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Nuovi italiani, nuove relazioni pubbliche, nuovi relatori pubblici

12/03/2008

2008 – anno europeo del dialogo interculturale.

di E. M. Napolitano (Etnica), G.Vecchiato (Ferpi) e L.M. Visconti (Università Bocconi) Lo stato dell'arte
Secondo l'ultima stima dell'Ocse i migranti in Italia sono oltre 4,5 milioni e rappresentano il 7% della popolazione complessiva. Un fenomeno che interroga con forza il mondo della comunicazione che sinora non si è distinto per entusiasmo e coraggio, ma nemmeno per senso di responsabilità. Come dato di fatto, a oggi le uniche iniziative degne di nota risalgono al biennio 2004-2005, e precisamente al road show sulla comunicazione interculturale promosso da Unicom, Etnica e Ferpi, oltre che al World Pr Festival tenutosi nel giugno 2005 a Trieste e dedicato alla diversità (Communicating for diversity, with diversity, in diversity). La complessità del fenomeno, periodicamente fotografata da Istat, Ministero degli Interni, Caritas e Ismu, non giustifica nessuno. Bisogna elevarsi oltre il coro di voci pretestuose - "troppe etnie", "troppe religioni", "troppe culture", "troppi valori" - che frenano una seria presa in carico, anche da parte del mondo della comunicazione e delle relazioni pubbliche, delle trasformazioni in corso. È dunque urgente iniziare a riflettere sulla reale natura dell'immigrazione e sul ruolo del mondo della comunicazione nel contribuire alla sua rappresentazione. A oggi, come rilevato dalla ricerca Etnequal Social Communication, coordinata da Mario Morcellini nel 2004, i media italiani offrono dell'immigrazione una lettura deformante e certamente parziale, dando spazio per lo più a tratti negativi (invasione, criminalità, contaminazione), su cui si inseriscono facili demagogie e argomenti di immediata spendibilità politica. Al contrario, sono sempre più numerosi i segnali positivi che provengono dall'economia reale e dal mondo della cultura. Sono questi segnali che ci restituiscono la pienezza del processo immigratorio, che alimenta il mercato del lavoro, rivitalizza l'imprenditorialità, incentiva gli scambi con l'estero, crea nuove opportunità di mercato per le imprese italiane, moltiplica l'offerta di prodotti e servizi "etnici", graditi a molti italiani, oltre a stimolare una più consapevole riflessione su chi siamo "noi italiani". Dunque, accanto ai problemi di ordine pubblico che nessuno nega, anche un vettore per la ripresa della società e dell'economia italiana. Lo scopo di queste brevi righe è quello di provocare un dibattito all'interno del mondo della comunicazione, in vista dell'elaborazione di negoziati strumenti teorici e pratici avviare per rinsaldare le relazioni tra comunità migranti e comunità native.
 
I fondamentali dell'immigrazione
Progetto migratorio. L'immigrazione è un progetto che coinvolge la famiglia e la comunità di origine, assieme alla comunità migrante già insediata in Italia. Un progetto su cui viene effettuato un investimento a forte rischio e da cui i partecipanti si attendono un ritorno. Non è un caso, infatti, che alla base dell'immigrazione ancora prevalgano i fattori attrattivi, legati cioè a un progetto relativamente libero rispetto al paese di destinazione, piuttosto che i fattori espulsivi, dunque privi di volontarietà. La rete migratoria. Il migrante non è quasi mai solo nella sua avventura; è invece quasi sempre assistito da reti familiari, amicali, etniche, religiose o politiche. Reti lunghe, reti transnazionali che utilizzano al meglio le nuove tecnologie. Spesso, per altro, migrano le reti, non i singoli soggetti, al punto da osservarsi fenomeni di arrivo di intere frazioni di quartieri esteri. L'esito del progetto migratorio. La strategia migratoria può essere coronata dal successo dell'insediamento definitivo o del rientro del migrante nel paese di origine per avviare attività imprenditoriali o sociali. Per contro, il progetto può fallire per morte del migrante (viene stimato che il 10% dei migranti muore nel corso del tentativo), per rientro coatto o per rinuncia. Ricerche sul campo confermano che il successo del progetto migratorio amplia le opportunità di mantenere relazioni positive sia con la comunità etnica di provenienza sia con quella italiana. Strategie di adattamento culturale. Il percorso migratorio può svilupparsi secondo diverse forme di adattamento culturale, che spaziano dall'assimilazione al modello culturale italiano alla opposta chiusura nei confronti del modello culturale italiano, per transitare verso soluzioni più ricche come l'integrazione tra cultura originaria e cultura italiana. Se l'immigrato tendente all'assimilazione riduce al minimo le relazioni con la comunità d'origine e con quella migrante di appartenenza, sviluppando al contempo relazioni con la comunità di accoglienza, l'immigrato "difensivo" persegue una strategia opposta finalizzata a privilegiare le relazioni "identitarie". L'immigrato integrato nelle due culture è invece in grado di sviluppare un doppio senso di appartenenza e di costruire nel tempo relazioni appaganti, per numero e qualità, con entrambe le comunità. Per altro, l'esito non è mai definitivo, in quanto il progetto originario può subire evoluzioni a seguito di atteggiamenti o comportamenti - inclusivi o discriminatori - della comunità italiana o di quella migrante di appartenenza. Il ruolo delle condizioni sociali. Come da tempo noto a psicologi e sociologi, l'opportunità che lo straniero riesca a integrarsi in entrambe le culture (di origine e di arrivo) è funzione non solo delle risorse soggettive, ma anche delle condizioni sociali che riguardano la normativa sull'immigrazione, gli stereotipi presenti sugli immigrati, le opportunità lavorative, formative ed abitative, l'accesso ai servizi (scolastico e sanitario, in primis), e altro ancora. Da questo discende l'importanza di riflettere sulle condizioni sociali e su come possano essere gestite al fine di migliorare le opportunità di integrazione degli stranieri, che a loro volta si traducono in condizioni di convivenza più ricca e stimolante per tutti. Le seconde generazioni. I giovani migranti sono l'esempio vivente di questa complessità e ricchezza, trovandosi a fare da ponte tra il modello culturale dei genitori e quello dominante, da loro elaborato attraverso il mondo della scuola e delle relazioni amicali. Sono per certi aspetti privilegiati nel gestire al meglio la complessità delle reti sociali ed economiche che si stanno rapidamente formando. Soprattutto, saranno i protagonisti dell'economia del futuro.
 
