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Fare rete per competere

09/05/2012

Le PMI rappresentano la trama del tessuto imprenditoriale italiano. Per queste realtà, "fare rete" può rappresentare il segreto del successo. Lo afferma _Giampietro Vecchiato_ mettendo in evidenza il ruolo strategico delle Rp in questo processo.

di Giampietro Vecchiato
Le piccole e medie imprese occupano oltre l’80% della forza lavoro del paese e rappresentano il 75% del Pil. Questi dati sottolineano l’importanza che le PMI hanno in Italia ed è proprio il loro peso (unito alla necessità di individuare uno strumento che permettesse loro di rafforzare la propria posizione sui mercati nazionali ed internazionali e di superare la difficile congiuntura economica) che ha spinto l’UE prima e l’Italia poi, a mettere a punto strumenti legislativi ad hoc. Per attuare lo Small Business Act della Commissione Europea e favorire la partnership tra piccoli imprenditori il Governo italiano ha introdotto il Contratto di rete. Il provvedimento vuole rispondere alla sollecitazione dell’UE: “Le PMI al primo posto” considerato anche che l’98,1% delle imprese ha meno di 20 addetti. Una sollecitazione alla quale l’Italia risponde con una ricetta puntuale: fare rete per crescere.
In un mondo sempre più complesso e ipercompetitivo, ma anche sempre più connesso e dove le barriere fisiche non rappresentano più un ostacolo, la cooperazione tra imprese può diventare un fattore di successo. Dopo il “fare sinergia” (negli anni novanta) e il “fare sistema” (nel primo decennio del duemila), la parola d’ordine di questi anni è “fare rete”. Fare rete sembra diventata la panacea di tutti i mali; la soluzione magica per superare ogni situazione di crisi. A cosa è dovuto il fascino di questa parola? Al fatto che “fare rete” sembra aiutare le imprese a coniugare gli estremi: autonomia e coordinamento; stabilità e flessibilità; cooperazione e competizione. I contratti di rete (istituiti con la legge 9 aprile 2009, n. 33 e integrata con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) sono anche un tentativo per compensare le ridotte dimensioni delle PMI italiane, senza far rinunciare al valore dell’autonomia e dell’indipendenza, considerati valori fondanti del sistema produttivo italiano. Chiariamo subito – afferma Roberto Saliola di ManagerItalia – come il contratto di rete sia differente dal raggruppamento temporaneo d’impresa (ATI) e dal Consorzio.
Il “contratto di rete” viene definito come “il contratto mediante il quale più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”. Notevoli sono i vantaggi del contratto di rete. In primis, le agevolazioni di natura fiscale riconosciute a ogni impresa che partecipa al contratto di rete (detassazione degli utili destinati al fondo comune). Non mancano, soprattutto a livello regionale (vedi Veneto e Piemonte in particolare), agevolazioni finanziarie finalizzate alla creazione di partnership e reti più forti. Il contratto di rete aumenta il rating di ogni singola impresa partecipante grazie al così detto “rating di rete”. In altre parole gli istituti finanziari, nel valutare il merito creditizio, valutano anche le potenzialità economiche-finanziarie della rete di cui la singola impresa fa parte.
Nel nostro Paese, il primo contratto di rete è stato firmato a marzo 2010. A fine dicembre 2011 sono stati siglati 215 contratti con il coinvolgimento di circa 1.100 imprese.
Il panorama italiano, almeno fino agli anni duemila, ha visto nei distretti il modello vincente. La globalizzazione e la crisi di questi ultimi anni hanno determinato un’accelerazione nella ricerca di nuovi e più avanzati modelli che permettessero di essere più forti (anche in questo caso “l’unione fa la forza”) senza perdere la propria libertà d’impresa. La rete – o meglio il “contratto di rete” – consente ad aziende diverse (per dimensione, storia, ambito, localizzazione, ecc.) di aggregarsi per competere con efficacia e cercare uno sbocco per uscire dalla crisi e dallo stallo finanziario nel quale ci troviamo. Passare dal “contratto” all’azione non è comunque facile. Perché sia profittevole i componenti della rete devono condividere gli obiettivi; individuare una governance efficace; creare valore, non solo economico, per i singoli e la rete; monitorare e misurare i risultati. Fare rete richiede, in altre parole, un forte impegno da parte dei singoli, non solo di tipo finanziario.
Fare rete: fattori critici di successo. I risultati di una ricerca condotta da Veneto Responsabile
Nel libro edito a cura di Veneto Responsabile, Partnership, comunità e sviluppo locale, Claudio Gramaglia si chiede “La valutazione delle partnership è un male necessario?”. La sua risposta è: “Sì, la valutazione è un male necessario”. Necessario perché consente di capire che cosa ha funzionato e, soprattutto, che cosa “non” ha funzionato o si poteva fare meglio. Nella ricerca sono state analizzate otto partnership nelle quattro dimensioni che ne caratterizzano il ciclo di vita: le basi di partenza, la creazione, la gestione e la valutazione.
