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Per un'etica del rapporto tra giornalisti e relatori pubblici: una riflessione sul rapporto media-fo

06/09/2005

Lancia il dibattito il nostro socio Roberto Portanova, coinvolgendo Giuliano Zoppis, vicedirettore vicario di Ansa e direttore relazioni esterne di ABI e Marcello Sorgi, ex direttore La Stampa.

Questi materiali sono il testo introduttivo del volume MEDIA pubblicato da Spazio-RP.Scrive Roberto Portanova:In una società in cui l'informazione è forse il bene più prezioso, è paradossale che i canali che le diffondono perdano continuamente di credibilità (e di copie) presso il pubblico che ne fruisce.Non è accettabile per coloro che vivono di questo mestiere (editori e giornalisti), non è accettabile per coloro (comunicatori delle organizzazioni provate, pubbliche e sociali, in larga parte fonti primarie di quella informazione). Tra l'altro, ne va di mezzo la fiducia, oltre che dell'informazione, anche delle sue stesse fonti. E quando l'opinione pubblica non ha fiducia nelle organizzazioni pubbliche, private e sociali, ne vanno di mezzo le basi della democrazia.Ma non è il caso, per entrambe le categorie, di indignarsi; quanto di riflettere sulle proprie responsabilità e su come reimpostare (zero based) le rispettive relazioni, per far riguadagnare autorevolezza e credibilità all'informazione.Partiamo dai dati: il rapporto Trends 2005 del Pew Research Center, uno dei più attendibili centri di ricerca sulla società americana, insieme ad un gran numero di altri sondaggi ed analisi specifiche, dimostrato come negli ultimi dieci anni il numero degli americani che credono poco o nulla a quello che scrivono i giornali è salito dal 16 al 45%.In uno scenario in cui i lettori/spettatori di news diminuiscono, sono meno attenti e più critici verso quel che viene loro rivelato dai media, questi ultimi stanno rischiando di perdere la loro funzione tradizionale: contribuire a creare l'opinione pubblica e quindi a definire l'agenda pubblica.I giornalisti si sentono sempre più nel mirino. Soprattutto dopo i recenti casi di iniziative giudiziarie (alcune finite addirittura con la reclusione) contro giornalisti che rifiutano di rivelare le loro fonti.In Italia le cose non vanno molto diversamente. Quella dei giornalisti, per quanto sia una categoria che mantiene un certo fascino tanto da essere ancora ai primi posti tra i mestieri cui aspirano i giovani, ha perso buona parte della propria autorevolezza. Tant'è che proprio i giovani "non leggono il giornale perché non credono a quel che vi sta scritto".In una ricerca svolta due anni fa dall'Abacus, già si poteva notare come la metà dei lettori ritiene i media stranieri più credibili di quelli italiani e solo il 2 - 3% del campione dimostrava una piena fiducia.Le cause di questo scollamento tra attori e fruitori dell'informazione ha ragioni profonde. Anche da noi ci sono palesi nodi di debolezza dei media che vengono al pettine e minano la fiducia che i lettori/spettatori nutrono in chi li informa.Tra i più evidenti: l'eccessiva pressione della politica nel determinare il cosa dire e il come dirlo; l'eccessiva concentrazione e intromissione della proprietà editoriale dettata da motivi prettamente economici; l'inesistenza di una classe proprietaria fatta di "editori puri"; la mancanza di accertamento e pene giudiziarie per la diffusione di notizie infondate (sebbene sulle notizie finanziarie si sia di recente abbattuta la scure del legislatore che ha ipotizzato l'automatica accusa di aggiotaggio o di manipolazione del mercato ai danni di giornalisti ed editori responsabili della diffusione di notizie che risultino false).Ma la prima delle cause della mancanza di credibilità dei media è nella crescente trascuratezza nel verificare le notizie e nell'investigare i motivi e le sfumature dei fatti in nome di una sempre più rapida ed economica diffusione delle news.Il problema può essere ricondotto ad un rapporto poco trasparente e professionale tra i giornalisti e le loro fonti. E visto che non meno della metà delle notizie che possiamo leggere su un quotidiano sono fornite dalla direzioni comunicazione di organizzazioni pubbliche, private e sociali, è un problema che coinvolge direttamente anche il mondo della comunicazione.I professionisti delle relazioni pubbliche inglesi hanno già da tempo cominciato a ragionare sulla ridefinizione del ruolo e della natura dei loro rapporti con i media.Una ridefinizione che ha come obiettivo una crescita in professionalità ed etica del rapporto fonte-giornalista.Questo studio vuole cogliere il punto di vista al riguardo dei giornalisti e dei comunicatori italiani.

