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La crescita delle Relazioni pubbliche

08/01/2011

L' _Economist,_ nell'ultimo numero del 2010, ha dedicato un focus sulla crescita della professione a livello mondiale e sul nuovo ruolo delle Rp. Lo riproponiamo con un commento di _Toni Muzi Falconi._

di Toni Muzi Falconi
Il 2010 per le relazioni pubbliche si è chiuso con la pubblicazione, nel numero speciale di fine anno, di un articolo del settimanale The Economist ove si profila la professione a livello internazionale.
Un articolo assai interessante che ha già suscitato notevole dibattito all’interno della comunità professionale e nei suoi immediati dintorni.
Intanto non è la prima volta che il più autorevole settimanale del mondo si occupa delle Relazioni pubbliche e un aspetto da segnalare è che, rispetto ai precedenti, questa volta il settimanale è stato assai più attento a non scrivere cose false. E già questo rappresenta un notevole passo avanti.
In secondo luogo la sintesi storica della professioni (tutta la prima parte) è sostanzialmente tratta dalla migliore letteratura critica sull’argomento. E anche questo è un progresso rispetto al passato.
Poi, per la prima volta, viene smitizzato lo stereotipo che le Relazioni pubbliche oggi siano soltanto strumento dei poteri forti, brutti e cattivi (una delle critiche più ricorrenti).
L’Economist dedica diversi paragrafi a illustrare come organizzazioni sociali, politiche e pubbliche usano comunemente le tecniche delle relazioni pubbliche per attirare l’attenzione dei rispettivi pubblici influenti.
Infine, l’articolo rende un po’ confusamente conto dello sforzo che la comunità professionale internazionale va compiendo per argomentare il valore che le relazioni pubbliche producono per le organizzazioni e la società. Certo, è vero che in larga parte questo sforzo viene individuato nei social media.
Ed è questa, secondo me, la parte meno positiva, poiché continua a rappresentarci quasi esclusivamente come spin doctor all’interno del sistema dei media (in questo caso, dei nuovi media).
Per quanto comprensibile – sia perché l’Economist tende automaticamente a sentirsi parte importante dello stesso sistema dei media, sia perché siamo proprio noi professionisti a non spiegare a sufficienza ai giornalisti in che cosa davvero consista il nostro lavoro (e quindi non abbiamo scuse
quando questi lo misintepretano..) – questa compulsiva identificazione delle relazioni pubbliche con la manipolazione dei media rende più difficile il nostro lavoro (so che alcuni non condividono..e che anzi preferiscono che la leggenda continui…ulteriore manifestazione della nostra cultura spin?).
In ogni caso non condivido lo scandalo che questo articolo ha sollevato presso i benpensanti della nostra comunità internazionale. Se fosse stato scritto un anno fa, sarebbe stato sicuramente peggio.
Chissà che l’anno prossimo non migliori. Dipende da ciascuno di noi, non dagli altri.
Scarica l’articolo sia in versione doc che in pdf.
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