Nel primo aspetto, le basi della partnership, risultano importanti i criteri stabiliti per entrare nel network e la conoscenza reciproca dei partner (elemento fondamentale per costruire la fiducia). La criticità riguardano invece la rilevanza assegnata alla partnership (dove i singoli attori sembrano sottovalutare gli obiettivi di lungo termine) e la valutazione dei rischi (che sembra essere rivolta più alla valutazione degli aspetti relazionali e di costruzione della fiducia, che sui reali rischi economici).
Nel secondo aspetto, la costruzione della rete, l’ impegno dei singoli viene definito e condiviso. Anche gli obiettivi vengono definiti ma in modo generico e poco misurabili. Sono analizzati con superficialità tre aspetti che necessiterebbero invece di una grande attenzione: la definizione dei ruoli e delle responsabilità; le procedure di gestione e la valutazione (sia del progetto che della collaborazione tra i diversi attori).
Nel terzo aspetto, la gestione della partnership, risultano curati e seguiti gli aspetti legati all’ operatività e alla gestione quotidiana della partnership. Risultano invece sottovalutati gli aspetti legati alla comunicazione (sia interna che esterna e negli aspetti di continuità, trasparenza, efficacia), la gestione dei conflitti, delle crisi e degli eventi inattesi. Per quanto riguarda gli aspetti strettamente organizzativi si evidenziano criticità nell’ autonomia della leadership, nella definizione delle responsabilità operative unite a lentezze nel processo decisionale.
L’ultimo aspetto analizzato dalla ricerca di Veneto Responsabile e curata da Claudio Gramaglia, riguarda gli effetti della partnership. Se risultano essere migliorati gli aspetti legati alla costruzione della fiducia reciproca, all’ impegno dei singoli e alla stabilità delle relazioni tra i partner; difficoltà si sono invece evidenziate nella reputazione dei singoli (nessun vantaggio apportato dalla partecipazione alla partnership), nella valutazione dei risultati del progetto e della partnership (quest’ultimo aspetto è evidente non essendo stato pianificato ex ante).
La ricerca ha quindi evidenziato alcuni elementi che i singoli partner non devono trascurare – prima, durante e dopo – aver sottoscritto un “contratto di rete”. Elementi spesso ritenuti secondari o poco importanti, ma che in realtà sono fattori critici di successo per la rete, per le singole imprese, per il progetto.
Fattori critici di successo che fanno riferimento a specifiche competenze manageriali che possono essere riassunte nella domanda: chi governa la rete e le dinamiche relazioni interne ed esterne della rete?
Per l’efficacia ed il successo del contratto di rete è centrale individuare un figura professionale che accompagni gli attori nelle tre macro fasi nelle quali si articola la costruzione di un contratto di rete: la costituzione (cosa va fatto ex ante? come individuare gli attori della rete?); la gestione (cosa va fatto durante? come va gestita la manutenzione della rete? Come vanno governate le relazioni tra i partecipanti?); il monitoraggio, la misurazione e la valutazione dei risultati (come si può capire se siamo sulla strada giusta? come si valutano, ex post, l’efficacia ed i risultati della rete? come si misurano i vantaggi per i singoli e per la rete?).
Il manager della rete
Abbiamo visto dalla ricerca di Veneto Responsabile che è necessario attivare “da subito” una forte strategia di coinvolgimento dei partecipanti alla rete affinché ogni attore si assuma le proprie responsabilità e non adotti comportamenti opportunistici. La creazione di valore per tutti coloro che partecipano alla rete è essenziale per costruire un obiettivo condiviso e per approcciare questioni e problematiche complesse.
Per creare valore è necessario partire dalla consapevolezza della fitta rete di relazioni esistente tra tutte le imprese che aderisco alla rete e tra questa e l’ambiente esterno.
Se queste sono le necessità strategiche, le reti hanno bisogno, da una parte, di una chiara identificazione della leadership, di una forte policy legata alla comunicazione (sia interna che esterna) e di un’attenzione particolare per il governo delle relazione tra tutti i soggetti coinvolti.
Dall’altra, hanno la necessità di identificare le funzioni manageriali e le competenze professionali fondamentali per gestire e governare tali relazioni.
Cinque domande e cinque risposte per concludere e per dare concretezza agli interrogativi appena abbozzati.
Chi può progettare, governare e rendicontare un processo di rete così articolato e complesso?
Sicuramente un bravo manager delle relazioni può fare in modo che il processo decisionale e la risoluzione dei conflitti abbiano un percorso chiaro e lineare, completo in ogni sua fase, rilevante e coerente. Sebbene un membro di una delle parti coinvolte possa svolgere il ruolo di leader, è spesso preferibile utilizzare un intermediario super partes che non abbia un vero interesse verso i risultati del processo di coinvolgimento. Potrebbe anche essere un manager interno che non è collegato alle tematiche, ma è spesso preferibile affidarsi ad un soggetto indipendente e privo di ogni conflitto di interessi.
Quali sono i compiti del manager della rete?

