Il ruolo delle Rp nell'integrazione multiculturale
14/12/2011
Possiamo sostenere il futuro dell’integrazione multiculturale, applicando il paradigma dei principi generici e delle applicazioni specifiche delle Rp? A questa domanda ha cercato di rispondere _Toni Muzi Falconi,_ durante il suo intervento al _First Global Congress for Muslim Public Relations Practitionners,_ che si è tenuto dal 5 all’8 dicembre scorso a Kuala Lumpur, in Malesia.
197 comunicatori musulmani provenienti da 33 paesi, due canadesi non musulmani (Jean Valin e Dan Tisch) e un non musulmano italiano Toni Muzi Falconi. Tre giorni di discussioni franche, aperte e critiche nelle sessioni e nei corridoi durante le pause…
Nessuna risposta definitiva, ma un buona selezione delle più importanti questioni da affrontare.
A Kuala Lumpur, in Malesia, si e’ tenuto il First Global Congress for Muslim Public Relations Practitionners, primo congresso mondiale per i professionisti islamici delle relazioni pubbliche. Un evento di grande interesse che ha visto la partecipazione di comunicatori di tutto il mondo, chiamati a confrontarsi sull’influenza delle diverse culture, anche religiose, sulle Rp. Per la prima volta, professionisti della comunicazione di tutti i paesi islamici si sono riuniti per discutere sulla necessità di una collaborazione fattiva tra i diversi contesti culturali.
“Un diffuso senso di soddisfazione per essere riusciti in quello che inizialmente sembrava essere un percorso difficile, ma anche un intenso senso di apprensione e di responsabilità per ciò che il futuro potrà riservare alla neonata International Association for Muslim Public Relations and Communication Practitioners sotto l’egida dell’ombrello approvato all’unanimità: La voce della moderazione e armonia, insieme all’esplicito invito a partecipare esteso ai professionisti e alle associazioni non musulmane interessate. Il prossimo appuntamento sarà probabilmente a Teheran nel 2013”.
Tra i partecipanti il malese Sri Dr.Syed Arabi Idid (vedi foto 2), presidente competente e rispettato del Comitato Organizzatore; Imam Feisal Rauf Abd della moschea di Ground Zero a New York che da quel caso è diventato una icona globale del movimento moderato musulmano e il direttore comunicazione corporate e business liason della Public Investmente Bank e organizzatore dell’intero evento Puan Shameem Abd Jalil (nella foto con Dan Tisch, Jean Valin e il vostro cronista, tutti di Global Alliance)".
di Toni Muzi Falconi
Quando lo studioso Lord Anthony Giddens, il sociologo vivente più citato al mondo – parlando alla conferenza Dircom di Madrid nel 2004, fece notare per primo che il più recente processo di globalizzazione – anziché, come molti avevano previsto, standardizzare il mondo, al contrario, aveva contribuito a creare una maggiore consapevolezza universale delle diversità … c’era la grande speranza, almeno in alcuni paesi occidentali come il Regno Unito e i Paesi Bassi che, investendo nello sviluppo del proprio modello multiculturale di integrazione culturale, questi sforzi sarebbero stati efficaci.
E così è parso fosse per alcuni anni.
In sostanza, mentre il modello interculturale implica che le minoranze siano incentivate dallo Stato ospitante ad integrarsi pienamente nei valori dominanti e nelle culture del territorio specifico, il modello multiculturale implica che gli incentivi si concentrino verso il miglioramento delle condizioni di ciascuna minoranza etnica rispetto a:
accoglienza
culto
scuola
casa
lavoro
L’assassinio di un regista di Amsterdam (Theo Van Gogh) nel 2004 e l’attacco terroristico nella metropolitana di Londra nel 2005 provocarono un impressionante e inatteso contraccolpo nell’opinione pubblica, sia nel Regno Unito che in Olanda.
