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La mia azienda ha fatto Blog.

28/03/2006

Da L'Espresso di questa settimana un articolo sulle aziende che utilizzano i diari in Rete per cambiare la propria immagine.

Da L'Espresso del 17/03/2006
La mia azienda ha fatto blogdi Pier Andrea Canei
Le corporation iniziano a usare i diari in Rete per cambiare la propria immagine. E per creare comunità di potenziali clienti. è la nuova sfida della Net economy.David Weinberger, newyorchese filosofo e guru del digitale, è noto nella comunità di Internet come l'uomo che ha scritto il Cluetrain Manifesto: una sorta di 'Capitale' del pensiero Web per le aziende, considerato una pietra miliare della Net Economy. Attualmente professore associato per il dipartimento di Internet & Society alla Harvard Law School (la scuola di legge più prestigiosa del pianeta, dicono), è anche impegnato a compilare i suoi cinque blog e ad ammaliare dirigenti d'azienda in una mini tournée europea promossa dalla Edelman, società di consulenza specializzata in relazioni pubbliche ad alto livello.Ma chi si aspetta un consulente tutto tirato, di nero vestito e magari con tre blackberry in tasca, è fuori strada. E si trova invece di fronte a un signore affabile e un po' arruffato, che rivendica la sua appartenenza alla generazione di Woodstock, che magari non sfigurerebbe a un cocktail di 'Hannah e le sue sorelle' (e in effetti, nel curriculum del professore c'è anche una collaborazione nella squadra di battutisti di Woody Allen) e si scompone solo davanti a un riso al salto che stuzzica la sua diffidenza di vegetariano. E subito la conversazione scivola verso il surreale.Mister Weinberger, ha sentito? Ora ci sono anche i Freegetarians, sottogruppo dei vegetariani che cerca il cibo tra l'immondizia per minimizzare lo spreco di risorse alimentari nel mondo... "Ah sì? Molto interessante. Io invece conosco i Breathetarians, un gruppo che propugna il nutrimento a base di sola aria. Un'altra nuova tendenza diffusa via Internet, pare. Però sembra anche che non ce la facciano e mangino qualcosa di nascosto. Insomma, un ennesimo falso ideologico in Rete.".Magari lo è anche la notizia dei Freegetarians: era riportata stamattina sul blog aziendale della Benetton. Un buon esempio di quel che lei va propugnando: il blog attraverso cui l'azienda si propone alla comunità... "Sì, ma non sempre e non necessariamente. Può funzionare benissimo per dare un volto umano ad aziende tecnologiche. Un caso lampante è quello della Microsoft , che recentemente ha assunto Robert Scoble, ingegnere informatico che già godeva di grande seguito in Rete, come osservatore sulle cose dell'azienda, in qualità di blogger con licenza di parlare liberamente. Alterna critiche anche forti ai prodotti della casa ad annunci promozionali, ma è sempre credibile: raccoglie i malumori, dà spazio alle critiche. E contribuisce a dare a Microsoft un volto più umano".Assunto per agire da voce indipendente? Come un ombudsman, il garante del lettore per i giornali americani? "Una specie. Ma non dimentichiamoci che dietro il suo blog c'è una strategia d'immagine e di promozione dei prodotti della casa. Un altro ottimo esempio di blog aziendale è quello di Bob Lutz, 72enne vicepresidente della General Motors, che dal sito ufficiale della corporation di Detroit aggiorna regolarmente il suo spazio, Fast Lane. Dove parla in maniera molto diretta, talvolta disarmante, dicendo cose tipo: 'Mah, non è che io sappia tutto, però.'. Così la sua diventa la voce umana della mega azienda, in contrasto con il resto del sito, che dà l'idea di una perfezione improbabile.Insomma: la voce del padrone dev'essere calda e amicale? "Sì, ma non soltanto. La grande cosa dei blog è che diventando spazi reali di incontro e di confronto, contribuiscono a creare il mercato. Il pericolo per molte aziende è pensare al mercato in termini astratti, di mera fascia sociale o demografica da raggiungere. Grazie a Internet, però, i componenti del gruppo demografico che interessa all'azienda possono incontrarsi all'istante, parlarsi, formare gruppi d'opinione e d'interesse. E così si formano spazi molto vivi e il mercato diventa una cosa reale".Tutto ciò sarebbe facilmente applicabile anche in politica. "Ci sono delle affinità, ma anche delle assonanze pericolose. L'obiettivo del business è piazzare un prodotto, quello della politica è piazzare un candidato. Per fare questo, si ricorre sempre più anche a Internet, ma solo per diffondere il culto della personalità. L'esatto contrario della democrazia. E allora un blog, per sua natura uno strumento democratico, è il posto sbagliato".Però potrebbe avere una sua validità per sondare gli umori dell'elettorato. "Non credo, per una ragione molto semplice: se si vogliono sondaggi semplici e affidabili, bisogna formulare domande semplici, indirizzando le risposte. Un blog serve più per approfondire, dibattere e