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Neuromarketing: alla scoperta di una disciplina ancora sconosciuta

02/04/2015

Biagio Oppi

Intervista a due cervelli italiani… non in fuga. Dalle neuroscienze al neuromarketing, dall’Italia a Londra. Biagio Oppi intervista Lucia Carriero e Francesco De Fina.

Interrogandoci sui continui cambiamenti nel mondo della comunicazione e delle relazioni pubbliche, continuiamo la nostra esplorazione in altri Paesi incontrando una disciplina ancora non conosciutissima: il neuromarketing. In questa intervista ci rivolgiamo a una coppia di italiani, neuroscienziati che dall’Italia si sono spostati in Gran Bretagna, dove insieme alle loro attività di ricerca hanno fondato una società che si occupa di neuromarketing.

Ho avuto l’opportunità di conoscere Lucia Carriero e Francesco De Fina, fondatori della Neuroset, dopo aver seguito alcuni seminari via web e in seguito ad un post sul mio blog, e da allora abbiamo cominciato a discutere di neuromarketing.

Che cos’è il neuromarketing?

Il neuro marketing è una nuova disciplina scientifica che combina le neuroscienze, l’economia e la psicologia per comprendere il comportamento del consumatore. Il neuro marketing studia i desideri suscitati da un certo prodotto o l’impatto emozionale di un certo spot, a livello subliminale, e lo fa indagando cosa succede nel cervello in meno di mezzo secondo o addirittura in meno di ottanta millesimi di secondo. In pratica, è come andare a scoprire i processi mentali inconsci prima che vengano espressi verbalmente, prima che vengano formulate le preferenze esplicite. Il neuro marketing si avvale dell’uso di tecniche di indagine sofisticata come la risonanza magnetica funzionale, l’elettroencefalogramma, il gradiente di sudorazione della pelle, il cambio di frequenza del battito cardiaco, la misura della dilatazione pupillare e della direzione dello sguardo. Ad esempio, se siamo davanti a uno scaffale di bottiglie di vino al supermercato, la nostra scelta di acquisto sarà motivata da una serie di valutazioni inconsce. Prima di tutto il design di una bottiglia specifica si imporrà alla nostra attenzione, attivando porzioni della corteccia visiva e delle aree associative. Il colore, la forma della bottiglia, se tonda o allungata, sono tutte informazioni che il nostro cervello elaborerà come più o meno salienti, a livello subliminale. Poi la marca. Cercheremo in memoria esperienze passate con quella marca e cercheremo di ricordare se l’abbiamo già sentita nominare o se qualcuno ce ne ha già parlato. Possiamo anche evocare il sapore del vino. Il nostro cervello non farà distinzione tra l’immaginazione di un certo gusto e la sensazione reale. Ecco, il neuromarketing si propone di dettagliare ciascuno dei questi processi mentali non coscienti. Il neuro marketing è usato anche per scopi etici e “green”, come ad esempio nelle campagne di prevenzione del fumo, per capire quali slogan e quali immagini sono più efficaci sui pacchetti di sigarette per scoraggiare i fumatori.

Negli Stati Uniti pare ormai una disciplina piuttosto matura. Quale è la situazione in Europa e in Italia?

In Europa la situazione è multiforme. Se in alcuni Paesi, come la Francia e l’Italia, è addirittura vietato usare tecniche come la risonanza magnetica per scopi non clinici, in altri Paesi più all’avanguardia come in Gran Bretagna, Olanda, Germania e Belgio, il neuro marketing ha fatto passi da gigante. Molto spesso si sottovaluta l’impatto positivo dell’uso di queste tecniche. Si pensa che siano puramente manipolatorie e che agiscano a scapito del consumatore. Vorrei rassicurare che non è così. Comprendere cosa piace veramente al consumatore, fare affidamento ai suoi istinti e alle sue emozioni inconsce, aiuta a risparmiare i costi di lanci promozionali che molte volte si rivelano dei flop. Uno studio di neuro marketing ben formulato, può aiutare a ottimizzare i costi della pubblicità e avere una ricaduta in termini di prezzo finale più basso del prodotto.

Raccontaci un po’ della vostra storia personale e professionale: dalle neuroscienze al CNR per arrivare a Londra con il neuromarketing… senti che l’etichetta di cervelli in fuga calzi nel vostro caso? Cosa manca all’Italia?
Noi siamo approdati al neuro marketing partendo dalle neuroscienze; io ho preso il dottorato in Italia, alla Sissa di Trieste, e Francesco si è laureato in ingegneria informatica all’Università di Bari. Poi abbiamo girato un po’ l’Europa lavorando in strutture all’avanguardia come il Max Planck a Monaco di Baviera, il CNRS in Francia e il Biomedicum a Helsinki. L’idea di stabilirci in Gran Bretagna, e precisamente a Londra, è nata così per caso, o forse dopo che abbiamo conosciuto via Twitter il responsabile scientifico di un centro di -imaging nel cuore della City. Con questo centro abbiamo stabilito una partnership, che ci permette di offrire studi di risonanza magnetica molto all’avanguardia. Non siamo cervelli in fuga dall’Italia, stiamo invece cercando di stabilire connessioni con i ricercatori e i professionisti di marketing nel nostro Paese. Abbiamo stabilito una collaborazione molto proficua con l’Università di Bologna e siamo all’interno del Consorzio per lo studio della neuro-estetica con l’Università di Siena e di Modena – Reggio Emilia. E poi stiamo creando, insieme ad altri professionisti italiani molto preparati, un Centro Studi a Parma (BrainComm) per approfondire le tematiche del neuro marketing e della comunicazione efficace. Credo che la ricerca e l’innovazione stiano ripartendo in Italia. Ci sono nuovi germogli e possibilità emergenti, secondo me.

