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Il Papa, i media e le Rp

11/12/2009

Il monito lanciato da Benedetto XVI in occasione dell’Immacolata sulla funzione sociale dei media e sulla qualità dell’informazione chiama in causa anche comunicatori e relatori pubblici, rilanciando come prioritaria la “questione etica” per entrambe le professioni.

di Giancarlo Panico


“Ogni giorno attraverso i giornali, la televisione, la radio, il male viene raccontato, ripetuto, amplificato, abituandoci alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili e, in qualche maniera, intossicandoci, perché il negativo non viene pienamente smaltito e giorno per giorno si accumula. Il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono”. Con queste parole, pronunciate l’8 dicembre scorso, festa dell’Immacolata, Papa Benedetto XVI ha lanciato un monito severo ai media di tutto il mondo riaprendo un dibattito mai sopito e scatenando le reazioni dei principali editori ma anche di opinionisti, sociologi, pensatori e comunicatori.


Un monito che ha fatto sobbalzare sulla sedia non pochi colleghi, professionisti della comunicazione e delle relazioni pubbliche che ogni giorno sono impegnati in questa battaglia. Perché se è vero, com’è vero, che l’80% delle notizie riportate dagli old media e oggi rilanciate dalla galassia dei social media sono il frutto del lavoro di comunicatori e relatori pubblici, la responsabilità sarà pure un po’ nostra, e non solo il frutto di una strategia scientificamente sviluppata dai principali media che “lucrano” sulla morbosità di lettori e telespettatori esasperando al massimo quelle famose “5S” che si chiedono ad ogni giornalista: sesso, innanzitutto, e poi sangue, salute, soldi e scandali.


Non voglio immaginare che l’engagement dei lettori (e dei telespettatori) auspicato dai principali editori, e in una delle ultime assemblee anche dal presidente della FIEG, nel nome di un aziendalismo vocato al business che viene prima di ogni diritto di informazione e di cronaca.


Non nascondiamo che dietro le eterne battaglie politiche, economico-finanziarie e di potere che si manifestano sulle pagine dei quotidiani, nei tg e nei talk show televisivi, nelle trasmissioni radiofoniche e più recentemente sui principali siti web, ci siamo noi. Alcuni dei nostri più autorevoli e raffinati colleghi, direttori comunicazione, portavoce, spin doctor, consulenti e free lance sono anche coloro che pensano, costruiscono, gestiscono e producono materialmente i contenuti che contribuiscono a costruire quelle linee editoriali demonizzate dal Papa.


E qui, non stiamo parlando di black pr, che pure hanno come palcoscenico i media, perché apriremmo un altro triste capitolo della nostra professione.


Non intervengo frequentemente su questo sito perché come “responsabile” mi piace restare dietro le quinte, ma questa volta il messaggio del Papa, che ad un primo approccio sembra chiamare in causa solo il mondo dei media, i giornalisti, riguarda il nostro lavoro molto da vicino.


Ci ripetiamo costantemente che le relazioni pubbliche sono ascolto, innanzitutto, sono dialogo, sono finalizzate a costruire processi inclusivi, sono lo strumento principale per costruire e governare quella sostenibilità che dovrebbe essere la concretizzazione dell’etica; ma, alla fine, siamo impegnati in una battaglia quotidiana per far prevalere la nostra azienda sulle altre, un manager o un politico sul competitor più diretto, un emendamento o un regolamento rispetto a quello proposto dalla parte “avversa”, e così via.


Credo, e sono impegnato in prima persona, perché lo scenario che ho appena descritto sia sempre meno vero e orientato, invece, al rispetto della persona umana, anche nelle scelte, nelle strategie e nelle attività di competizione più spinta.


Ma se è vero che aprendo ogni giorni i principali quotidiani del Paese o seguendo i telegiornali e qualche talk show, ci ritroviamo sommersi da notizie del genere il problema c’è e va affrontato. Anche perché questo stato di cose sta provocando l’effetto opposto.


Il vero problema, come sosteniamo da diversi anni su questo sito, attraverso i contributi di alcuni dei più autorevoli professionisti, studiosi, ricercatori è riportare la persona al centro della comunicazione, non più oggetto della comunicazione e del nostro lavoro ma “soggetto” di relazione. “I mass media tendono a farci sentire sempre “spettatori”, come se il male riguardasse solamente gli altri, e certe cose a noi non potessero mai accadere – è sempre il Papa che parla – Invece siamo tutti “attori” e, nel male come nel bene, il nostro comportamento ha un influsso sugli altri”.


Altra questione di grande attualità è che la costante mediatizzazione della nostra vita, l’abbondanza – o inquinamento (come sostiene Toni Muzi Falconi) – informativa (continuando a calcolarla secondo l’algoritmo proposto dai ricercato di Berkeley qualche anno fa oggi dovremmo essere a circa 5 G byte l’anno per persona), l’incapacità che abbiamo di farci un’opinione di un fatto, di un prodotto, il disorientamento che provoca il caos comunicazionale in cui siamo immersi.


“Nella città vivono – o sopravvivono – persone invisibili, che ogni tanto balzano in prima pagina o sui teleschermi, e vengono sfruttate fino all’ultimo, finché la notizia e l’immagine attirano l’attenzione. E’ un meccanismo perverso, al quale purtroppo si stenta a resistere. La città prima nasconde e poi espone al pubblico. Senza pietà, o con una falsa pietà. C’è invece in ogni uomo il desiderio di essere accolto come persona e considerato una realtà sacra, perché ogni storia umana è una storia sacra, e richiede il più grande rispetto”.


Il nuovo decennio che abbiamo davanti porterà tante e nuove sfide per le relazioni pubbliche e la nostra professione, sempre più centrale nelle organizzazioni ma anche nel sociale, la grande community di tutti facciamo parte.


Il dibattito è aperto!
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