Giulio Sensi
Il rilascio di Silvia Romano e il suo rientro in Italia hanno mostrato, nella loro rappresentazione mediatica, l’impreparazione culturale del nostro Paese a trattare di temi connessi alla solidarietà internazionale. Giulio Sensi mostra volto della diplomazia solidale della cooperazione allo sviluppo italiana.
La rappresentazione mediatica e il dibattito intorno al rientro in Italia di Silvia Romano hanno mostrato ancora una volta, qualora ce ne fosse stato ulteriore bisogno, l’impreparazione culturale del nostro Paese a trattare di temi connessi alla cooperazione e alla solidarietà internazionale. Aldilà delle questioni politiche e ideologiche cui la gestione mediatica dell’atterraggio della giovane volontaria si è esposta, è apparso evidente una volta di più che esiste una grande confusione nella narrazione.
I volontari internazionali, i cooperanti, il personale in genere delle ONG appaiono tutti come una massa indistinta di persone anche generose, ma in genere abbastanza sprovvedute che mettono a rischio la propria vita e quella degli altri andando “a fare del bene”.
Oppure, dall’altro lato, ancora si ripropone la retorica del “business” degli aiuti che verrebbe prima di qualsiasi valore e farebbe delle ONG un club di affaristi che solcano il mondo travestiti da Robin Hood.
L’equilibro, la solidità e la veridicità delle informazioni sono appannaggio di pochi mezzi di informazione e giornalisti. Perché per capire questo mondo, come per comprendere tutti gli aspetti complessi della società e dell’economia, c’è bisogno di informarsi e approfondire e di farlo con le giuste fonti e la pazienza di imparare.
Martedì 19 maggio l’inserto Buone Notizie del Corriere della Sera ha pubblicato un’inchiesta con storie e infografiche che racconta in maniera analitica e documentata chi sono i cooperanti e cosa fanno nel mondo. Affidandosi ai dati del portale Open Cooperazione, e riportando la voce dei responsabili dei coordinamenti nazionali delle ONG italiane come l’Associazione delle ONG Italiane (AOI), Link 2007 e Cini (il Coordinamento delle organizzazioni internazionali che operano in Italia), si è voluto fare chiarezza sul mondo della cooperazione internazionale non governativa, cercando di approfondire aspetti rilevanti: i settori in cui operano le ONG italiane nel mondo, le figure professionali e volontarie impiegate, le risorse umane ed economiche utilizzate.
Occorre precisare che la cooperazione portata avanti dalle ONG è una piccola, ma fondamentale, parte delle politiche complessive di aiuto allo sviluppo. Ambito in cui l’Italia continua ad essere in fondo alle classifiche europee e mondiali, destinando a tale capitolo appena lo 0,2% del Pil, a fronte all’impegno dello 0,7% preso dalla Comunità Internazionale per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030.
In queste ONG lavorano persone più o meno esperte, ma tutti affrontano un percorso di preparazione molto rigoroso. L’improvvisazione e il rischio a cui verrebbero destinati i “volontari” sparsi per il mondo è una condizione non usuale fra quelle in cui operano le ONG italiane nel mondo. I cooperanti che vi lavorano sono un numero ben preciso ed identificabile: 19.290 persone operano all’estero e 3.245 in Italia.
La quota più grande di questi 19.290 è personale locale dei Paesi destinatari dell’intervento impiegato in progetti di sviluppo e oltre 24.000 sono i volontari che danno il loro contributo gratuito, la grande maggioranza operando dall’Italia.
Nonostante il discorso pubblico ostile e il clima negativo subito dalle ONG, negli ultimi tre anni c’è stato un aumento medio del 10% dei posti di lavoro e una crescita considerevole anche dei fondi: se nel 2015 Open Cooperazione registrava entrate per 679 milioni di euro, nel 2018 la cifra raccolta sui bilanci consolidati supera i 900 milioni.
Tale dinamica è frutto di un lavoro di qualità che fa affidamento sempre di più anche su partnership con i privati, in particolare le aziende, e su un aumentato bisogno di intervento in contesti di emergenza, in particolare con fondi europei come quelli ‘ECHO’ su cui lavorano diverse organizzazioni italiane. Le risorse pubbliche su cui contano le ONG sono importanti, ma non le sole: il 40% dei fondi raccolti arrivano dai donatori sostenitori individuali, mentre il 60% da proventi istituzionali come l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, l’Unione europea, gli enti locali, le Agenzie delle Nazioni Unite, ma anche dal 5 per mille, fondazioni, aziende, chiese.
Da questi pochi dati emerge chiaramente la complessità e ramificazione di un mondo, quello delle Organizzazioni non governative italiane, che ha un’importanza storica e culturale e un impatto sociale importante in tutti i continenti e che contribuisce ancor di più della diplomazia ufficiale a fornire un’immagine positiva, generosa, aperta e solidale dell’Italia a livello internazionale.
Saperlo raccontare dipende dalla capacità di riuscire a conoscerlo in modo rigoroso e documentato: le fonti e le possibilità ci sono, basta avere la voglia e la curiosità di interpellarle e consultarle.