. Soprattutto si nota una scarsa attenzione alle relazioni con i pubblici influenti in funzione di obiettivi specifici. Ne soffre terribilmente l'efficacia stessa del nostro lavoro.
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