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Pira: la pandemia ha reso il sistema relazionale più fragile

13/04/2021

Anna Romanin

Dall'infodemia alla psicodemia, in tempi di Covid, il passo è breve. In “Figli delle App”, il sociologo Francesco Pira indaga il cambiamento delle relazioni, nella vita sempre più social (e sola). A partire da bambini e ragazzi. Anna Romanin lo ha intervistato a partire dai temi del libro.

Com’è cambiata la comunicazione durante la pandemia dal punto di vista di un sociologo?

La pandemia ha mostrato il fenomeno in tutta la sua gravità e ha messo in luce elementi della nostra personalità che erano latenti in ognuno di noi. In questi mesi ho provato ad analizzare due paure nate in un altalenante ciclo di informazioni spesso contraddittorie. Dalla infodemia siamo passati alla psicodemia, con le persone che hanno cominciato ad avere paura, attacchi di panico.

Qual è una possibile soluzione?

Aiutare le persone a ritrovare quella serenità perduta allinterno di una vita del tutto nuova. Mi sono reso conto di quanto sia facile finire nel vortice dellincertezza e ho ribadito come il comunicatore abbia il compito sociale di smontare falsi voci e ogni tipo di fake news, per evitare che i cittadini possano vivere in un processo di continua destabilizzazione.  

Hai detto che oggi più che relazioni dovremmo parlare di “connessioni”. 

La Rete comunità recintata”: se volgiamo lo sguardo indietro, al marzo 2020, la tecnologia è apparsa come salvifica, quei muri ci hanno difeso dal mondo esterno dove imperversava un nemico invisibile. Così i volti nei monitor, i video, le performance, il travolgente avvio del telelavoro e della DAD, quel recinto ci ha salvato da quel senso di profondo smarrimento che limprovvisa perdita della libertà di muoversi e uscire ci ha fatto sentire. Vi è poi la nicchia a proprio uso esclusivo dellindividuo”, costruita come esercizio di libertà, che ci fa pensare di poter dar vita ad un mondo perfetto” di relazioni o pseudo tali, costruite tutte, però, sul principio di confirmation bias, che è diventato ormai prassi nel nostro agire social, che è sempre più centrale anche nel nostro agire sociale. Scelgo chi la pensa come me, e chi approva il mio sentiment. Bauman ci dice che eliminiamo tutto ciò che è in discordanza con il nostro sentire.

Rischiare di non avere un contraddittorio e piacere sempre, il principio di confirmation bias di cui parli, è molto pericoloso.

Sì, perchè apre a quel concetto di consumismo identitario, che alimenta il provvisorio. Così ciascuno sulla propria lavagna, scrive e cancella con un colpo di spugna. Bit, come la polvere del gesso che vola via, sembrano perdersi lungo i nodi della Rete, che invece vengono raccolti e analizzati per costruire il vero grande business del ventunesimo secolo: il data analytics. La tecnologia ha indotto il più macroscopico degli errori, lidea che il nostro agire sociale si possa costruire su scelte come da un carrello e-commerce, mi piace: compro. Invece, come ancora una volta Bauman ci ricorda, il vivere in comunità è fatto della fatica del confronto, dellascolto e della mediazione, che apre però alla più grande risorsa, motore della civiltà: la conoscenza.

Come sono cambiate le relazioni/connessioni, allinterno della famiglia ma anche tra ognuno di noi e tra noi e il mondo esterno?

A fronte di iper-rappresentazione di sé” osserviamo che il sistema relazionale sembra caratterizzarsi sempre di più per unestrema fragilità. Questo ha un forte impatto sulle nuove generazioni a cui mancano gli strumenti per comprendere le implicazioni del proprio agire social e attuare un percorso che li porti ad acquisire una piena autonomia individuale. E tutto ciò accade in un momento storico nel quale, la solitudine, che ha così brillantemente fotografato Bauman, esplode in tutta la sua criticità con un impatto profondo proprio sulle nuove generazioni che saranno espressione della nuova cittadinanza digitale.
Sono ragazze e ragazzi che vivono unapparente dicotomia, divisi tra fragilità e presunto potere adolescenti che costruiscono le proprie vite incentrate sul pubblico. Appaiono sempre più assetati e vittime del consenso del proprio gruppo di pari e convinti al contempo di avere il pieno controllo sul processo di auto-rappresentazione.

Se dovessi dire qualcosa a chi si occupa di relazioni pubbliche, cosa diresti?

La tecnologia diventa accudente” come spiega Shirley Turkle (2017), perché il tempo che le concediamo trasforma la dimensione stessa del tempo, ma a questo si aggiunge il fatto che gli individui ritengono che vi possa essere uno scambio equo tra ciò che la tecnologia acquisisce, e ciò che si ottiene in cambio.
In realtà non abbiamo considerato quanto siamo disposti a concedere di noi della nostra identità, che si trasforma in bit e dati, né tantomeno abbiamo compreso fino in fondo la portata di ciò che otteniamo, ci siamo arresi” al potere dolce dellalgoritmo pensando di essere in grado di guidare il processo, ma la realtà dimostra, con la proliferazione della disinformazione e delle fake news esattamente il contrario.

“Figli delle App. Le nuove generazioni digital-popolari e social-dipendenti” (Franco Angeli) è in libreria dall’8 marzo scorso. Il libro condivide i dati di una ricerca sulla survey onlineLa mia via ai tempi del Covid”, condotta nel periodo aprile – maggio 2020, che ha coinvolto in totale 1.858 ragazze e ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori che hanno risposto ad un questionario online composto da diciassette domande e ha  generato più di 8.000 risposte. I dati sono in linea con il sondaggio U-Report dell'UNICEF sui giovani.




Francesco Pira  è professore associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina, dove è Delegato alla Comunicazione dell’Ateneo e Coordinatore Didattico del Master in Esperto Comunicazione Digitale PA e Impresa.

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