Il ruolo della comunicazione e delle relazioni pubbliche
Di fronte a questo scenario, è fuor di dubbio che il mercato esprima un forte ruolo trasformativo rispetto alla rappresentazione, alla valorizzazione e al coinvolgimento dei migranti. Di fatto, il mercato è posto a confronto sia con una nuova "responsabilità interculturale", che richiede la sperimentazione coraggiosa di nuovi strumenti di marketing, di gestione delle risorse umane e di governo delle relazioni, sia con una nuova "opportunità interculturale", che offre la possibilità di estendere le relazioni di scambio commerciale e di creare innovazione anche per i consumatori italiani. Per altro, il mercato è un concetto astratto. Per dare sostanza a tale artificio concettuale si deve rivolgere questo invito agli operatori che lo alimentano. Tra questi, il mondo imprenditoriale, il settore bancario e assicurativo, l'accademia, gli operatori pubblici, i consumatori (di varia etnia) e anche le agenzie di comunicazione integrata e di relazioni pubbliche. Tutti sono detentori di autonomia, potere e responsabilità nella gestione delle opportunità nascenti dalla creolizzazione del mercato e nella conseguente valorizzazione, tutela e rispetto delle identità. Native e migranti. Una responsabilità che si basa sul riconoscimento delle comunità migranti quali stakeholder influenti con cui avviare relazioni di lungo periodo, in grado di coinvolgere quotidianamente le associazioni, i centri religiosi e culturali, le imprese, i gruppi informali e la comunità. Ma affinché tali relazioni siano efficaci è necessario: a) che le relazioni stesse si basino sulla reciprocità ("Non c'è crescita personale senza responsabilità – afferma Martin Buber – senza che l'IO non riconosca il TU in vista del NOI"), sul reciproco rispetto e riconoscimento. Senza la presunzione, né nel soggetto emittente (il cittadino residente) né nel soggetto ricevente (il cittadino migrante) di essere portatori di valori unici, esclusivi, universali, superiori; b) che le relazioni siano simmetriche, bi-direzionali e basate sull'ascolto e non sulla semplice trasmissione di messaggi (in questo caso parleremo di "informazione asimmetrica e unidirezionale" e non di comunicazione) che esclude ogni forma di relazione; c) che per gestire il confronto, ed eventualmente il conflitto, sia utilizzata una adeguata capacità relazionale e, soprattutto, sia sempre mantenuto aperto il dialogo, anche quando ogni speranza di negoziazione sembra vana. Questi elementi, uniti al principio dell'inclusione di tutti gli stakeholder nella mappa dei pubblici delle imprese delle organizzazioni, della comunità, da una grande responsabilità etica alla comunicazione e, di conseguenza, anche al comunicatore/relatore pubblico. Una comunicazione chiara e trasparente, senza ambiguità o aspetti manipolativi, è una comunicazione responsabile perché l'unica che può favorire il dialogo (e non il monologo) e la comprensione fra le persone. Una comunicazione che includa tutti gli stakeholder – nessuno escluso – nel processo comunicativo e decisionale è invece una comunicazione etica perchè non esclude aprioristicamente nessun pubblico sulla base di pregiudizi o preconcetti e, soprattutto, prima di prendere ogni decisione "ascolta" tutti gli attori coinvolti. "Libero – afferma Dostoevskij – è colui che non deve né subire né dominare per essere qualcuno". Per questi motivi i comunicatori ed i relatori pubblici non possono – ogni qual volta devono dar vita ad un processo comunicativo – non porsi la domanda fondamentale: quali conseguenze avrà tutto questo sugli altri?
 