Aiutare le parti coinvolte a definire obiettivi e risultati (mission e vision).
Governare le relazioni tra tutti gli attori della rete.
Proporre un’interazione positiva e calibrata sulle esigenze di tutti i partecipanti.
Controllare che tutti i partecipanti siano coinvolti e partecipino pro attivamente al processo.
Assicurare indipendenza, terzietà e capacità di rendicontazione.
Creare un’atmosfera favorevole.
Visionare e coordinare tutte le fasi del processo.
Incoraggiare la focalizzazione ed il raggiungimento degli obiettivi.
Individuare i conflitti e facilitare la ricerca di soluzioni.
Favorire pari opportunità di informazioni.
Rispondere coerentemente alle aree critiche emerse.

Quali sono invece gli skill relazionali richiesti?
Tra le abilità e le competenze richieste ai nuovi manager della rete – a fianco delle competenze tipicamente imprenditoriali – vanno sicuramente incluse: la capacità di ascolto; la negoziazione; la collaborazione; la disponibilità a lavorare in team; l’empatia; la comunicazione; la capacità di prendere decisioni e di lavorare per progetti; la fiducia e la disponibilità al dialogo e al confronto; la reciprocità; l’impegno nel mantenere e migliorare la relazione nella rete.
Esiste e, soprattutto, abbiamo bisogno di una nuova figura professionale?
La complessità della rete e l’urgenza di attuare decisioni efficaci, obbligano i soggetti promotori del contatto di rete a ricercare nuove abilità e nuove competenze. Il manager della rete è una nuova figura professionale in grado di gestire sistemi di relazione complessi e di adottare un nuovo approccio alle decisioni che non si può basare né sulla negoziazione infinita, né sul potere di interdizione di un singolo soggetto. Deve inoltre aiutare i diversi attori a passare dalla cultura dei veti alla cultura della responsabilità. Si tratta di abilità che in parte sono da “inventare”, ma che in larga misura esistono già e sono patrimonio dei professionisti delle relazioni pubbliche. Se l’atteggiamento o il comportamento di soggetti terzi può incidere sui risultati perseguiti e sulle modalità con cui le decisioni vengono attuate dall’organizzazione, i relatori pubblici possono intervenire nel processo decisionale come soggetto facilitatore in grado di conciliare le finalità di quest’ultima con le aspettative di tutti i portatori di interesse e di far percepire a questi ultimi un effettivo valore aggiunto, costruendo e sviluppando sistemi di relazione di qualità e a lungo termine.
Esiste questa figura nel nostro Paese?
Oggi possiamo rispondere di sì. Sono quei professionisti che hanno imparato all’Università prima (laureati in Scienze della comunicazione e in Relazioni pubbliche in particolare, ma anche laureati in Psicologia e Scienze politiche) e sul campo poi, a governare le relazioni con e tra i diversi pubblici; hanno imparato a “comunicare con” e non solo a “comunicare a”. Hanno anche imparato che la comunicazione non è solo “inviare o trasferire un messaggio” ma significa “condividere, mettere in comune, creare uno spazio comune”. Questi professionisti sono attivatori di processi che aiutano il raggiungimento di un’azione o un fine, fornendo gli strumenti, le opportunità, la metodologia, le conoscenze. Questi professionisti sono rappresentati in Italia da Ferpi.
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