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Le armi di BAE Systems

17/05/2005

Un articolo di Paolo D'Anselmi.

Ancora una volta: Quis fuit horrendos primus qui protulit enses. Parliamo di armi e ripartiamo dalla domanda di Tibullo, che serpeggia nel bilancio sociale di questo business. Vediamo se BAE Systems se la pone. BAE, forse British Aerospace, ma non lo dice da nessuna parte il Corporate Responsibility Report 2004. Per essere a casa ovunque nel mondo, le aziende oggi cercano l'anonimato post etnico dietro nomi di fantasia (Accenture) o latini (Vivendi) o in lingue così esotiche da risultare un efficace esperanto (l'arredamento Ikea) e infine in sigle dalle tracce dimenticande.Comunque BAE è la multinazionale inglese di cui Finmeccanica, insieme alla francese Thales, è concorrente. Persone 90.000 nel mondo e fatturato pari a 36.000 miliardi del vecchio conio. Un oggetto dello stesso ordine di grandezza di Fiat. Armi vuol dire: radar, avionica, aerei, navi e sottomarini militari più spiccioli per il civile. È consapevole di stare nella esportazione di armi e riconosce "la nostra responsabilità specifica di comprendere le preoccupazioni degli altri".Fa un po' di teoria sullo stakeholder engagement, cita la buona recensione del Dow Jones Sustainability Index assessment, ma a pagina 10 entra nel vivo e pone il primo dei due temi caldi: i sussidi dallo stato. Cioè: le commesse pubbliche sono dei sussidi e sua maestà britannica spende per voi cifre che sarebbero meglio impiegate altrove. Questo è il punto di vista del Basic British American Security Information Council, una casa di analisi indipendente con la quale Bae ha attivato un dibattito sull'impatto dell'azienda nella economia della nazione (inglese). Bae dice di no, che loro sono molto competitivi, che vendono le loro cose a prezzi giusti. Se così non fosse non avrebbero clienti in 130 paesi del mondo. Delicato che il punto di vista del Basic viene messo in pagina con un corpo più grande del resto.Dopo l'impatto economico, il secondo punto tratta le modalità di interazione coi clienti, vulgo la corruzione. Le armi si vendono in modo oscuro. Si spertica a mostrare come l'azienda si dia da fare per attuare le leggi anticorruzione. Bisogna ammettere che è un terreno difficile in tempi in cui tutti quanti nel mondo fanno almeno una fattura falsa. Però c'è un interessante tentativo di introdurre un indicatore di compliance attraverso i numeri delle telefonate ad una hotline globale che "nel 2004 ha ricevuto 42 richieste di aiuto; di queste 26 erano relative a questioni di gestione del personale, 11 erano richieste di chiarimento, 2 erano casi di sospetta corruzione e 3 riguardavano questioni ambientali".Succinto e compendioso, a pagina 31 prende commiato il report: "noi abbiamo detto la nostra, a voi la parola". Convince il modello seguito: "la responsabilità del nostro lavoro si esprime prima di tutto nella buona pratica degli affari", il buonismo viene in coda. Forse ci potrebbe elencare i paesi clienti, ma sono quasi tutti quelli del mondo e sarebbe più una curiosità che un oggetto di trasparenza. Non v'è poi traccia degli standard della GRI. Infine sarà pure sciocco ma le pagine a sfondo scuro non sono printer friendly né lettore friendly.E Tibullo? Il report non raccoglie lo stigma sui costruttori di armi che è portato dalla domanda. La responsabilità del fabbricante si risolve nella ricerca della piena avvertenza e deliberato consenso di chi compra. Se le risposte del report non sono proprio appuntite, non chiediamo troppo allo strumento che ha il compito principale di attivare e registrare un dibattito. Il dibattito è già una buona risposta.Paolo D'Anselmi
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