E’ un fatto che oggi sono pochissimi i leader occidentali (sempre che ce ne sia ancora qualcuno) pronti ad esprimersi pubblicamente a favore di un approccio multiculturale all’integrazione, ed è anche difficile trovare tracce di sostegno a questo approccio nei paesi asiatici, africani o dell’America latina.
Al tempo di questi due eventi, ho avuto il privilegio di consigliare privatamente il commissario della UE per l’integrazione multiculturale e studiare la dinamica di queste imprevedibili reazioni nei due Paesi.
Avevo tempo fa ipotizzato che gli investimenti multiculturali di entrambi, in attuazione delle rispettive politiche, avevano seguito un modello simile che privilegiava le aree di accoglienza e di culto (assimilabile a valori più simbolici e immateriali), piuttosto che quelle di scuola, casa e lavoro (assimilabili a valori più duri e materiali).
Fondamentalmente concludevo che fosse possibile che, se vi fosse stato un diverso mix di investimenti, probabilmente non si sarebbe verificato quel crollo improvviso dei due edifici multiculturali.
Come sanno tutti gli architetti e costruttori di ‘spazi’, un edificio si basa su mura maestri (nel nostro caso: scuola, casa e lavoro) piuttosto che pareti morbide (nel nostro caso: accoglienza e culto).
Dal punto di vista delle relazioni pubbliche, potremmo interpretare quanto accaduto pensando che i due governi avessero concentato soprattutto attenzione, denaro e comunicazione in maniera per esaltare le variabili più morbide, piuttosto che per creare scuole, case e migliori condizioni di lavoro.
E questo, come sappiamo benissimo, è una caratteristica tipica delle società (e delle organizzazioni di qualsiasi tipologia) che si basano su un modello di comunicazione-a piuttosto che di comunicazione-con.
E questo implicherebbe che le leadership non sono riuscite a sviluppare le proprie politiche e ad attuare le proprie decisioni ascoltando ed interpretando correttamente le aspettative degli stakeholder prima che quelle decisioni venissero prese e attuate.
In ogni caso, almeno in Europa, l’approccio multiculturale all’integrazione è, oggi, a un punto morto.
Dal punto di vista sociale, una interpretazione contemporanea delle Rp implica la ricerca di caratteristiche comuni di integrazione culturale che possano efficacemente inserirsi in un’equazione fondata sulla capacità di soddisfare (o più semplicemente, di non scontentare) le diverse comunità che in ogni singolo paese oggi, si trovano ad affrontare le conseguenze dello tsunami migratorio che in questi ultimi 15 anni ha travolto tutto il mondo e sta provocando tensioni sociali, politiche, economiche e culturali che spesso appaiono insostenibili.
E naturalmente, questo dipende in gran parte dal concetto che viviamo ormai in una società a rete il cui pilastro è rappresentato da valori diversi e, ancora più importante, dalla qualità dei diversi network di relazioni.
Dal punto di vista organizzativo, le organizzazioni si sforzano di migliorare la qualità dei sistemi di relazione con gli stakeholder, comunicando i propri valori, obiettivi generali e specifici, e coinvolgendo gli stessi stakeholder nella definizione, perseguimento, mediazione e compromesso per raggiungere obiettivi comuni in un tempo determinato.
Tempo e spazio sono così diventati indicatori di performance qualitativi per qualsiasi organizzazione efficacemente gestita: sociale, privata o pubblica.
Gli approcci persuasivi del XX secolo sono sempre più obsoleti, dal momento che gli stakeholder fanno sentire la loro voce, resistenza e diffidenza … richiedono informazione, così come di rappresentare i propri interessi e aspettative, prima di accettare di aumentare o diminuire la propria resilienza rispetto agli obiettivi, alla licenza di operare e complessiva sostenibilità dell’organizzazione.
Negoziazione, conversazione e dialogo possono anche presentare interpretazioni differenti per culture diverse, ma la verità è che le leadership politiche, religiose e organizzative diventano riconoscibilmente efficaci quando e se ascoltano le aspettative degli stakeholder prima di prendere decisioni; e la qualità strutturale di quelle leadership risiede in soluzioni capaci di bilanciare con cura le aspettative spesso contrastanti degli stakeholder e di attuare quelle soluzioni nel più breve tempo possibile.