Risponde Giuliano Zoppis:(Vicedirettore vicario ANSA - Direttore centrale relazioni esterne ABI - Associazione Bancaria Italiana)Da sempre il rapporto fra ufficio stampa e giornalista si ispira ad un malinteso concetto di ''amicizia''. E' un vezzo soprattutto italiano, nel quale il dialogo fra i due operatori dell'informazione e' dominato dalla richiesta di ''un favore''. Ti prego non passarmi questa notizia, dice uno, per favore dammi qualcosa in piu', dice l'altro. Non che questo sia di per sé motivo di scandalo, ma certo non sembra ispirarsi a criteri di stretta professionalità.Eppure, nel nostro agire quotidiano, il dialogo fra giornalista e interlocutore istituzionale (qualunque sia il soggetto che rappresenti, pubblico o privato, associazione o azienda) è quello che occupa gran parte della giornata lavorativa nel mondo dei media.Nonostante lo sforzo che viene attuato dai vari organismi rappresentativi delle diverse categorie per migliorare questo rapporto, sembra difficile compiere passi significativi in avanti. Manca in pratica un esatto quadro di riferimento all'interno di quello che potremmo definire un confronto.Siamo infatti in presenza di contrastanti, sia pure del tutto legittime, esigenze.Quelle dei giornalisti a dare nel modo migliore possibile la notizia, quelle degli uffici stampa a descrivere la situazione secondo gli interessi dell'istituzione per la quale si lavora.Ecco allora che si pone una questione di stretta deontologia, per la quale il rapporto deve essere regolato dalla chiarezza e dalla trasparenza, da un lato e dall'altro. E questo vale soprattutto nei casi dove l'ufficialità lascia il posto alla cosiddetta informalità, o quando, nel pieno rispetto dei ruoli si aprono delle vere e proprie trattative sulla notiziabilità di un'informazione.Questa regola di condotta, di applicazione generale, diventa assai più stringente in alcuni settori informativi ad elevatissima rischiosità. Penso soprattutto alla finanza, per le ripercussioni legate all'andamento dei mercati, e alla cronaca giudiziaria, dove sono in gioco diritti primari dell'individuo, come quello della sfera privata.Ma tutto deve convergere verso il criterio della qualità del prodotto che insieme si deve costruire, per cui diventa fondamentale la correttezza del giornalista, l'attendibilità della fonte. Un tipico esempio di mancata collaborazione è una cattiva offerta del prodotto base di un ufficio stampa, il comunicato. Molto spesso, e non per carenze casuali, vengono preparati testi assai lacunosi e incompleti. Questo per nascondere realtà scomode, che si vogliono celare all'opinione pubblica. E' una cattiva abitudine, che peraltro viene facilmente vanificata da un attento lavoro di analisi da parte del giornalista.Per sintetizzare queste considerazioni è forse utile richiamare un recente esempio di ottima collaborazione fra fonte e giornalista. Mi riferisco alla gestione dell'ufficio comunicazione del Vaticano nella vicenda della malattia e morte di Papa Giovanni Paolo II.Un mondo considerato chiuso verso l'esterno ha dato prova di come devono essere gestiti i rapporti con gli organi di informazione.Briefing, conferenze stampa, materiale informativo, supporti tecnologici, schede di approfondimento, l'ufficio stampa vaticano guidato da Navarro Valls ha fornito una grande dimostrazione di efficienza e trasparenza. In precedenza strane consuetudini caratterizzavano l'atteggiamento della Santa sede. Al punto di generare clamorosi errori, come quando in due occasioni due importanti agenzie di stampa caddero in errore fidandosi di oscuri segnali (porte aperte, finestre mezze chiuse), dando inesatte notizie sulla morte e sulla nomina del papa. In questo caso non è stato così e la stessa Notizia con la enne maiuscola è stata comunicata urbi et orbi per via telematica utilizzando sms, palmari, pc. Non che Navarro non abbia fatto il suo mestiere, bloccando o ritardando, quando necessario per la ragion di stato, la propalazione di determinate notizie. Ma lo ha fatto nel pieno rispetto delle regole di quella sorta di confronto informativo che si svolge fra parti che hanno interessi diversi nel comunicare o nel non comunicare. E lo ha fatto utilizzando appieno e al meglio quei mezzi della moderna tecnologia che rendono più agevole e corretto il nostro lavoro.

Ed ecco la risposta di Marcello Sorgi:(Ex direttore responsabile "La Stampa")Il mondo è sempre più comunicazione e sta vivendo una svolta epocale. L'Occidente è sempre più saturo di comunicazione con le reti telematiche e i computer e i telefoni portatili. La comunicazione ha sempre più bisogno di professionisti preparati e specializzati per occuparne specifici settori. Non c'è dubbio che in questo quadro un momento cruciale della partita si giochi nel rapporto tra i giornali - stampati, radiofonici, televisivi, telematici - e i loro informatori professionali: gli uffici stampa e le società di pubbliche relazioni. I giornalisti italiani guardano da tempo a questi problemi, tanto che i loro organismi ufficiali hanno caldeggiato e ottenuto la presenza di professionisti del giornalismo a capo degli uffici stampa delle istituzioni - Regioni, Province, Comuni - e delle grandi e medie aziende. Ma credo che anche le piccole aziende farebbero bene a rivolgersi a persone preparate. Il nostro paese è ancora troppo pieno di presunti uffici stampa, presunti perché ne portano soltanto il nome, essendo spesso affidati a persone garbate o graziose, ma incapaci di scegliere l'interlocutore più adatto, di fargli una sintetica, efficace, convincente telefonata, incapaci di scrivere una lettera adeguata, ancor meno capaci di scrivere come si deve un comunicato stampa.Il primo punto di forza del rapporto tra uffici stampa e professionisti dell'informazione è proprio nel non porre più il problema in questi termini: meno gli uffici stampa saranno affidati ad arruolamenti casuali, alla buona volontà di un funzionario o allo spirito d'iniziativa di un altro, meno rischi correranno il loro datore di lavoro e i giornalisti chiamati in causa; più gli uffici stampa saranno affidati anch'essi a professionisti dell'informazione scelti ad hoc, più semplice, fattuale, reciprocamente vantaggioso sarà il rapporto con quanti possono tradurre quella telefonata, quel messaggio, quel comunicato in una notizia o in un articolo di giornale, radiogiornale o telegiornale.Molto diffusi e molto frequentati corsi di laurea e facoltà di Scienze della comunicazione offrono ampie e selezionate possibilità di arruolamenti: da Torino a Roma, da Milano a Firenze, da Bologna a Urbino.La ricetta ideale prescrive dunque questi elementi essenziali: preperazione tecnica, intuizione strategica, capacità esecutiva. Naturalmente scortate dalla deontologia e dall'etica professionale, come si richiede a tutti i mestieri di così alta responsabilità sociale.
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