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Le relazioni pubbliche contano più dell'advertising

25/11/2010

Il mondo della comunicazione sta affrontando un grande cambiamento. Negli ultimi vent’anni la pubblicità è passata dall’avere un ruolo strategico ad un ruolo tattico, lasciando sempre più spazio alle Rp. Un’approfondita analisi della situzione di _Andrea Barraco._

di Andrea Baracco*
*direttore communication & public affairs
Renault Italia SpA
Sul numero di settembre di Prima la rubrica curata da Brutus riporta una vicenda che rispecchia la profonda trasformazione in cui oggi si trova la industry della comunicazione.
Credo che sia sufficiente sottolineare alcune evidenze per tracciare uno scenario che, se in alcune parti è molto chiaro, in altre deve essere ancora scoperto e può anche offrire delle opportunità.
Le crisi dell’advertising che si sono succedute dagli anni Novanta fino a oggi hanno portato di fatto alla nascita di moltissime strutture di dimensioni variegate, che hanno amplificato la competizione spostando l’asse competitivo sul costo senza danneggiare la qualità. Molte sono state fondate da persone con esperienza e credibilità provenienti dalle multinazionali dell’advertising. Il risultato è: identica creatività a costi inferiori. L’agenzia è ‘liquida’.
Lo stesso approccio delle aziende alla pubblicità è cambiato: da leva strategica (anche per via dei costi) a strumento tattico. La necessità di ottimizzare le risorse e la competizione tra prodotti ha portato a una dimensione molto commerciale del messaggio.
Un tempo l’agenzia era il ‘consulente’ della comunicazione con rapporti molto stretti con il top management, oggi è considerata un fornitore di commodities e di conseguenza ha perso il suo ruolo totemico. Il taglio dei budget e il lavoro a fee hanno fatto il resto.
La struttura delle agenzie si è dovuta adeguare, ha tagliato i costi, è diventata più snella e flessibile. Così il mondo delle agenzie è oggi l’avanguardia del precariato, di tutte quelle forme contrattuali spurie che stanno tracimando anche nell’industria.
Vero è che si sono perse delle professionalità e che il processo di trasferimento del sapere si è fermato, lasciando una certa approssimazione nell’approccio strategico e focalizzandosi sulla ricerca dell’idea piuttosto che del concetto di cui poi l’idea dovrebbe essere l’espressione creativa.
“Company behind the brand” recitano gli americani, e in effetti sta acquisendo importanza il tema della reputazione dell’azienda; i temi della green economy e il consumerismo coinvolgono non il prodotto ma l’azienda; la necessità di non comunicare solo i prodotti che hanno cicli di vita o che possono rivelarsi dei fallimenti ha portato le aziende a una diversa e accresciuta attenzione al tema della comunicazione corporate.
Alcune società di head hunting hanno iniziato a creare un’area specializzata nella ricerca di cco, corporate communication officer.
La parte comunicazione corporate presenta alcune caratteristiche che la pongono al centro dell’attenzione aziendale, sia per la posizione nell’organigramma, quasi sempre direttamente correlata ai vertici aziendali, sia perché agisce su stakeholder e shareholder contribuendo alla creazione di un valore ‘immagine’ che può essere più stabile di una quota di mercato e, se gestito correttamente, risulta di grande rilevanza per l’attrazione delle migliori risorse e per la value perception dell’azienda.
Un tempo le star dell’advertising imperversavano ed erano interpellate su tutto. Ma l’epoca della ‘Milano da bere’ con Gavino Sanna in Italia, Séguéla in Francia, i fratelli Saatchi a Londra è un ricordo appannato. Oggi personalità simili con il loro ingombrante ego sembrano non più attuali. È la democratizzazione dell’advertising.
L’opportunità è quindi delle agenzie di relazioni pubbliche che potrebbero avere in questo decennio l’importanza e il ruolo che 20-25 anni fa hanno avuto le agenzie di pubblicità. Su questo terreno però si sente l’assenza di Assorel, che sembra non aver capito la posta in gioco e si trastulla con le classifiche invece di preoccuparsi di rendere evidente questo mutato scenario. Sei anni fa un libro The Fall of Advertising and the Rise of Pr aveva già evidenziato questa tendenza. Sarebbe stata una buona idea invitare l’autore per un paio di conferenze in cui illustrare i contenuti del libro e sensibilizzare su questo cambiamento in atto. Se poi l’autore non è uno sconosciuto ma si tratta di Al Ries, il teorizzatore di Marketing è guerra e Positioning, l’errore è strategico.
A questo aggiungiamo anche Philip Kotler, che nell’ultima edizione di Marketing Management introduce il concetto di Marketing Public Relation (Mpr): allora vuol dire che qualcosa nel mondo della comunicazione sta accadendo, che le gerarchie che conosciamo stanno cambiando e che si aprono delle opportunità. Occorre quindi rivedere il paradigma della comunicazione capendo che si gioca in maniera differente, che anche il modello di business deve cambiare e che la differenza sta in un passaggio dalla logica del big bang (idea) a quella dello slow build up (concetto). “Creative public relations can affect public awareness at a fraction of the cost of advertising”, parola di Kotler. Ps: ditelo anche agli editori e alle loro concessionarie di pubblicità. Credono ancora di essere nei fantastici anni Ottanta e vendono ancora spazi, forse dovrebbero iniziare a vendere progetti di comunicazione integrata.
Tratto da Prima Comunicazione
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