Il mondo della comunicazione può contribuire a diversi livelli
Comunicazione pubblica. Gli operatori pubblici sono i primi a plasmare le rappresentazioni sociali dell'immigrazione, rispetto ai loro diversi livelli di competenza: partiti politici, organi istituzionali, enti pubblici territoriali, operatori dei servizi. Comunicazione istituzionale d'impresa. Le imprese possono costruire la propria immagine aziendale, e quindi parte del proprio potenziale competitivo, tramite una stabile, forte associazione tra se stesse e l'apertura e valorizzazione delle varie identità. Si pensi, ad esempio, ad imprese come le multinazionali Ikea o Hsbc, che su questa sensibilità verso la diversità hanno creato un posizionamento distintivo rispetto ai concorrenti. Comunicazione commerciale. Le agenzie di comunicazione integrata e le imprese hanno potere nel definire le proprie campagne di comunicazione commerciale, prima tra tutte quella pubblicitaria. Attraverso la pubblicità possono essere costruiti e decostruiti stereotipi sugli stranieri, possono essere resi visibili soggetti spesso invisibili a livello sociale e politico. Comunicazione interna. All'interno delle organizzazioni – pubbliche e private, profit e non profit - le comunicazioni rivolta ai propri manager, dipendenti e collaboratori hanno il potere di agire sulle relazioni interpersonali e professionali tra lavoratori stranieri e italiani. Si pensi, solo a titolo di esempio, all'effetto sortito da comunicazioni interne in più lingue, da codici etici aziendali divulgati, da seminari formativi sui temi delle diversità, e molto altro ancora. Comunicazione al mercato del lavoro. Infine, anche le comunicazioni aziendali volte a reperire nuovi profili professionali da inserire in impresa possono essere un circuito attraverso cui alimentare una visione interculturale. Si pensi ai job market delle diversità, attraverso cui le imprese apertamente fanno recruitment su profili a rischio di segregazione lavorativa (in Francia, l'IMS ha organizzato, con un forte supporto di L'Oréal, un evento per la selezione di persone stranieri e diversamente abili, cui hanno aderito 19 imprese tra cui Hsbc, Ernst & Young, Accenture, Axa, Peugeot Citroen, Danone e banche quali Société Générale e BNP Paribas). In sintesi, si tratta di costruire, anche attraverso la comunicazione, relazioni basate sull'accettazione della differenza e della complessità. Relazioni che richiedono il coinvolgimento professionale dei migranti e il coraggio dei relatori pubblici disponibili a impegnarsi e rischiare per contribuire alla costruzione di una società interculturale e di un'economia interculturale che ci pare d'intravedere in tante realtà ed iniziative. L'immigrazione richiede professionalità e strumenti innovativi.
 
Casi in evidenza
Tra le iniziative legate al mondo imprenditoriale ne citiamo due che rappresentano concretamente le potenzialità sociali, economiche e creative delle comunità e delle reti migranti. Ghanacoop. Una cooperativa sociale costituita nel 2005 da 25 migranti ghanesi e da partner pubblici e privati, tra cui una banca di credito cooperativo, per importare e distribuire frutta fresca e confezionata dal Ghana in partnership con realtà del commercio equo e dell'ambientalismo come FairTrade e Wwf ma anche con il Comune e la Provincia di Modena e con Confcooperative. Una cooperativa che, tramite la sua consociata ghanese, ora esporta prodotti tipici modenesi in Ghana (wwww.ghanacoop.it). Torino Geodesign. In occasione del Torino 2008 World Design Capital, 40 comunità migranti, 40 imprese italiane e 40 designer internazionali lavorano insieme per progettare brand, packaging, oggetti, media, spazi utili ai migranti ma anche a tutti i torinesi (www.torinoworlddesigncapital.it). Un design descritto dagli organizzatore come vitale, energico, intensivamente sperimentale, ad altissimo tasso creativo. autori:
Enzo Mario Napolitano Presidente ETNICA, il network per l'economia interculturale www.etnica.biz scuola@etnica.biz Giampietro Vecchiato Vice Presidente FERPI, Federazioni Relazioni Pubbliche Italiana Direttore clienti P.R. Consulting srl, Padova Docente di Relazioni pubbliche Università degli studi di Padova e Udine piero@prconsulting.it Luca Massimiliano Visconti Direttore del MiMeC – Master in Marketing e Comunicazione Istituto di Marketig, Università Bocconi luca.visconti@unibocconi.it
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