Ferpi > News > Nucleare: la scienza non ammette tabù. E l’informazione?

Nucleare: la scienza non ammette tabù. E l’informazione?

24/06/2009

Gli italiani, 20 anni fa, hanno detto no al nucleare con il referendum. L’esito dipese certamente in maniera prevalente dal fortissimo impatto emotivo che ebbe sulla collettività l’incidente di Chernobyl e dalla incapacità di gran parte degli organi di stampa di fare una informazione corretta su quell’avvenimento, che non sfruttasse quel tragico evento, ma lo traducesse in esperienza e conoscenza.

di Agnese Bertello


Le opinioni nel frattempo sono mutate più volte, ma se il tabù è caduto, la difficoltà di parlarne rimane.
Eppure è necessario farlo, indipendentemente dalle scelte politiche dei governi in carica, indipendentemente dal fatto che le centrali ce le costruiscano a 10, 50, 100 km da casa; bisogna tornare a parlarne perché è un elemento centrale e dello scenario energetico globale, e dello scenario tecnologico, imprenditoriale, futuro.


Dopo un ventennio durante il quale il nucleare è diventato un tabù, e il tema è stato bandito da ogni conversazione pubblica o privata che fosse, qualche cosa si comincia a fare.
Resta da chiarire come parlarne, come riuscire a impostare un’informazione corretta sul nucleare, che dia tutti gli elementi necessari per una discussione allargata, ampia, coinvolgente, che non sia vittima dei pregiudizi, né di timori non elaborati razionalmente.


Come fare un’informazione che si nutra di elementi concreti, di dati, che valuti i pro e i contro, i costi e i benefici; un’informazione che consideri i rischi e li confronti con quelli di altre fonti e di altri settori e che ci aiuti a scegliere consapevolmente avendo valutato tutti gli elementi? Quella dell’energia oggi deve essere una realpolitik, una politica dei fatti e dei compromessi, una politica del rischio minore, sapendo che il rischio zero non esiste. È possibile una comunicazione di questo tipo oggi nel nostro Paese?


Proprio su questo si sono interrogati (lo scorso 15 giugno), alla Casa dell’Energia di Milano, Chicco Testa, ambientalista e convinto sostenitore del nucleare, Silvio Bosetti, direttore di Energylab, associazione per la ricerca e la cultura dell’energia, e l’Assessore alla cultura del Comune di Milano, Massimiliano Finazzer Flory, insieme a Emilia Blanchetti, direttore editoriale di energiaspiegata.it.


Se l’informazione sul nucleare ha delle specificità intrinseche – l’alto tasso di emotività del tema, la complessità di alcuni argomenti, la mancanza di risposte chiare su alcuni problemi, come quello delle scorie -, è pur vero che nel nostro Paese domina un relativismo culturale che mal sopporta l’autorità, e non è disposto ad riconoscere autorevolezza e credito a evidenze scientifiche che in quanto tali hanno subito analisi e verifiche progressive da parte della comunità scientifica stessa: dati scientifici incontrovertibili, almeno fin tanto che la comunità scientifica stessa non produce nuove prove, nuovi esperimenti che dimostrino il contrario.


Insomma, nel nostro Paese tutto è doxa, tutto è opinione, tutto è opinabile. Non è semplice immaginare una comunicazione scientifica sul nucleare che si innesti efficacemente su un terreno così poco solido.
Secondo Silvio Bosetti, che con EnergyLab ha prodotto una ricerca molto interessante, pubblicata su energiaspiegata.it, sulle condizioni per pensare a un ritorno al nucleare per il nostro paese, bisogna cominciare dai giornalisti, prima ancora che dai cittadini, per preparare una cultura scientifica di base sul tema che possa tornare utile nel momento in cui, vuoi per avvenimenti politici o d’attualità, il nucleare torna alla ribalta.