Le Relazioni pubbliche, intese come scienza sociale (e del management) che mira a sviluppare relazioni efficaci con gli stakeholder di un’organizzazione e a migliorare la qualità delle decisioni accelerandone i tempi di attuazione, sono oggi una risposta possibile e positiva per molti (certamente non tutti ) dei nostri problemi irrisolti.
La questione che vorrei discutere oggi – riconoscendo i fallimenti incredibilmente deludenti di questi recenti tentativi di integrazione culturale – è se questi possono essere solo la conseguenza di errori e di una sopravvalutazione del potere della ‘correttezza politica’ e di un approccio alle relazioni pubbliche soprattutto orientato alla visibilità pubblica.
O, ancora più importante, se non riusciamo a mettere insieme le nostre conoscenze ed esperienze provenienti da tutto il mondo per applicare le Rp al tema dell’integrazione culturale e definire pochi ‘principi generici’ (molecole globali applicabili ovunque, ma solo se e quando strettamente integrati con ‘applicazioni specifiche’: quei sistemi infrastrutturali di Relazioni pubbliche di un territorio specifico, quali:
legale/istituzionale
economico
politico
socio culturale
cittadinanza attiva
caratteristiche dei media
sistemi che, per essere efficaci, necessitano in ogni specifico territorio di essere sempre ed inestricabilmente associati ai principi generici.
Le recenti dinamiche della globalizzazione hanno accelerato la transizione da una società industriale, a una post industriale fino alla network society (Jan Van Dijk 1991 e Manuel Castells 1995).
Naturalmente non vi è dubbio che la società si è sempre basata su reti di relazioni, ma il tempo e lo spazio erano stati finora i vincoli principali.
Oggi, queste due variabili sono state in gran parte riconcettualizzate e la network society si è affermata come la caratteristica più diffusa e globale della società contemporanea.
Così, le organizzazioni stanno rapidamente ripensando i rispettivi modelli strutturali, e l’essenza del valore che producono per la società si basa sempre di più sulla qualità dei network interni/esterni i cui confini sono sempre più sfocati.
Allo stesso modo, i processi di pianificazione strategica non sono più solo materiali, né sono soltanto lineari.
Alla fine degli anni ’70, il professor Michael Porter della Harvard Business School aveva sviluppato il modello della catena del valore per il successo della pianificazione strategica. Un modello lineare e materiale.
Un buon numero di organizzazioni in tutto il mondo ha adottato questo modello, ma ora ci si va orientando ad un nuovo approccio di rete per la creazione di valore, dove la qualità delle relazioni all’interno di ogni rete e tra le varie reti, identifica il valore aggiunto creato dall’organizzazione.
Questo anche perché oggi, contrariamente a quando Porter sviluppò la catena del valore, un buon 70% del valore materiale di un’organizzazione si basa su caratteristiche immateriali.
Il corpo globale di conoscenze delle Rp, ormai da molti anni (Hon, Grunig, Bruning 1995) ha stabilito che la qualità di una relazione può essere misurata e valutata, indagando almeno quattro indicatori:
impegno nella relazione
fiducia nella relazione
soddisfazione nella relazione
equilibrio di potere nella relazione
Il ruolo delle Rp è dunque diventato centrale.
Per concludere il mio intervento, questo è un appello a tutti gli studiosi e i professionisti più consapevoli e interessati, ad accelerare gli sforzi per sviluppare paradigmi sia descrittivi che normativi in grado di meglio supportare la crescita globale della la nostra professione, e in primo luogo per identificare e studiare i ‘principi generali e applicazioni specifiche’ relative al tema dell’integrazione culturale. Qui si varrà la nostra nobilitade…
Ecco la presentazione del mio intervento.
Qui il contributo di Dan Tisch (attuale presidente Global Alliance) alla conferenza.