In queste ultime due settimane si è svolta sul nostro sito una vicenda esemplare, le cui caratteristiche rappresentano fedelmente una parte rilevante del nostro lavoro fino a costituire una vera e propria case history' o, se preferite, una simulazione' di quel che quotidianamente ci troviamo di fronte.Mi riferisco al caso Coca Cola/Zero Movement.Riepiloghiamo:°sul sito di qualche settimana fa (il 13 Marzo) esce una nota, tratta su iniziativa della redazione dal sito Mediazone.info, in cui, sotto il titolo Coca Cola e il suo fake blog, si racconta puntualmente la storia di una campagna teaser promossa dalla filiale australiana che offre lo spunto per indicare alcune linee guida per fare del blog marketing.L'articolo lo potete leggere direttamente cliccando qui;°sempre sul nostro sito (il 20 Marzo) esce, sotto il titolo Una replica da parte della Coca Cola, una precisazione della filiale italiana in cui vengono forniti dati sul successo di quella iniziativa di web marketing, insieme ad espressioni di attenzione verso il fenomeno blog con perfetto stile di direbbero gli americani- legally binding political correctness.Le prime due domande sono:°perché è stato pubblicato il primo articolo?°perché la Coca Cola ha ritenuto opportuno fare la sua precisazione?Non è la prima volta che il sito pubblica articoli tratti da altri siti e quasi sempre viene citata la fonte. Il tema è sicuramente importante per chi si occupa di relazioni pubbliche e di comunicazione. In particolare, il nostro sito è sempre stato particolarmente attento alla innovazione e il caso citato era sicuramente innovativo. L'articolo ripreso era però anche critico verso la Coca Cola poiché la rimproverava di opacità', di essersi cioè nascosta dietro un movimento' senza dichiarare la propria identità per una campagna teaser in attesa di un nuovo prodotto.A sua volta la Coca Cola ha ritenuto opportuno precisare di avere il massimo rispetto e interesse verso la Rete e, ammettendo esplicitamente di avere creato' il movimento come base di lancio di un nuovo prodotto, non replica alla critica di opacità ma dimostra, dati alla mano, quanto quella operazione abbia avuto successo.Dunque abbiamo un caso in cui la replica conferma la notizia che l'ha originata è, in più, contiene interessanti informazioni aggiuntive sul successo della propria iniziativa.Ora, è chiaro che la precisazione non si propone di diffondere il prodotto, bensì di trasferire ai nostri lettori, verosimilmente operatori della comunicazione o comunque esperti della materia, il senso di un successo, di una operazione riuscita.Se interpreto bene, vorrei aggiungere che da diversi anni si discute intorno alla eticità professionale' di un interesse commerciale che, studiando, adottando e adattando usi e costumi dei pubblici con i quali desidera comunicare al fine di attirarne l'attenzione, evita accuratamente di dichiararsi.L'opinione prevalente è che in generale questo modo di procedere non sia, dal punto di vista dell'etica professionale, corretta.Per fare un solo esempio recentissimo, il New York Times ha elogiato qualche settimana fa Wal Mart (che non gode certo la simpatia della stampa americana) perché è intervenuta a gamba tesa nella blogosfera sostenendo le proprie impopolari ragioni in prima persona senza nascondersi dietro alcun movimento.Ma, obietta qualcuno, se adottiamo questo criterio in assoluto dobbiamo rinunciare in linea di principio a qualsiasi campagna teaser' la cui premessa è, appunto, di incuriosire il pubblico e attirare la sua attenzione senza indicare l'azienda o il prodotto, fino a quando la curiosità non sia tale da assicurare un buon decollo alla sua commercializzazione.E allora? Come la mettiamo?Se decido di seguire le regole dell'etica professionale e cioè che ogni contenuto trasferito, per essere trasparente, deve chiaramente indicare l'autore, il mittente, l'obiettivo perseguito e la modalità che si intende adottare per perseguirlo&.evidentemente non potrò più fare campagne teaser!Questo esempio sta a dimostrare una sola certezza: nel nostro lavoro non esistono certezze, ed è per questo che è così importante ancorarsi sempre ad alcuni principi di etica professionale.La nostra è quella che possiamo definire una professione situazionale' dove anche i generic principles (e non v'è dubbio che la trasparenza sia uno di questi) vanno adattati e declinati in specific applications.Naturalmente ciascuno di noi potrà valutare se le modalità con cui la Coca Cola ha sviluppato la sua iniziativa australiana abbia, oltre che aver riscosso successo, rafforzato o indebolito la sua reputazione&ma si tratta pur sempre di questioni opinabili.(tmf)Una riflessione di Toni Muzi Falconi.