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Il partito public company e la necessità di inventare nuove metafore

08/11/2005

Un articolo del socio Mario Rodriguez apparso sul quotidiano Europa.

Europa, 4 Novembre 2005Il partito public companydi Mario RodriguezLa dimensione inaspettata della partecipazione alle primarie del centro sinistra ha spiazzato un po' tutti cominciando dai protagonisti. Cercare di sminuire la consapevolezza dei votanti o elucubrare sul significato vero o mediatico dell'evento dimostra solo imbarazzo o incapacità di comprendere il significato di quanto accaduto. Diverse centinaia di migliaia di persone alle quali è stata data la possibilità di contare un po', in una maniera strutturata e non volontaristica, su un tema preciso e non generico, attraverso una modalità trasparente e immediatamente verificabile, l'hanno colta con entusiasmo.Non è una cambiale in bianco di quattro milioni di persone ma un capitale da investire. Le primarie hanno dimostrato che le potenzialità per far nascere in Italia un partito public company da contrapporre al partito azienda ci sono tutte. Bisogna ora saperle coglierle e organizzarle. Senza cedere a visioni ideologiche della partecipazione tanto demagogiche quanto inconcludenti ma anche rimuovendo tutte le ruggini e le lentezze di piccoli apparati sempre più autoreferenziali e basati su rigidi criteri di cooptazione, sulle nostalgie del passato o su pretesi bisogni di identità.Le forme nuove della partecipazione politica debbono essere leggère e aperte, legate al territorio e alle sue tradizioni, basate su forme efficaci e concrete di coinvolgimento nelle scelte che contano davvero (le scelte valoriali e i candidati), ricche di bilanciamenti di potere e controlli che impediscano il consolidamento delle burocrazie e garantiscano la capacità di reclutare sempre il meglio che si sviluppa nella società per portarlo nel circuito della decisione pubblica, governo o opposizione che sia. Ben sapendo che il baricentro della legittimazione democratica va spostato verso l'elettore piuttosto che verso l'iscritto e che l'individuazione della funzione che deve svolgere l'area intermedia tra istituzioni e organizzazioni politiche e sociali, è essenziale per ridare ossigeno alla politica.Si pone una questione: gli attuali vertici delle rappresentanze politiche (la cui insufficienza nel rapportarsi alla società è riconosciuta da loro stessi) devono porsi il problema di decidere prima dove andare prefigurando dettagliatamente il punto di arrivo o devono mettersi in moto verso una direzione che ormai sembra irrinunciabile attrezzandosi per un lungo viaggio e organizzando il lavoro per coinvolgere tutti?A me pare che il punto non sia tanto dove approdare ma partire perché si è costretti a prendere il largo: cambiare è una necessità, non è solo una possibile scelta, il territorio sul quale sono radicati è ormai insicuro, infido. La direzione da prendere è sufficientemente chiara, strada facendo, anche in ragione dei venti e del mare, sarà precisata la rotta. L'importante è che a bordo tutti siano convinti dell'avventura che inizia e nessuno lavori contro.Ecco perché mi pare che il punto di partenza della discussione non sia il dilemma kennedyani o socialisti, democratici o socialdemocratici, ma cosa fare nei prossimi mesi, come affrontare la composizione delle liste alle prossime elezioni politiche, ad esempio. Le formule del passato non funzionano più; non perché fossero sbagliate (ma bisogna riconoscere che erano quanto meno insufficienti già allora) ma perché non sono adatte alla realtà di oggi.È necessario partire quindi dalle risposte da dare alla domanda centrale: come si fa vivere un partito politico nella società dominata dalla comunicazione digitale (tv satellitare e internet in testa)? Quali regole per un livello di democrazia interna almeno da public company (e non sembri poco!), come si motiva la partecipazione volontaria essenziale per presidiare il territorio, come si fanno partecipare le persone alle decisioni essenziali per dare significato all'adesione, come lo si fa aderire al territorio, quali spazi si riconoscono alle umanissime e necessarie ambizioni personali?È vero che nulla si può progettare senza un riferimento a ciò che già c'è e c'è stato e quindi guardare alle storie politiche dei socialdemocratici o dei democratici statunitensi è utile. Ma lo sforzo da fare è proprio nell'innovazione e nell'avanzare proposte nelle quali si possano riconoscere in tanti, provenienti da punti diversi e convergenti tutti nell'affermazione di valori condivisi, senza che nessuno si senta titolato a poter fare all'altro l'esame d'ammissione.Ma anche senza dividersi anticipatamente su questioni nominali che irrigidiscono inutilmente gli schieramenti. Perciò anche il linguaggio deve essere innovato.E questo significa cercare di non usare termini che hanno assunto significati fortemente simbolici e quindi hanno diviso, dividono e continueranno a dividere: riformismo, liberalismo, socialismo, eccetera. Abbiamo invece bisogno di formule e metafore nuove, aggreganti. Non si tratta solo di un riposizionamento linguistico per avere nuovo appeal a livello mediatico: riconcettualizzare le politiche non è un superficiale lavoro di creazione di messaggi. Riconcettualizzare le politiche significa prendere degli obiettivi politici attualmente inseriti in un certo modo di vedere le cose e ridefinirli in un altro contesto completamente diverso con implicazioni del tutto differenti.Quindi è opportuno cambiare linguaggio per non usare termini che hanno una storia di distinzione più che di aggregazione. Non è solo una questione di linguaggio specialistico da delegare ai comunicatori ma è una questione politica: la ridefinizione dei concetti non è solo l'involucro.Per rapidità si può dire "svolta liberale" ma solo come scorciatoia tra coloro che già condividono i presupposti dell'affermazione; altrimenti se ci si rivolge a persone che la pensano diversamente non gli si chiede di convergere ma semplicemente di aderire, di cambiare idea. E questo è molto più faticoso e difficile. Se si vuole aggregare bisogna invece parlare delle conseguenze positive della svolta liberale, dei valori che mette in campo, delle cose che permette di fare, in modo che su quegli obiettivi ci si possano riconoscere anche coloro che non accettano la definizione "svolta liberale".È necessario inventare nuove metafore che incarnino i valori condivisi in modo che queste possano sviluppare forza aggregante. E per fare questo sarà necessario fare vivere esperienze coerenti alle persone a cui ci si rivolge.Il centro sinistra (ma il ragionamento è valido in generale) deve fare vivere esperienze alla società italiana in modo che le persone possano verificare le cose che dice. Perché i comportamenti comunicano più delle affermazioni. E le primarie sono state un'esperienza concreta.È importante quindi che la discussione si sposti su cosa fare nei prossimi mesi perché ciò che si vuole far nascere possa durare.
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