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L'avvelenamento dei pozzi e l'impatto sulla nostra professione

17/01/2006

Il corsivo di Toni Muzi Falconi sulle ultime vicende politico-mediatiche.

Chi legge i quotidiani, segue le vicende politiche, e sostiene il Premier in buona fede -  e parliamo sicuramente di un bel numero di persone - ha potuto farsi una idea esplicita della campagna di avvelenamento dei pozzi che il Premier ha innescato, senza apparente intenzione di fare prigionieri.La chiamata in causa di alcuni vertici dell'opposizione fatta dal Cavaliere a Porta a Porta, e poi nella improvvisa conferenza stampa di Sabato scorso - al solo scopo di oscurare sul sistema dei media l'insperato risultato della delicata Direzione diessina sull'affaire Unipol, si è subito rivelata per quello che era: una vera e propria bufala, ma consapevole, voluta e programmata nella sua comunicazione - che dava implicitamente per scontata l'immediata smentita delle Generali e l'inconsistenza dello scoop sui diversi incontri del suo Presidente.Una comunicazione realizzata al solo scopo di irrorare ulteriore sterco sulla nostra politica e sul nostro Paese, mirando esplicitamente a insinuare dubbi sui comportamenti dell'opposizione in tutti quei cittadini (e sono tantissimi) che si limitano a guardare la televisione e non leggono i quotidiani.La riflessione più strettamente professionale ci porta a distinguere fra i due modelli: quello unilaterale, persuasivo, asimmetrico e che conta sull'effetto annuncio, e quello a due vie, dialogico, tendenzialmente simmetrico, che invece conta sulla comunicazione dei comportamenti. Nessuno, in tanti decenni che il primo modello è stato prevalente nella nostra società occidentale ed anche 'esportato' nei paesi in via di sviluppo, ha mai negato la sua efficacia. Ma neppure i suoi tanti 'effetti collaterali'.Intendiamoci, tutti e due i modelli si prestano alla manipolazione, al cinismo, a quel vizio di 'eticità' degli italiani di cui parlava Giovanni Zibordi ancora ai primi anni venti del secolo scorso, e non credo sia un errore immaginare che se anche il nostro 'grande comunicatore', anziché applicare il primo modello imparato in tanti anni di 'push' pubblicitario che ha contribuito a fare la sua enorme fortuna economica insieme alle tante scorciatoie consentite dal suo rapporto di scambio' favori-spazi tv con i principali poteri forti' della politica e della finanza, fosse stato esposto al secondo modello, le cose non sarebbero necessariamente migliori.I vizi comportamentali ed etici prescindono dal modello che è neutro, ma quel che cambia è invece la percezione degli altri, che se soltanto fossero consapevoli dell'opzione fra i due modelli e delle relative conseguenze, sarebbero meglio in grado di esprimere un giudizio sensato sulla situazione. Ed è questo che tocca a noi fare: far sapere che i due modelli esistono, possono convivere per esigenze diverse, e che il secondo è più connaturato a quella società laica, liberale, competitiva e democratica che a molti di noi piace assai di più di quella confessionale, corporativa, e declinante in cui viviamo oggi.Per capire meglio il confronto è sufficiente leggere, in questo stesso sito, il bel saggio sui due modelli applicati alla public diplomacy dell'amministrazione americana.
Toni Muzi Falconi
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