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Italia: il PIQ, Prodotto Interno Qualità, al 47%

14/12/2011

Il nuovo misuratore dell’economia italiana, ideato da _Symbola_ e _Unioncamere,_ va ad affiancarsi al PIL, ormai ritenuto insufficiente per stimare il benessere. Quanta parte dell’economia italiana è riconducibile alla qualità? Secondo i dati recentemente presentati a Roma, il PIQ del nostro paese vale il 46,9% del Prodotto Interno Lordo.

La grave crisi economica e finanziaria in atto ha dato maggior forza al dibattito da tempo aperto per trovare nuovi indicatori da affiancare al PIL. Sulla scia di questa riflessione, Unioncamere e Symbola hanno avviato un cantiere e un laboratorio di pensiero – il PIQ, il Prodotto Interno Qualità – per provare a dare una misura economica a un valore apparentemente intangibile come la qualità. Quanto ambiente o fantasia, legame con il territorio o coesione sociale, diritti o benessere dei cittadini, c’è dietro una filiera produttiva? O in altre parole, quanta parte dell’economia del nostro paese, e quindi del PIL, è riconducibile alla qualità e come tale può essere misurata e monetizzata? Per fare questo è necessario leggere con occhi diversi l’esistente e trovare le corde giuste per attivare le energie migliori del nostro Paese. Il Prodotto Interno di Qualità (PIQ) si propone come una nuova misura dell’economia per analizzare meglio la situazione attuale e le tendenze in atto. Per leggere l’Italia, misurarne le evoluzioni e affrontare la crisi.
Il Rapporto PIQ realizzato in partnership con ENI e la collaborazione tecnica dell’ Istituto Tagliacarne è stato presentato oggi a Roma nel corso di un convegno in cui sono intervenuti Ermete Realacci – Presidente Symbola, Enrico Giovannini – Presidente ISTAT, Claudio Gagliardi – Segretario generale Unioncamere, Luigi Campiglio – Professore Università Cattolica Sacro Cuore Milano e Coordinatore scientifico PIQ, Livio Barnabò – Coordinatore tecnico PIQ e Nexen Business Consultant, Alessandro Rinaldi – Responsabile Area Studi e Ricerche Istituto Tagliacarne, Beniamino Quinteri – Presidente Fondazione Manlio Masi, Giuseppe Sammarco – Direttore Fondazione Eni Enrico Mattei, Luisa Todini – Presidente Todini Spa e Presidente Comitato Leonardo.
Frutto di un originale mix tra innovazione, ricerca, creatività e saperi territoriali, tutti tratti distintivi della soft economy, il calcolo del PIQ, riferito all’anno 2010, risulta elevato e pari al 46,9% del valore aggiunto prodotto a livello complessivo. In termini assoluti si tratta di un valore pari a 441.869 milioni di euro, che conferma come il nostro sistema produttivo abbia orientato le sue strategie di contrasto alla crisi economica intraprendendo profondi percorsi di ristrutturazione dei processi produttivi attraverso un rilancio competitivo del Sistema Paese che interessa tutta la linea di attività, dall’acquisizione e l’utilizzo delle materie prime fino alle tecniche e dei processi di produzione.
“Oggi più che mai”, spiega Ermete Realacci, “visto il momento di grave crisi che stiamo attraversando, sia il mondo della politica che quello dell’economia sono chiamati a ripensare la questione del rapporto tra quantità e qualità dello sviluppo. A rafforzare il dibattito per trovare nuovi indicatori da affiancare al PIL, per leggere meglio la situazione attuale e le tendenze in atto. La nostra proposta, dunque, è quella di trovare un nuovo strumento per misurare l’economia e provare, nella crisi, a cambiarla. Quella che emerge dal PIQ, del resto, è un’Italia che ha un grande bisogno di essere messa in rete, raccontata, rappresentata per quello che è, di riconoscersi in un progetto comune, quello della qualità, per essere più forte”.
“Per superare la crisi in Italia come in Europa occorre dare vigore a quella vitalità culturale che l’ingresso di nuove energie può garantire”, evidenzia il segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi“e occorre sostenere un nuovo modello di sviluppo centrato sulla ‘economia della qualità’, che ha i suoi punti di forza nei valori dell’ambiente, della sostenibilità sociale e della cultura produttiva del territorio. L’indagine sul Piq dà conto dell’impegno degli imprenditori italiani nel combinare economia e etica, valore del prodotto e del processo, legalità e rispetto dei saperi territoriali. Una sfida alla nostra portata, come dimostrano le imprese che, seguendo questi percorsi, contribuiscono a generale quel Prodotto interno qualità che rappresenta quasi la metà del Pil del Paese”.
Nello specifico, partendo dall’individuazione di una serie di indicatori settoriali espressivi delle varie dimensioni della qualità (professionalità, innovatività, solidità, relazionalità, ecc.), si è arrivati a stimare per ciascuna attività economica la quota parte di valore aggiunto di qualità. La somma delle quote così ottenute ha dato come risultato il PIQ relativo all’intera economia italiana. Al contempo, la metodologia seguita permette di individuare un’ampia area di non qualità o di qualità insufficiente (purtroppo ancora pari al 53,1%), alla quale si aggiunge tutto ciò che viene prodotto con l’utilizzo di lavoro irregolare o agendo comunque all’interno di quella che viene definita economia sommersa, danneggiando i consumatori e le tante imprese che operano in modo corretto e nel rispetto delle regole.
Dall’analisi della ricerca emerge una “convergenza di sistema” verso livelli di qualità sempre più elevati: attività industriali di rilievo come la chimica, la meccanica, l’elettronica e i mezzi di trasporto si distinguono con presenze di prodotto di qualità molto significative ma comunque non distanti da quanto rilevato per quelle attività del Made in Italy (dall’alimentare alla moda e all’arredamento) a più forte presenza di piccole imprese e più aperte ai mercati internazionali.
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