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Il Mobile: un media intimo

03/10/2013

Lungi dall’essere semplici strumenti di comunicazione, gli smartphone sono diventati parte della nostra quotidianità. Con essi abbiamo un coinvolgimento che non si verifica con alcun altro device tecnologico che può arrivare anche ad influenzare la vita dei consumatori digitali e le relazioni con le aziende, come mostra _Marco Massarotto._

di Marco Massarotto
Un fatto troppo spesso e troppo sottovalutato della massiccia diffusione degli smartphone è che si tratta di device che hanno una caratteristica senza precedenti nel mondo dei media: l’intimità.
“A person may be on the telephone to someone twelve thousand miles away and for the duration of the conversation be more closely bound up with the responses of that distant individual than with others sitting in the same room”
(Giddens, “Modernity and Self-Identity” 189)
La citazione qui sopra fa parte di alcuni illustri e fondamentali pareri sull’argomento quali quelli del sociologo Anthony Giddens, che già nel 1992 scrisse sul tema: The Transformation of Intimacy, di Zygmunt Bauman e il suo Liquid Love per il quale la relazione esiste in quanto scambio di messaggi e non per il contenuto dei messaggi stessi e di Misa Matsuda sulla Keitai culture, dove già nel 2008 il 57% degli studenti delle medie possedeva uno smartphone (1). Una buona sintesi delle principali posizioni sociologiche si trova in questo articolo Journal of Media and Culture.
Gli smartphone costituiscono, quindi, un cambiamento sociale, prima che sociologico di grandissima rilevanza. Li portiamo con noi a letto, spesso contengono l’ultimo messaggio che leggiamo prima di dormire e il primo quando apriamo gli occhi. Quando siamo emozionati scriviamo portandoli vicino al viso, abbracciandoli quasi. Quando siamo arrabbiati ringhiamo la nostra rabbia, quasi scheggiando lo schermo con i denti. Vi immaginate farlo con un PC o un televisore? Nemmeno con un Tablet dimostriamo la confidenza che dimostriamo agli smartphone. Gli smartphone stanno sempre vicino al nostro cuore*, alle nostre orecchie, occhi o, addirittura, ai nostri organi genitali. Li teniamo in (per?) mano tutto il giorno. Contengono i nostri segreti più… intimi e ci fanno sentire vicini alle persone care, ovunque noi siamo o loro siano.
E se un giorno i telefoni ci abbracciassero, accarezzassero o addirittura ci baciassero? Potrebbe non essere un mondo così lontano: è interessante guardare questi prototipi che simulano near body telepresence: relazioni intime via smartphone. Fabian Hemmert ha provato ad ottenerla “aggiungendo” agli smartphone: umidità, airflow e grasp (afferrabilità, morbidezza).

La “Mobile intimacy” e le conseguenze sulla consumer/brand relationship.
Se il senso di vicinanza e intimità creato dalle relazioni mediate dagli smartphone riguarda di sicuro la nostra vita personale e sentimentale, viene da chiedersi se abbia delle conseguenze anche nella vita dei consumatori digitali e nelle relazioni tra di essi e le aziende.
È difficile isolare questa caratteristica (l’intimità con il device o la carica emotiva che esso comporta) in rapporto a solo un certo tipo di relazioni, quelle con i brand. Se da un lato appare ovvio che è nelle relazioni amicali e affettive che questa caratteristica si esalta maggiormente, non sottovaluterei la capacità dei brand di essere una miccia emotiva (in positivo o negativo) rispetto a consumatori maggiormente predisposti a un emotional engagement in quanto connessi con un device mobile.
Proviamo a stilare un elenco degli Emotional Trigger a cui possiamo andare incontro nel dialogo con un “Digital Mobile Consumer” e di cui sarà buona norma tener conto sia per ciò che riguarda la pianificazione dei messaggi sia per il training di chi opera lungo la filiera comunicazionale.

Instabilità emotiva legata a fattori esterni: mancanza (o timore di mancanza) di segnale, fattori atmosferici, condizioni di mobilità e trasporto, rumore, luminosità e ostacoli alla corretta comprensione/lettura.
Reazioni a invasività su un device strettamente personale. Sullo smartphone si ricevono comunicazioni di primaria importanza e spesso con carattere di urgenza, sia personali sia professionali. A differenza di altri mezzi, il tempo che un consumatore vi dedica su un dispositivo mobile ha per lui un costo sociale elevato.
La postura, vicinanza e intimità fisica con il messaggio. Vi è quasi una sorta di predestinazione emotiva su ciò che leggiamo o vediamo su uno smartphone. Quasi sempre siamo proni verso il contenuto, isolati dal resto perché il mezzo richiede una concentrazione quasi esclusiva. Questa aspettativa emozionale può giocare in due sensi, esacerbando reazioni di negatività, sconforto, rigetto o generando delusione per un contenuto emotivamente non all’altezza, magari perché modulato con linguaggio tecnico o commerciale. Insomma bisogna far emozionare, ma non arrabbiare.
L’emotività connessa alla istantaneità della risposta e al basso livello di multitasking. Se è vero, da un lato, che le tecnologie digitali ci stanno abituando a un mondo on demand, dall’altro gli smartphone spesso sono portatori di scambi di messaggi immediati, poco procrastinati o procrastinabili e, quindi, anche poco ragionati. A differenza di una email ricevuta sul computer, facilmente archiviabile, spostabile in sottofondo e a cui si può rispondere con calma, su mobile tendiamo a completare i task in modo più lineare e consecutivo. Con meno tempo di riflessione, quindi, e favorendo, ancora una volta, reazioni emotive più che razionali.
Reazioni imprevedibili a causa della sincronia o asincronia con le priorità del consumatore mobile. Lo smartphone porta con sè due istanze contrapposte. Il senso che “si possono fare le cose quando si vuole e non solo ora“ e quello che “si possono fare le cose in qualunque momento, quindi adesso“. Il primo è l’esaltazione del succitato principio di on demand. Ho con me tutti i dati per portare a termine un compito in qualunque momento, quindi lo faccio nel momento in cui avrà priorità più alta. Un momento difficile da centrare per un brand che vuole entrare in relazione con un consumatore mobile e che richiede flessibilità temporale del messaggio. Il secondo, invece, è un atteggiamento radicalmente opposto (rifiuto della riprogrammazione) che si scatena quando il suddetto task diventa primo in lista alle priorità. In questo caso serve immediatezza del messaggio. Capire quando è il proprio turno rischia di non essere facile per le aziende, abituate a pianificare secondo la propria opportunità, e non quella del ricevente.

E voi, quanto vi ritenere emotivamente coinvolti quando siete sullo smartphone invece che su un altro device?
Fonte: MarcoMassarotto.com

(1) In Giappone la cultura e l’adozione di smartphone e di servizi avanzati su mobile è stata così rapida e precoce, rispetto al resto del mondo, che ha successivamente portato a un fenomeno di isolazionismo involontario chiamato Effetto Galapagos, riferito al fatto che quella specie tecnologica (I Keitai o smartphone evoluti giapponesi dei primi anni 2.000) esistessero solo lì e in nessun altro luogo. L’effetto isolazionistico ha anche ritardato l’ingresso di smartphone di nuova generazone (iPhone) e, secondo alcuni, favorito la concorrenza coreana nell’esportare nuovi modelli di smartphone, nonostante il maggior progresso tecnologico nipponico.
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