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Parlare o camminare: quale la comunicazione più efficace?

24/09/2008

Da un editoriale di Gian Antonio Stella una riflessione di Fabio Ventoruzzo sul ruolo della comunicazione nell'auto-rappresentazione delle organizzazioni.

Sulla prima pagina del CorSera di lunedì 22 settembre) Gian Antonio Stella stigmatizza il comportamento comunicativo del Premier Berlusconi e del suo Governo che tutti noi comunicatori responsabili dovremmo saper riconoscere nelle nostre attività quotidiane per evitare pratiche insostenibili, non efficaci e spesso controproducenti.


Nel suo graffiante editoriale, Stella critica sagacemente ‘quelle ostentazioni di bicipiti e pettorali’, quei ‘pavoni ansiosi di fare la ruota per esporla all’adorazione delle masse’.
Sparando addosso (in maniera bipartisan) alle tipiche manifestazioni dell’italica competizione elettorale e politica, colpisce giustamente e indirettamente anche noi comunicatori (non solo ‘della politica’, ma anche ‘delle organizzazioni’, per estensione) : alzi la mano, infatti, chi non riconosce nella politica delle promesse e dell’annuncio una nostra ostinazione professionale? Forse, fortunatamente, un po’ in disuso. E forse più per imposte necessità esterne (del contesto) che per reali convinzioni interne (del comunicatore), ma tant’è.


Stella evoca alla perfezione il continuum tra quelle politiche che gli americani definiscono ‘talk-the-walk’ e ‘walk-the-talk’. Con la prima espressione (‘camminare il parlato’) indicano lo sforzo di un’organizzazione per cercare di uniformare i propri comportamenti all’auto-rappresentazione della propria identità. Con la seconda (‘parlare il camminato’), invece, distinguono la comunicazione effettiva dei comportamenti agiti, quella che chiede al comunicatore di non raccontare mai quello che non è stato fatto dall’organizzazione.


È evidente che raccontare qualcosa prima ancora di averlo fatto (Stella cita una frase di un collaboratore di Berlusconi che lo racconta: “prima crea la realtà virtuale e poi la realizza”) è sicuramente la modalità migliore per attirare l’attenzione dei pubblici di una organizzazione e con-vincerli nel dialogare, influire sui destinatari e/o sulle variabili, … Ma questo implica poi dover necessariamente mettere in atto quello che abbiamo annunciato (a costi non sempre sostenibili). Anche economicamente, quindi, il rischio è molto alto.


E forse, semplificando la lettura, la continua e costante perdita di credibilità delle nostre Istituzioni pubbliche (ma anche di manager privati, ben intesi) è interpretabile con il loro non saper (sempre) far seguito ai tanti proclami urlati. L’altro approccio, quello che tende a comunicare i comportamenti organizzativi effettivamente agiti, è però anche quello meno ‘captive’, ma sicuramente più responsabile (è il modello tipico della csr, almeno nella sua versione rendicontativa tipica dei bilanci sociali).
Come fare allora?


Nel migliore dei mondi possibili la pratica comunicativa più efficace è, forse, quella che ricerca il giusto equilibrio tra i due approcci, anche se sicuramente ciò richiede tanta tecnica e tanta competenza professionale ma soprattutto la capacità di capire la specificità di ogni singola organizzazione e declinarne il mix sulla base di questa.


Nel nostro mondo professionale (che sicuramente non è tra i peggiori), invece, mi pare più responsabile dare peso alla comunicazione dei comportamenti organizzativi effettivamente agiti. Questo può contribuire anche a trasformare a implementare una nuova cultura della responsabilità delle organizzazioni: da una semplice narrazione del suo agire, alla sua integrazione della nelle strategie, nei processi, nelle strutture, nella cultura, nelle relazioni e nell’attività lavorativa quotidiana. D’altra parte, parafrasando Stella, anche un governo (organizzazione, nda) che ‘se la tira’, da che mondo è mondo, finisce per fare danni. A se stesso e al Paese che lo ha eletto (legittimato, nda).


Ma voi che ne pensate?


Fabio Ventoruzzo
Eventi