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Il nome del denaro: un articolo di Paolo D'Anselmi

28/12/2004
Un bilancio sociale pubblico parla della istituzione che lo redige e del suo impatto sulla realtà. Racconta ciò che vedo dalla finestra e ciò che il palazzo, dal quale mi affaccio, fa per cambiare ciò che vedo. Caso principe è la istituzione–regolatore, come ad esempio Banca d'Italia (Bruno Dente, Le politiche pubbliche in Italia, Il Mulino, 1990). La banca rapporterà su due issue molto calde, con due paper del suo centro studi sociali.Prima faccenda: niente gruppi esteri alla proprietà di banche italiane. Non è una affermazione apodittica, di mera protezione dello status quo: il primo paper prova gli effetti negativi di tale evenienza. Sotto una governance ad anagrafe gentile le decisioni vengono prese oltralpe e c'è una caduta di classe dirigente all'ombra del cupolone e della Madonnina. Anche gli stipendi di questa emigrano verso le rive del Tamigi e del Meno. Politiche non indigene privano del credito bancario settori ad alta tecnologia, quali ad esempio l'alimentare, con declino del sistema industriale. Non c'è risparmio nei costi che i cittadini clienti delle banche oggi sopportano. Non c'è una chiusura di quello spread tra tassi attivi e passivi che Callieri lamentava essere in Italia il doppio della misura canonica. Gli stessi profitti di tali nuove banche vengono girati a popoli stranieri perché agli italiani è vietato l'acquisto di azioni di banche estere.Solo danni e non benefici. Come è giusto che sia, la politica del regolatore è tesa alla difesa del sociale piuttosto che dei produttori del servizio. È diverso da certi piani dei trasporti, farina del sacco dei trasportatori, non dei trasportati. I lavoratori del comparto bancario non camminano sulle spalle dei lavoratori soggetti a concorrenza (baristi e ambulanti, commercianti e autonomi), mentre su tutti galleggiano i lavoratori del centro studi stesso. Insomma questo position paper va a tutto vantaggio dei consumatori italiani, con sacrificio dei lavoratori del sistema bancario, ansiosi del confronto con diversi sistemi di gestione.Non solo di socioeconomia s'intende il centro, ma anche di psicoeconomia, per cui affronta la seconda issue: il carovita generato dal changerover dalla lira all'euro. Riassumo per sommi capi l'articolo dal titolo "Cash effects of currency changeover" che, trasmesso già nel 1998 al Tesoro, lì ignorato, s'è ora deciso di pubblicare. Esamina, lo scritto, le conseguenze della percezione psicologica della moneta al cambio del rapporto tra la denominazione di questa e la realtà che essa rappresenta. L'euro infatti viene denominato da numeri molto più piccoli della lira. Si invita dunque a porre cautela verso il valore simbolico del numero in sé. La Cabala e il libro dei Numeri, per carità di patria si trascura la Smorfia, tutti evocano la magìa del numero e il suo potere, che non basta una grida a cambiare. Si avverte che esso si può vendicare con un caro prezzi da paura. Evidenzia il paper, aggiornato per l'occasione, che lo stesso governo, per impressionare le masse, ha dato misure in lire: "9.000 miliardi di opere pubbliche avviate". Ravviva infine la proposta di adottare fino a nuovo ordine la indicazione dei prezzi in doppia divisa: euro e lira italiana.Aldilà della divisa che esso rappresenta, infatti, il valore del numero lo abbiamo imparato con il latte materno e lungo tempo deve passare perché s'installi nella mente una diversa percezione. Il denaro pesa quanto pesa il numero con cui si chiama. Il denaro sta tutto nel numero; in realtà possediamo soltanto numeri.Stat nummus pristinum numeroNumera nuda tenemus.Paolo D'Anselmi
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