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La subalternità della cultura politica al culto dell'immagine (e della visibilità mediatica)

11/05/2004

Dal quotidiano Il Riformista (3 maggio 2004) un approfondimento sulla comunicazione politica del nostro socio Mario Rodriguez

CANDIDATI. IL LOOKSALVATOREFassino sta a Ferilli come l'Ulivo a LilliSi scambia ancora l'essere con l'apparireForse nel prossimo numero di New Politics potremo celebrare un altro breaktrough dei consulenti d'immagine: lo shampoo antiforfora che schiarisce le idee dei leader politici, visto che sono riusciti a sostenere che il parrucchiere della Ferilli ha fatto vincere Fassino nella gara della audience televisiva con Berlusconi. Siamo al paradosso della comunicazione: quello che succede, le cose che si dicono, il modo in cui si dicono passano in secondo piano. Il fatto di aver acquisito sicurezza dall'esperienza e dal ruolo non contano. Nemmeno le cose più tecniche: il programma tv che traina o quello che concorre non hanno peso. È il nuovo look che vince e Fassino ha cambiato pettinatura! Non è più nemmeno l'immagine, il re è nudo, è il look che conta. Ma quello che colpisce della vicenda non è tanto il comportamento del consulente che vive di questo e se ne vanta, ma che questa cultura avanzi a sinistra senza alcuna opposizione. Cioè che chi si occupa della comunicazione dei Ds non provi a correggere il tiro non si impegni a chiarire cosa si intende per comunicazione e come la si mette in pratica. Stupisce anche che Fassino non si inalberi come fece quando suoi occasionali collaboratori ebbero la sciagurata idea di millantare su un magazine il proprio contributo alla sua campagna elettorale.Lasciamo stare se sia professionalmente apprezzabile che un consulente si faccia reclame utilizzando il cliente; lasciamo stare pure se le attenzioni date al suddetto consulente dalla stampa rispondano a oggettive esigenze giornalistiche o se rappresentino un'ulteriore evidenza di una drammatica crisi di autoreferenzialità e amicalità. Concentriamoci invece sul segno profondo di questa vicenda.Il Corriere della Sera ha doverosamente riflettuto sul fatto che Fassino a Porta a Porta ha fatto più audience di Berlusconi. È un segno evidente che qualcosa è cambiato, che re media forse non è (più?) il grande comunicatore. È forse anche il segno che Fassino si rafforza e migliora nelle sue prestazioni televisive. Il margine non è grande, ma il fatto è importante e il quotidiano milanese gli dedica in prima pagina la riflessione di uno dei suoi migliori commentatori, Aldo Grasso. Seguito a pagina 11, dove in apertura un titolo a sette colonne approfondisce il tema: è chiaro e come non averlo capito prima, Fassino ha cambiato look, è andato dal coiffeur della Ferrilli che non desiderava altro che interessarsi di una testa così. Ecco la relazione affascinante tra pettinatura e idee politiche, si aprono nuove prospettive.Il problema che si rende evidente è però un altro: la permanente subalternità della cultura politica, anche quella di sinistra, a questa impostazione che confonde look e comunicazione, immagine e identità, per non parlare di reputazione. Subalterna al berlusconismo anche nel momento in cui Berlusconi sembra un comunicatore spuntato. Certo il problema è anche quello di una stampa affamata di mini scoop e in evidente difficoltà a trovare il registro giusto per parlare di sé nella nuova realtà della comunicazione.Una conferma viene dalla candidatura di Lilli Gruber a capolista dell'Ulivo alle elezioni europee. Siamo lontani dagli indipendenti di sinistra degli anni Settanta, dall'ambizione di rappresentare la complessità della società e le nuove competenze. Qui si individua un soggetto da proporre in posizione di leader. Ecco il legame tra Fassino che non prendere le distanze dai venditori di look e l'Ulivo che candida la Gruber! Anche nell'Ulivo si crede che sia il successo televisivo l'elemento basilare per il successo politico. Ma un critico non sarà mai un artista, Tosatti non potrà mai essere Totti, vale per la musica, il cinema, ma anche per la politica. Allora un editorialista (ammettiamo pure che un anchorman sia un buon editorialista), anche il più brillante, non potrà mai essere, solo per questo, un buon leader politico.La porta girevole tra media e politica è di vecchia data ma la candidatura della Gruber, più ancora di quella di Santoro, mette in luce un atteggiamento di subalternità della cultura politica nei confronti della visibilità mediatica. E così si fanno due gravi danni: si continua a sminuire la politica, ma se la politica non ha la forza e il coraggio di promuovere se stessa e nei grandi appuntamenti si affida ai già noti e famosi per attrarre gli elettori come potrà mai ritrovare una propria ragione d'essere nell'epoca del dominio della tv? Si ritaglia un ruolo di secondo piano dietro le quinte: noi manovriamo le preferenze e offriamo le candidature ma sono altri che possono attrarre i voti.E poi non si conferma così la forte politicizzazione del mondo giornalistico Rai? Non si dà un indiretto appoggio alle accuse di Berlusconi sul lato politico e a quelle di Bossi sul lato della romanità dall'altro? Ma poi perché i giornalisti, soprattutto quelli di grande fama che non avranno mai problemi di stipendio e collocazione professionale, accettano queste proposte? Non indeboliscono così la professione giornalistica? Non converrebbe che mantenessero una politicizzata tensione verso la neutralità?In attesa che la nuova politica (anche quella italiana) trovi il proprio modo di stare nella società della comunicazione dominata dalla tv e in questo modo solleciti anche altre professionalità - cominciando da quella giornalistica - a trovare il modo appropriato di vivere il proprio tempo, attendiamo quindi che qualcuno lanci lo shampoo antiforfora che schiarisce le idee. E che anche il maggior quotidiano nazionale gli dedichi la doverosa attenzione. Mario Rodriguez
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