Federica Carini
A valle dell’evento formativo organizzato da FERPI con ASviS, Federica Carini, socia FERPI, ha intervistato Fabio Iraldo, Professore di Management della Scuola Superiore Sant'Anna e coautore del libro "Oltre il greenwashing. Linee guida sulla comunicazione ambientale per aziende sostenibili, credibili e competitive", edito da Edizioni Ambiente.
Come scegliere gli strumenti e i canali più efficaci per far conoscere la propria policy ambientale e i contenuti del bilancio di sostenibilità?
La sua domanda è formulata in modo decisamente corretto: la policy e, in particolare, il bilancio di sostenibilità non sono strumenti autosufficienti sotto il profilo della comunicazione, ma sono invece un “serbatoio” di contenuti che vanno valorizzati rivolgendosi a una pluralità di stakeholder. L’oggetto stesso della comunicazione varia sensibilmente in funzione dei destinatari e degli obiettivi che l’azienda persegue rispetto ad essi.
Ogni destinatario presenta caratteri ben definiti, aspettative e capacità in termini di percezione delle informazioni ambientali e, pertanto, richiede un approccio linguistico, espositivo e di contenuti differente, veicolato attraverso strumenti e canali diversi. È proprio da un’analisi approfondita in grado di incrociare le caratteristiche dei target con gli obiettivi dell’azienda (accettazione sociale, legittimazione reputazionale, posizionamento competitivo, etc.) che deve scaturire la scelta degli strumenti e dei canali di comunicazione. Nel nostro lavoro “Oltre il greenwashing”, pubblicato da Edizioni Ambiente, abbiamo avuto l’opportunità di approfondirne alcuni particolarmente innovativi: dalle frontiere della comunicazione dell’impronta ambientale, all’uso dei canali social e dell’edutainment come chiave per raggiungere le giovani generazioni, le più sensibili secondo alcune recenti ricerche del nostro team in università, ma anche delle Nazioni Unite (si veda ad esempio il recentissimo People’s Climate Vote, UNDP 2021).
La scelta di un’impresa di privilegiare, nelle proprie strategie, l’uso di un determinato strumento non implica l’esclusione dell’utilizzo degli altri. Al contrario, il più delle volte il successo di una strategia di comunicazione nasce proprio dall’integrazione di diversi strumenti e canali e dalle sinergie derivanti dal loro utilizzo congiunto; ciò può contribuire, inoltre, ad ottimizzare l’uso delle (spesso limitate) risorse disponibili. A tal fine, è necessario però che l’impresa sia in grado di “assemblare” e di “calibrare” i diversi messaggi ambientali e di sostenibilità in funzione dei target identificati, differenziandoli nel declinare la propria comunicazione, ma salvaguardando l’univocità e la coerenza di fondo dei suoi obiettivi strategici e valori di riferimento.
Quali sono gli errori da evitare per non rischiare il "greenwashing" quando si affrontano temi di sostenibilità ambientale?
L’errore principale, padre di tutti gli altri, come ripeto spesso, è quello che generalmente viene compiuto in piena buona fede dalle aziende: un imprenditore o un manager si “innamora” di uno specifico aspetto della sostenibilità, lo persegue con grande impegno e dedizione, con notevole dispiego di risorse, e quindi vuole poi valorizzarlo fortemente sotto il profilo della comunicazione e del marketing, spesso trascurando alcune cautele fondamentali.
Da qui conseguono diversi rischi di greenwashing. Un primo rischio è quello di comunicare in modo frettoloso e troppo qualitativo o generico, senza fondarsi su robusti dati scientifici. Un altro errore comune è “forzare” i benefici ambientali o sociali conseguiti, presentandoli in modo eccessivamente enfatico ed esagerando i vantaggi comparativi rispetto ai prodotti o alle aziende concorrenti. Un ulteriore errore è quello che spinge i responsabili di un’azienda a puntare tutto su un particolare beneficio ambientale o sociale, incardinando su di esso l’intera strategia di comunicazione e di marketing, dimenticandosi però delle prestazioni su altri aspetti della sostenibilità, magari più rilevanti per quell’azienda, o addirittura nascondendo svantaggi ad esso legati (i cosiddetti “trade off”: utilizzo di materiali meno inquinanti, ma provenienti da luoghi molto lontani e quindi con grandi impatti ambientali dei trasporti), etc.
Insomma, quasi tutti i “peccati capitali” del greenwashing derivano da un eccesso nel voler valorizzare i frutti del proprio impegno ambientale e sociale in tempi troppo stretti, senza sufficienti evidenze o sottovalutando le esigenze di credibilità, completezza e rigore sempre più forti nei consumatori e negli stakeholder.