dunque addentrarsi nelle complessità. La politica segue logiche di mercato: e dunque rifiuta la complessità, cerca lo slogan, il messaggio elementare e monocorde. Per questo non è facile fare un blog che funzioni in politica".A proposito, lei è stato tra i consulenti della campagna elettorale per Howard Dean, sconfitto (da John Kerry) nella corsa alla candidatura dei democratici alle presidenziali Usa del 2004. Un'esperienza amara? "Assolutamente no: semmai un'esperienza felicissima con un finale triste. La cosa straordinaria è stata come il partito dei sostenitori di Howard Dean si sia largamente formato in corsa, e proprio attraverso Internet: c'è stato un vero dialogo tra il candidato e i sostenitori, dialogo che ha inciso in modo visibile sulla piattaforma elettorale".Ma lei come è stato reclutato? "Non sono stato reclutato: mi sono offerto volontario. Lo stimolo è venuto da Joe Trippi, il manager italoamericano della campagna: lui è stato il vero cervello dell'operazione, e ha saputo fare un grande uso dei nuovi strumenti di comunicazione. A me la campagna è piaciuta ancor più del candidato". E poi, attraverso i siti Internet sono arrivati anche i soldi... "Certo, e molti. Purtroppo. Perché anche i democratici ne hanno subito tratto la lezione sbagliata: e cioè che Internet sia essenzialmente uno strumento di 'fundraising', di raccolta fondi". E invece? "E invece la grande lezione è che, creando un luogo reale su Internet, un semi sconosciuto governatore del Vermont, una personalità non facile, intelligente, eccentrica, appassionata, ha messo su una grande comunità di sostenitori, volontari che non solo diffondevano il messaggio di un leader, ma contribuivano a definirlo attraverso scambi continui di messaggi e d'opinioni. Si è creato un movimento autentico, fatto di connessioni laterali e non di diktat dall'alto".Se ne possono trarre deduzioni a futura memoria elettorale? "Sì. Il Web è uno strumento intimamente democratico e può farci uscire finalmente da quest'epoca di campagne televisive, basate sull'aggiramento dei rischi attraverso la ripetizione all'infinito di messaggi generici, di spot".La sua passione per la politica è un fatto generazionale? "In parte: vede, sono un liberal di Boston, un vecchio hippy. Non posso fare a meno di essere politico. Ai tempi ho evitato il Vietnam per un colpo di fortuna: la lista dei coscritti era basata su un'estrazione a sorte tra i compleanni degli arruolabili, e il mio non fu estratto. Ma non sarei comunque stato assegnato al fronte: ero già stato classificato come pacifista".Come saggista lei sta rimettendo in discussione l'idea stessa di classificare. "Sì: con il mio ultimo saggio,'Arcipelago Web', e con il prossimo ('Miscellaneous Everything', in uscita nel 2007) affronto i temi del knowledge management, della gestione dello scibile nell'era di Internet. L'idea è di abbattere gli alberi e le ramificazioni della classificazione 'autoritaria' del sapere, per arrivare a un mucchio di foglie per terra, collegate in modo organico e libero".Ci sono già esempi di questa libera redistribuzione del sapere? "Certo, e li abbiamo sotto il naso: il modo in cui i media tradizionali, con le loro testate e la loro autorevolezza, dispongono informazione e opinioni in ordine gerarchico è completamente aggirato, quasi sovvertito dalle comunità dei blogger. E nascono siti come Digg.com, in cui sono i lettori, con le loro preferenze, a prendere in mano le redini della direzione editoriale".A questa nuova visione è centrale anche il concetto di "metadati", ovvero la moltitudine di criteri in base a cui ogni cosa è classificabile. Ad esempio: la data di apparizione di un articolo, o il numero di segnalazioni che lo evidenziano, sono metadati relativi a quell'articolo... "Non c'è bisogno di classificare le cose: basta dare ai fruitori accesso a più metadati possibili, e mettere nelle loro mani gli strumenti per manipolare le ricerche. Già succede qua e là, come in un grande database dell'industria petrolifera, in cui sono catalogati 25 milioni di parti meccaniche che gli utenti possono ricercare e raffrontare con grande libertà, fino ai programmi educativi della Bbc, resi disponibili via podcast e ricercabili attraverso una grande quantità di metadati".Quali sono le buone idee che sta vedendo nascere su Internet adesso? "Tutte quelle che permettono alla gente di comunicare tra di loro in modi nuovi: negli ultimi anni lo hanno fatto Wikipedia, la famosa enciclopedia on line, e Craigslist, il sito di annunci gratuiti. Ma anche MySpace.com, recentemente comprato da Murdoch, o il sito per studenti FaceBook.Chi riesce a creare la piattaforma più libera, flessibile, manipolabile dagli utenti. E per un vecchio hippy come me è come se ripartisse la 'Summer of Love': tutte le cose che la mia generazione ha sempre sognato, pian piano, sembrano potersi realizzare".
 
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