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Il crollo dei quotidiani online e i prigionieri di Facebook

30/03/2012

Il futuro dell’informazione online è social. Ma quanto questo aspetto è positivo? Sempre più persone usano Facebook o Twitter per informarsi, cliccando su un link ma poi tornando nel "territorio sicuro" del social network. Il web è sempre più importante ma sempre meno navigato. Lo afferma _Daniele Chieffi,_ sollevando dubbi sulla bontà di questo fenomeno.

di Daniele Chieffi
No, non sono le notizie nè, tantomeno la formula vecchia. Il dibattito che si è sviluppato sul web sul crollo dell’audience dei giornali online ha visto autorevoli interventi di Pier Luca Santoro, Arianna Ciccone e Luca Conti, fra gli altri. Per quanto mi riguarda mi piacerebbe sottolineare, come dicevo prima che, secondo me, non sono le notizie né la formula troppo vicina a quella dei giornali cartacei. Non è, quantomeno, solo colpa dei giornalisti o della scarsa qualità di chi fa informazione in Rete.
Le osservazioni sollevate da Conti, Santoro e Ciccone esistono indubbiamente, ma non tengono conto (anche se Luca Conti, a dire il vero lo cita) di un aspetto che ancora non è entrato, dal mio punto di vista, nel metabolismo del dibattito nella e sulla Rete. Mi riferisco al fatto che il traffico, quello vero, si sta sempre più spostando dentro ai “recinti” o meglio dentro il giardino recintato blu di Facebook. Mi riferisco a una serie di studi, indagini e semplici osservazioni, che arrivano anche dalle “pance” di aziende e siti vari, che registrano in maniera inequivocabile che i flussi di traffico si stiano spostando dalla Rete ai social network. In buona sostanza gli “abitanti della Rete”, come li chiamava Granieri, stanno traslocando fra le capaci braccia di Facebook e spesso e volentieri da lì non si muovono.
Navigano le notizie, le immagini, i video, le applicazioni e, al massimo, cliccano, “atterrano” sulla pagina del contenuto condiviso e poi “back” e tornano dentro il social. Questo, in buona sostanza significa che si naviga sempre meno. Basta scorrere alcuni dati interessanti come quelli del Censis, secondo i quali, per il 61,5% dei giovani cercano le notizie su Facebook e non sui siti d’informazione. Si tratta di un trend che si sta inerpicando verso l’alto, che si unisce all’utilizzo massiccio di Twitter, e che sta, a mio parere, modificando la vera fisionomia dell’usabilità della Rete.
Molte aziende si stanno chiedendo se serva ancora un sito istituzionale e molti quotidiani o comunque siti d’informazione stanno spostando sempre più la visibilità della propria “news production” sui social: ogni cosa che va in linea viene sparata su Twitter, su Facebook, su Google plus con un obiettivo esplicito di intercettare traffico e portarlo sui propri server, salvo poi rendersi conto che, spesso, gli utenti non restano ma, soddisfatto il loro interesse momentaneo, tornano al social di provenienza.
E’ quindi un modello di fruizione delle notizie che cambia e che richiama “snack news” e devices mobili ma che, soprattutto, sta minando o, quantomeno, modificando profondamente, la ragione stessa dell’esistenza dei siti intesi in senso classico, facendoli sempre più virare verso un’identità di repository di contenuti o, meglio ancora, un insieme di pagine di atterraggio per gli utenti dei social. Scenario inverosimile? Basta prendersi la briga di esplorare le ultime tendenze dell’architettura dei siti, sempre meno pensati per essere navigati verticalmente, tutti tranne i siti d’informazione che, invece, sono, indiscutibilmente, ancora fermi a formule architetturali piuttosto vecchie.
Riassumendo, quindi, il crollo del traffico dei quotidiani online è il segno che l’abitudine d’uso della Rete sta cambiando profondamente e sta danneggiando chi non riesce a entrare bene nei flussi dei social. Per questo chi si resiste o macina addirittura risultati positivi sono proprio quei siti in grado di essere più presenti su Fb e Twitter. Viceversa chi perde sono i “classici” del web che, per ora, rimangono un po’ più ai margini. Il futuro dell’informazione online è quindi, indiscutibilmente, social, il che, non è affatto detto che sia una cosa positiva.
Tratto da Olmr.it
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