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I social media spostano voti?

30/01/2013

Twitter e Facebook non sono mezzi ma ambienti, in cui, a dominare dovrebbe essere il messaggio. In una campagna elettorale che usa in modo massiccio i social network e le loro modalità comunicative, il messaggio è il grande assente. Breve e semplice come un tweet, indipendentemente che si tratti di web o di televisione. L’analisi di _Andrea Ferrazzi._

di Andrea Ferrazzi
I social media spostano voti? Cioè: possono condizionare l’esito delle elezioni? L’interrogativo sta generando un interessante dibattito in rete, come racconta Jacopo Iacoboni sul sito de La Stampa. La sua analisi parte da una considerazione condivisibile (l’interrogativo è sbagliato), ma è, a mio avviso, incompleta. Ha ragione quando afferma che Twitter e Facebook, come internet più in generale, non sono mezzi, ma ambienti. E come tali andrebbero studiati.
Detto questo, però, Iacoboni si concentra proprio su questi strumenti, senza prendere in esame l’elemento decisivo: il messaggio. Che non è lo slogan, spesso vuoto e sempre meno efficace: in un momento storico caratterizzato da una grave crisi di fiducia verso i partiti e le istituzioni, promettere per l’ennesima volta di tagliare le tasse o di snellire la burocrazia rischia di essere un boomerang comunicativo. Il messaggio, grande assente di questa campagna elettorale, corrisponde invece a qualcosa di più complesso: è il progetto politico che i vari soggetti dovrebbero proporre alla cittadinanza. A meno che non sia un pazzo o un incompetente, un architetto non potrà mai dire al suo cliente: ecco, la tua abitazione avrà tre camere e due bagni, punto.
Dovrà mostrargli il disegno complessivo, in modo che, accanto agli aspetti pratici e funzionali, possa valutare anche l’impatto visivo, quello più legato all’emotività. La casa deve anche piacere. Allo stesso modo, gli architetti di una campagna elettorale dovrebbero offrire ai cittadini una visione complessiva, una narrazione che abbia un senso, che susciti empatia, che riesca a raccontare una storia credibile.
Ricordate la prima campagna elettorale di Silvio Berlusconi? Il suo messaggio all’Italia, «il paese che amo»? Non fatevi condizionare dai giudizi sul personaggio o su quel che è accaduto in seguito: dal punto di vista comunicativo, è stata una strategia vincente e innovativa.
A distanza di quasi vent’anni, in questa campagna elettorale, forse una delle peggiori della nostra storia recente, non si vede nulla di simile. Se non avessimo l’esempio di Barack Obama, potremmo pensare che i social media non si prestano, come la televisione, a raccontare una storia elettoralmente efficace. Ma non è una questione di mezzi, anche perché proprio la televisione mantiene comunque un ruolo fondamentale. In realtà, sembra quasi che vi sia una twitterizzazione della propaganda elettorale: non tanto per l’utilizzo di questo (e degli altri) social network, quanto piuttosto per la brevità e la frammentarietà dei messaggi proposti dai vari protagonisti in campo. Che sembrano essersi adattati all’ambiente digitale e alle sue caratteristiche, adottandone passivamente il linguaggio.
Insomma, i politici italiani, a parte qualche rara eccezione, usano i social media non per comunicare una visione d’insieme, bensì come cassa di risonanza per diffondere anche on line i rispettivi (e ripetitivi) slogan, brevi e semplici come un tweet. Illudendosi, loro sì, che la semplice presenza on line sia, di per se, utile alla conquista di voti. Della serie: l’importante è esserci, a prescindere.
Dopo le attualissime polemiche sul fascismo, le mille alchimie sulle alleanze e le solite promesse miracolose, mancano solo le «convergenze parallele» per completare un quadro assai desolante, anche dal punto di vista della comunicazione politica. Stiamo assistendo una campagna elettorale degna dei film di Antonio Albanese. Con una differenza sostanziale: almeno Cetto La Qualunque fa ridere, anche senza i social media.
Fonte: Spinning Politics
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