“Bisogna essere pronti in queste situazioni di emergenza”, ha dichiarato Bosetti, “creare centri di divulgazione che siano attivi in maniera costante, che diventino punti di riferimento e disseminino di informazioni corrette le redazioni e gli spazi del dibattito. Ma la comunicazione, perché emerga come autorevole e certa, deve essere fatta da soggetti super partes.”


Per Testa, invece, una comunicazione corretta sul tema deve distinguere tra due destinatari, a ciascuno dei quali corrisponde un messaggio e uno strumento differente. “Da una parte, dobbiamo parlare al ceto medio riflessivo della società, quello capace di recepire un’informazione scientifica accurata“, spiega Chicco Testa. “Si tratta di persone che diventano opinion leader all’interno della loro cerchia di relazioni e quindi possono diffondere un messaggio scientifico ad altri, coinvolgendo e convincendo altri gruppi di persone. Attraverso newclear.it cerco di fare esattamente questo. Poi bisogna pianificare una comunicazione emozionale e politica capace di controbilanciare i pregiudizi che ancora pesano sul nucleare, ribadendo i concetti chiave: è sicuro, è un’alternativa reale a fonti fossili e dunque in difesa dell’ambiente.”


Per il futuro del nucleare nel nostro Paese, sottolinea infine Testa, molto dipenderà dalle scelte di Obama e da cosa accadrà in Germania. Un invito alla realpolitik anche nella comunicazione viene invece dall’intervento di Alessandro Clerici, certamente uno dei massimi esperti italiani in materia, uno che i numeri è abituato a maneggiarli. “Per fare il nucleare nel nostro Paese, la cosa migliore è non parlare di nucleare”, sostiene Clerici. “Dobbiamo parlare di energia, mettere i problemi sul tavolo e lasciare che la soluzione emerga da sé.”


Sarebbe certamente la strada in un Paese il cui genius loci fosse improntato al metodo scientifico, ma nella nostra Italia di poeti e navigatori (per scegliere un’immagine tradizionale, forse ormai anche un po’ stantia, ma meno deprimente di quelle che ci rimandano i quotidiani), nella nostra Italia che diffida anche dell’Istat, può funzionare?


Per Finazzer Flory il luogo dell’informazione e della divulgazione scientifica non sono i giornali, da cui, “per dirla con Valery, quando arriva la notizia, il fatto scappa. La carta stampata è ormai lo spazio in cui si manifesta la patologia delle cose, non le cose in sé. Occorre certamente ripensare la divulgazione scientifica, valutando attentamente i luoghi in cui realizzarla, individuando gli strumenti adeguati e smontando alcuni archetipi culturali che stanno a monte del problema del nucleare e che appunto condannano un sapere a prevalere sull’altro. Il tema del nucleare è particolarmente complesso, ma le situazioni complesse non vanno subite.”


E’ lo Stato, attraverso le sue istituzioni, i suoi centri di ricerca e di produzione scientifica e culturale più avanzati, che deve farsi carico di un’informazione di questo tipo, sostiene Biagio Longo, Direttore della Comunicazione di a2a, promuovendo e sostenendo progetti di comunicazione e divulgazione scientifica di alto livello culturale, capaci di raggiungere i cittadini e di trasmettere nello stesso tempo le ragioni di una scelta e la visione del futuro che si vuole costruire.
Così accadde con Mattei che chiamo Ivens, un grande documentarista, a girare un film in Basilicata, per comunicare l’idea di un progresso sociale ed economico possibile anche grazie alla produzione di energia in maniera autonoma.


Gestire l’informazione sul nucleare in un Paese antiscientifico come il nostro, potrebbe essere un buon esercizio per un sistema mediatico che volesse dirsi maturo. La scienza non ammette tabù e l’informazione deve fare la sua parte.


tratto da energiaspiegata.it



Abbiamo discusso del Nucleare, una delle sfide più difficili per la comunicazione e le relazioni pubbliche nel nostro Paese, nel numero di gennaio del Magazine Ferpi



(Nell’immagine uno storico francobollo USA celebrativo del nucleare. La percezione diffusa sul nucleare ha cambiato segno nel corso del tempo.)
Eventi