La comunicazione del PD: identità, coerenza e costruzione della rete
30/12/2013
All'indomani delle Primarie e dell'elezione di Renzi si è creato ancora maggior caos comunicativo in uno dei maggiori partiti del Paese. _Matteo Colle_ analizza la comunicazione del _Partito Democratico_ tra luci e ombre delineando una strada possibile su cui dovrebbe svilupparsi per relazionarsi adeguatamente ai propri elettori.
di Matteo Colle
Qual è l’obiettivo del PD nei prossimi 6 mesi? Su cosa sarà misurato? Sono queste due le domande che ci si può fare per ragionare sulla comunicazione del PD. Se, come è plausibile, l’obiettivo del Partito Democratico è quello di allargare il più possibile i suoi consensi elettorali per diventare determinante, se non autosufficiente, nella formazione dell’esecutivo prossimo venturo, allora vale la pena fare alcune considerazioni di massima per capire dove concentrare gli sforzi e su come ottimizzare le risorse.
1. Il PD non ha, almeno in apparenza, un problema di notorietà del brand. Non si tratta, dunque, di mettere in atto strategie che aumentino la conoscenza del marchio o dei vertici dell’organizzazione. Le primarie, la sovraesposizione mediatica di Renzi, fanno sì che il PD in quanto tale sia pressoché universalmente noto.
2. Il PD ha un problema serio in quella che, chi parla nel linguaggio del marketing, chiama coerenza delle manifestazioni. Il Pd viene rappresentato e declinato pubblicamente in modi molto, troppo, diversi tra loro. Certo, si dirà, un partito politico è un’organizzazione diversa da un’azienda qualsiasi. La pluralità di pensieri e opinioni è il valore aggiunto del chiamarsi democratici; eppure ciò non accade in tutti i partiti né in Italia né all’estero. Ciò che appare, a mio avviso, chiaro è che le differenti manifestazioni, che si traducono in dichiarazioni, prese di posizione e scelte diverse sulle medesime questioni, sono frutto non solo di volontà di distinzione personale (intollerabile in qualunque organizzazione orientata ad uno scopo comune), ma anche di differenze di valori e di identità; ci torneremo fra poco.
3. Forse il PD ha un problema, per dir così, di distribuzione locale. Se è vero che l’attuale vertice della comunicazione del Partito Democratico ha chiarito che occorre ripartire dai circoli, bisognerebbe capire bene cosa significano i circoli per il PD. Per un brand commerciale i luoghi fisici in cui si distribuiscono i prodotti rappresentano un asse strategico per due ragioni: sono il luogo in cui si può fare esperienza dei valori di marca e si può acquistare il prodotto.
Ora, per il PD i circoli non rappresentano né l’una né l’altra cosa. Pochissimi votano il PD perché lo “trovano” nei circoli e altrettanto pochi fanno esperienza del PD (delle sue proposte, delle sue idee) attraverso i circoli. Le sedi territoriali funzionano piuttosto come gangli dell’azione politica locale (in azienda direbbero “ la rete commerciale”). Ripartire dai circoli dovrebbe significare allora ragionare sull’organizzazione, su come farli diventare il fulcro o, meglio, le sinapsi di una rete di influenza e di influenti sul territorio che vada molto al di là dei militanti e che riconosca le reti di influenza naturali presenti in ogni comunità. In questa chiave l’impegno che si richiede a chi si occupa di comunicazione e organizzazione non è tanto la promozione dell’engagement del cittadino produttore di contenuti (che è cosa buona ma del tutto minoritaria), ma la valorizzazione e il sostegno dell’impegno territoriale dei militanti nella costruzione dei network di influenza territoriale e nella loro gestione.
4. Il PD ha con tutta probabilità un problema legato ai valori di marca, alla sua identità. Senza addentrarsi troppo nelle differenze tra il retaggio PCI-PDS-DS e quello DC-PPI-Margherita, è evidente che negli ultimi anni il partito non è riuscito a mettere a fuoco i suoi valori identificativi. Ha oscillato tra i valori tradizionali che hanno fatto capolino dalla pompa di benzina di Bettola: la tradizione, le feste dell’Unità, l’operaismo rivisitato nel richiamo alla dignità di Gianni Cuperlo, e quelli postmoderni che mettono al centro l’individuo, il merito, il ruolo della leadership.
Un dualismo non risolto che ha reso sfocata l’identità del PD e di conseguenza la sua comunicazione e che ha aperto le porte a processi di surrogazione dei valori del Partito con quelli della classe dirigente che si trova pro tempore a governarlo. E’ senza dubbio vero che stiamo transitando verso una democrazia dei follower in cui è centrale il ruolo dei leader nella costruzione del consenso, ma in questo traghettamento il rischio è che ai valori comunitari “forti” alla “Bettola maniera”, si sostituiscano valori comunitari “deboli” alla “Leopolda maniera”. In entrambi i casi si tratta di riferimenti originari e comunitari e per questo stesso esclusivi e segmentanti, in qualche modo esoterici, incapaci di allargare davvero il consenso al di là dei confini degli iniziati, e potenzialmente forieri di contrapposizioni ideologiche e non di merito. Se Matteo Renzi ha un merito, in questa fase, è di aver capito che la “Leopolda” può rappresentare un mito fondativo, ma non il motore identitario del nuovo PD e che alla comunità debole ma pur chiusa che icasticamente si rappresenta su Twitter, va sostituita una narrazione includente, capace di entrare nel quotidiano di chi la Leopolda non sa nemmeno cosa sia.