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Pancia o testa? La politica deve parlare ad entrambe

22/10/2015

Mario Rodriguez

È fondamentale trasmettere sentimenti positivi affinché certe decisioni vengano accettate e condivise. E la politica deve parlare a entrambe. Il commento di Mario Rodriguez ad alcune recenti dichiarazioni del Premier.

 

Parliamo di Renzi il comunicatore (sempre che lo si possa separare dal politico). Non mi aveva convinto quando in conferenza stampa aveva ripetuto “questi sono fatti, non sono storie”. Mi ha convinto ieri sera a Otto e mezzo quando alla domanda sul parlare alla pancia invece che alla testa ha detto con sicurezza, senza nascondersi o tirarsi indietro, che per chi fa politica è essenziale generare sentimenti positivi, solo così si motivano le persone.

Accettare la contrapposizione tra i fatti e il loro racconto, svia dal centro della questione: nella nostra vita di tutti i giorni si confrontano sempre e solo le storie con le quali attribuiamo un senso ad accadimenti che, di per sé, un senso non ce l’hanno. Le decisioni politiche che si assumono non avrebbero senso se non fossero inserite in una visione (se non si vuole usare il termine narrazione), è questa che permette l’attribuzione della fiducia a un leader o a una leadership collettiva.

Il confronto politico è quindi sempre un confronto tra modi di descrivere la realtà, appunto storie. E si affermano, vincono, le storie che appaiono più convincenti, più aderenti alle cose che le persone vivono tutti i giorni e più in sintonia con le opinioni diffuse. Cioè sono le storie più capaci di motivare all’azione. Ma le storie sono feelings non tabelle di Excel. Le tabelle servono solo a conferma della credibilità delle storie, non viceversa. Per convincere si generano sentimenti che fanno comportare con ragionevolezza.

Ecco perché anche la contrapposizione pancia/testa non regge. È fuorviante. Senza una motivazione all’agire le decisioni non diventano comportamento diffuso e quindi realtà. L’azione politica cerca di costruire mondi possibili, di fare in modo che le persone agiscano in un certo modo, funzionale all’obiettivo dichiarato e a volte interpretato in modi differenti. Senza la creazione di un sentimento positivo sarà difficile che certi comportamenti vengano adottati, che certe decisioni vengano condivise o almeno accettate.

Il problema allora non è se si parla ai sentimenti o alla ragione, perché gli umani senza sentimenti non ragionano, l’intreccio non può essere sciolto. Il problema allora è: la storia che viene raccontata resterà credibile nel corso degli avvenimenti? Quello che vivranno le persone confermerà la credibilità di chi ha fatto le promesse o meno? Non importa se accadranno davvero tutte le cose previste e, in un certo senso, promesse. Il facts checking non è cruciale, ipotizza l’esistenza di persone che si comportano come macchine calcolatrici di interessi materiali e misurabili. Ma questo tipo di persone non esiste. La questione è se chi fa le promesse, chi propone la chiave narrativa che permette di affrontare la vita (e i dolori) di tutti i giorni, resta credibile. Insomma se rimane attivo il rapporto di fiducia.

Pubblicato anche su L’Unità 
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