Fino a che punto l'innovazione, l'utilizzo di nuove tecnologie e dell'Intelligenza Artificiale possono servire a comunicare in modo trasparente l'impegno per la sostenibilità?
L’innovazione tecnologica e la disponibilità di nuovi media sta facendo compiere passi da gigante alla comunicazione della sostenibilità negli ultimissimi anni. Un punto nodale per l’efficace comunicazione è la possibilità di articolare i messaggi su molti livelli, in modo da offrire diverse chiavi di lettura e gradi di approfondimento agli stakeholder. Le aziende, per esempio, vogliono inviare ai consumatori messaggi accattivanti, molto sintetici ed emotivamente coinvolgenti, agli investitori trasmettere dati e indicatori di performance, alle comunità locali inviare segnali di rassicurazione sul contributo offerto allo sviluppo del contesto territoriale in cui sono insediate.
Le crescenti potenzialità dell’IT e del web, costituiscono in questa prospettiva formidabili opportunità per la comunicazione multi-livello. Il pregio principale dei social media, ad esempio, è proprio quello della stratificazione dei messaggi che la comunicazione web consente, grazie alla varietà di strumenti e di modalità di fruizione a disposizione dell’utente. Gli aspetti ipertestuali di internet, infatti, fanno sì che l’azienda possa “dosare” il numero di informazioni della propria comunicazione ambientale, diversificandola in base ai propri pubblici. D’altra parte, l’azienda che decide di valorizzare la sua identità o i suoi prodotti “sostenibili” attraverso i media digitali, deve farlo con la consapevolezza che questi canali sfuggono alle logiche di controllo sulla veicolazione dei messaggi e sull’immagine della marca proprie dei mezzi di comunicazione tradizionali e che le opportunità di comunicare efficacemente ai consumatori il proprio impegno ambientale e sociale possono essere colte solo attraverso una partecipazione trasparente e credibile ai dialoghi on line, rispondendo anche alle critiche più dirette e “senza filtro” a cui i social media la espongono.
Ma le enormi potenzialità della tecnologia permettono di pensare a soluzioni innovative anche sul punto vendita “fisico”. In un progetto sperimentale con GS1 Italy, il consorzio che gestisce il “codice a barre”, stiamo ad esempio predisponendo un’App per poter consentire ai consumatori più consapevoli e maturi di accedere, attraverso lettura del codice, a dati sull’impronta ambientale dei prodotti calcolata con il metodo LCA – Life Cycle Assessment ed opportunamente corredata di informazioni esplicative e di approfondimento sugli impatti che la generano.
Come l'azienda può creare engagement con i propri stakeholder per renderli protagonisti attivi del percorso di sostenibilità che comunica?
Anzitutto va chiarito che per poter creare engagement efficace con gli stakeholder, l’azienda deve prima compiere decisamente la scelta di considerare il tema della comunicazione ambientale come un ambito strategico per il management e per l’intera organizzazione aziendale. In altre parole, la comunicazione ambientale deve diventare un vero e proprio “processo aziendale”, di pari importanza rispetto ad altri processi tradizionalmente considerati “più strategici”. E questo processo deve avere l’obiettivo di costruire fiducia, credibilità e partnership nei confronti degli stakeholder, di innalzare la consapevolezza e perfino di fare in modo che gli stakeholder possano supportare i processi decisionali del management. Si possono distinguere, in questo senso, tre diversi livelli nella comunicazione ambientale, che variano a seconda dell’impegno e dell’apertura al dialogo dell’azienda. Al primo livello vi è una comunicazione ad hoc, adottata in risposta ad una specifica richiesta o lamentela. Al secondo, una comunicazione “pianificata”, che è unilaterale oppure bilaterale, quando avviene uno scambio di informazioni e di idee fra l’organizzazione e le parti interessate. Ma è al terzo livello che avviene l’”engagement”: un vero e proprio processo decisionale partecipato, che l’azienda può realizzare collaborando attivamente con le parti interessate e coinvolgendole nelle scelte decisionali che riguardano la sostenibilità. L’ultimo livello è, naturalmente, quello che suggerisco, e può essere messo in atto in molti modi: azioni per apprendere e per monitorare le percezioni e preoccupazioni ambientali degli stakeholder, “community sustainability audit” in cui si ingaggia la comunità degli stakeholder per esplorare insieme le opportunità di sviluppo collaborativo, “open doors” con le comunità locali, co-design della sostenibilità di prodotti e servizi in gruppi di lavoro con i clienti e gli stakeholder, etc.
Ciò che è essenziale per la buona riuscita di questi processi, è la capacità di mantenere costante la trasparenza e la pro-attività nel cercare il dialogo e la collaborazione con gli stakeholder, anche in situazioni di crisi o nel caso di eventi “avversi”, che possano minarne la fiducia.