Per capire meglio cosa fa una società di neuromarketing… Ci racconti in quali attività è specializzata e a quali clienti si rivolge?

Proverò a spiegare cosa facciamo con un esempio. Poniamo che l’azienda X, produttrice di automobili, stia progettando una nuova versione di vettura, la variante di un modello che è già presente sul mercato. Nella nuova versione gli specchietti laterali sono, poniamo, di colore differente rispetto al resto della carrozzeria. L’azienda vuole conoscere l’impatto di queste piccole variazioni di design sulle preferenze e i desideri del consumatore, se sono percepite come migliorative, e quindi invogliano di più all’acquisto. Quello che fanno le multinazionali a questo punto, è commissionare dei focus – group, ovvero chiedere l’opinione di gruppi di consumatori riuniti in una stanza. Ma i focus – group presentano un limite. I consumatori esprimono opinioni, dicono se gli piace o meno il nuovo colore degli specchietti, comunicano preferenze che possono anche essere influenzate da fattori intrinseci, come il desiderio di compiacere gli altri, di mostrare il proprio punto di vista nel gruppo, la necessità di fornire una risposta qualsiasi anche se “guidata”. A differenza delle opinioni, che possono cambiare a seconda del contesto, dell’umore o anche dell’educazione, il cervello reagisce a uno stimolo visivo nello stesso modo per tutti gli esseri umani. Per cui se testiamo la salienza visiva e l’attenzione suscitata da una foto che riporta il nuovo design degli specchietti e la mettiamo a confronto con delle immagini di controllo, possiamo ricavare una risposta univoca, ovvero se il cervello considera o non considera salienti, attraenti e desiderabili i nuovi specchietti rispetto agli specchietti del modello precedente. Allo stesso modo il neuro marketing permette di studiare le preferenze inconsce dei consumatori in merito agli spot pubblicitari, al design di loghi, al packaging dei prodotti, agli stimoli presenti in negozio (la musica, gli odori, il posizionamento dei colori, l’orientamento delle luci). E inoltre, attraverso specifici test di personalità è possibile scoprire se la fiducia in sé stessi, l’estroversione, lo stile di vita del consumatore, abbiano influenza sulle sue scelte di acquisto. I nostri clienti sono, per esempio, le aziende che forniscono prodotti e servizi, le agenzie di marketing che vogliono affiancare dati quantitativi ai loro report qualitativi, negozi e grandi catene di distribuzione. Ma anche aziende che vogliano testare i livelli di vigilanza del loro personale, ad esempio recentemente, abbiamo avuto contatti con una compagnia aerea per testare i livelli di stress e di affaticamento del personale. Anche alcune compagnie in ambito finanziario spesso chiedono delle consulenze per valutare la propensione dei loro traders e investitori ad assumere rischi e a fare scelte di investimento impulsive o ponderate.

Puoi portarci qualche esempio di applicazione efficace alla comunicazione di prodotto o sul punto vendita?

Un case study che abbiamo realizzato recentemente. Una azienda di prodotti farmaceutici ci ha chiesto una consulenza prima di rifare il look a degli espositori da banco. Si trattava di espositori per reclamizzare un antidolorifico. Volevano indagare come il cervello risponde alle immagini presenti sull’espositore, cosa rassicura il consumatore sull’efficacia del farmaco. Volevano testare due immagini da proporre nella parte alta dell’espositore. La prima era quella di una donna che aveva le mani sulle tempie, e il viso era corrugato dal dolore. La seconda era quella della stessa donna ma sorridente e in una posa rilassata. Il nostro studio con EEG e risposta elettro-dermica (sudorazione dei palmi delle mani) ha messo in evidenza che le immagini più ansiogene, quelle che trasmettono la sensazione di dolore, procurano attivazioni più cospicue nelle regioni del cingolo e della corteccia prefrontale, aree deputate alla decisione e alla risoluzione di conflitti. Parallelamente, la risposta elettro-dermica era aumentata con le immagini che trasmettevano sensazioni di dolore fisico e disagio. Quindi, in questo caso, l’osservazione del dolore in altri esseri umani potrebbe procurare il desiderio di acquistare il farmaco per evitare che questo succeda anche a noi stessi. L’azienda farmaceutica ha accolto molto positivamente il nostro studio, e sta attualmente utilizzando i risultati di questi test.

Online avete alcuni video dei seminari che avete tenuto nei mesi scorsi? Quale è stata la reazione dei professionisti italiani? Avete riscontrato interesse?

Abbiamo ricevuto molte richieste di iscrizione, ma credo che questa disciplina abbia bisogno ancora di tempo per diffondersi. Forse, come dicevi tu Biagio, la parola “neuro” spaventa. Speriamo che i professionisti di settore, ma soprattutto i marketing manager delle grandi aziende italiane, apprezzino presto i vantaggi delle tecniche di neuro marketing. Per avvicinare davvero i bisogni del consumatore, per creare un legame emozionale, una relazione con loro basata sulla fiducia e sulla affidabilità.

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