Io non sono più un agente di pubblicità: ma un facitore di storie…
30/07/2008
Così concludeva un articolo il corrispondente da Londra del Corriere della Sera, riferendosi al press agent più famoso del momento. Era il 1909 ed il giornalista ritraeva questa nuova attività professionale appena agli arbori. Toni Muzi Falconi ce lo ripropone scrivendone in merito un interessante commento.
Io non sono più un agente di pubblicità: ma un facitore di storie
Così si avvia a conclusione un bell’articolo di Guglielmo Emanuel, corrispondente da Londra, sul Corriere della Sera del 1 Dicembre del 1909, significativamente intitolato Bum!
L’autore non si riferisce a sé stesso (giornalista) ma a Dana Blair, americano di Londra, il più famoso press agent del momento, di cui fornisce un ritratto portentoso e che ci fa capire, oggi nel 2009, diverse cose:
a. una certa invidia del giornalista per questo nuovo mestiere (non sapeva che già molti suoi colleghi americani stavano proprio in quegli anni traslocando, come continuano a fare ancora oggi);
b. come ancora oggi a Londra le cosiddette celebrity public relations (dominio incontrastato dei press agent) siano l’attività prevalente per i relatori pubblici inglesi, favoriti da una stampa popolare trash che suscita l’invidia di tutti i Lele Mora nostrani;
c. la rapidità con cui, anche in quegli anni, tendenze, abitudini, nuovi lavori attraversano l’atlantico, e quanto sia importante per i professionisti di relazioni pubbliche parlare la stessa lingua del paese in cui operano (principi generici e applicazioni specifiche, per dirla in gergo).
La press agentry, come molti visitatori di questo sito ormai sanno, è il primo dei modelli di a
applicazione concreta delle relazioni pubbliche razionalizzati nel 1984 da James Grunig.
Lo studioso americano fa risalire l’origine di questa pratica alla seconda metà del diciannovesimo secolo con il lavoro dell’impresario di circo Barnum.
Appassionato del suo lavoro ma che dei giornali, per attirare l’attenzione sulle attività del suo circo Barnum usava scrivere stupendi comunicati, inventandosi accattivanti e terribili storie sui suoi animali, e che riusciva a far pubblicare sui quotidiani delle città in cui si apprestava ad aprire i battenti. Pubblico assicurato, senza bisogno di fare pubblicità.
Nel descrivere il lavoro di Blair, Emanuel compie nel 1909 un capolavoro di straordinaria attualità: ... ecco il prototipo, Dana Blair.
Per lui la stampa è lo strumento indispensabile. Ma non è alla testa di trust dei giornali; conosce i giornalisti… ma questo è un lusso non necessario… potrebbe anche farne a meno.
Egli non paga la ‘reclame’ che ottiene per i suoi clienti perché non la pubblica fra gli annunci; ma nemmeno la implora come una grazia dalla benevolenza di questo o quel foglio.
No: egli opera su più vasta scala… i giornali fanno una pudibonda distinzione fra le colonne a pagamento e quelle di testo.
Verissimo…però queste colonne incontaminate dal denaro aspettano di essere riempite di notizie interessanti, di avvenimenti imprevisti, di gesta originali.
Ed ecco dove io entro in campo: ecco dove i miei interessi e quelli dei miei clienti concordano con l’interesse dei giornali, che è poi l’interesse del pubblico.
Io offro alla stampa quello di cui essa ha bisogno: dei fatti reali di cronaca, delle avventure eccentriche, delle stravaganze immaginate e compiute apposta per colpire la curiosità del pubblico, quindi infinitamente più saporite e stimolanti di quel che la vita offrirebbe senza il soccorso della mia fantasia.
Le imprese delle mie celebrità non sono più per i giornali della aborrita reclame; ma della storia in azione…
I commenti possibili sono tanti e probabilmente fra loro contraddittori.
Resta il fatto che cento anni fa, nella nostra Europa (non a New York), in quella Inghilterra della quale abbiamo sempre aspirato ad assimilare modelli, cresceva una nuova attività professionale che, pur ai suoi passi di avvio, avrebbe riscosso una diffusione straordinaria e, lentamente, sarebbe arrivata anche da noi.
Toni Muzi Falconi