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Prima fatevi un'opinione, poi ne parliamo

24/06/2010

Una lunga intervista di _Paolo Iammatteo_ rilasciata a Prima Comunicazione. Si parla di nucleare e della più complessa operazione di comunicazione mai intrapresa da un’azienda in Italia.

di Daniele Scalise
Può essere considerata la più complessa operazione di comunicazione che un’azienda abbia mai fatto in questo Paese. La campagna pro nucleare ha avviato i motori guidata dall’Enel, impegnata con la francese Edf nella costruzione di quattro centrali italiane. Un lavoro di informazione per convincere i cittadini che il nucleare non sarà l’unica soluzione, ma senza il nucleare non c’e soluzione’.
Traccia del tema: “Come convincere gli italiani che la parola ‘nucleare’ non produce morte e distruzione ma semmai ricchezza, sicurezza e indipendenza energetica?”. A dire il vero lo svolgimento richiede alte doti di ingegneria comunicazionale, accortezza psicologica e una sicura competenza tecnica, un budget consistente accompagnato da coerenza e capacità di prevedere l’imprevedibile. L’Enel ci prova con quella che a detta di molti può essere considerata la più grande e complessa campagna di comunicazione che un’azienda abbia mai fatto in questo Paese. E in effetti una cosa del genere – nel mondo della comunicazione – non è roba che si vede tutti i giorni. La posta in gioco è alta, gli interessi molteplici, il grado degli investimenti sia dal punto di vista finanziario che da quello politico da far girar la testa.
L’8 novembre 1987 un bruciante e partecipato referendum abrogativo sancì di fatto l’abbandono da parte dell’Italia del ricorso al nucleare come forma di approvvigionamento energetico e in un batter di ciglia vennero sigillate quattro centrali nucleari allora in Funzione. Mentre mezza Europa si gettava a capofitto nel creare una rete di centrali che garantisse autonomia dei rifornimenti di energia e relativo abbattimento dei costi, l’Italia si è mantenuta in una sorta di verginità affidandosi inevitabilmente e sempre di più ai rubinetti arabi del petrolio e giocando con l’illusione delle fonti alternative verdi senza nemmeno impegnarsi seriamente su questo fronte (come sta facendo ad esempio, tra le altre, la Germania). L’arrivo del governo Berlusconi ha sancito la fine di un’epoca partendo dalla verità incontrovertibile che siamo circondati da Paesi nuclearizzati (Francia, Spagna, Svizzera, Germania…). In caso di incidenti oltre frontiera le Alpi innevate e ridenti non farebbero di certo da scudo, il che ha costretto molti a ripensare seriamente la questione. Tanto vale, insomma, trarre profitto da un sistema di produzione energetica che negli ultimi due decenni ha compiuto giganteschi passi in avanti in termini di sicurezza relegando Chernobyl a un incubo medioevale.
Partita in sordina lo scorso anno, la campagna di comunicazione pro nucleare sta decollando in maniera decisa e precisa, guidata da un gigante dell’energia come Enel che, associato al 50% alla Francese Edf, ha deciso di intestarsi la strategia informativa e la costruzione di metà delle future centrali nucleari. Sul mercato internazionale i succhi gastrici sono entrati rapidamente in funzione tanto che ai primi di giugno ha emesso i primi vagiti una nuova cordata formata dalla tedesca E.On e dalla francese GdF-Suez che hanno siglato un protocollo d’intesa per lo sviluppo dell’atomo in Italia, sfidando così i concorrenti Enel-EdF. E, dicono gli esperti. non è finita qui. Spazio per altre aziende interessate allo sviluppo dell’atomo made in ltaly ce n’è in abbondanza.
Enel si è posta in modo molto coscienzioso il problema della comunicazione.
Il questionario di base pone domande a raffica ma tutte indifferibili. Come informare i disinformati? Come convincere i riluttanti? Come persuadere i paranoici? Basterà far baluginare le cosiddette compensazioni, e cioè i benefici economici diretti alle persone residenti, agli enti locali e alle imprese operanti nel territorio dove dovrebbero essere impiantate le future centrali? Sarà sufficiente abbattere i pregiudizi dettati dall’ignoranza e dalla faziosità che hanno nutrito per anni e anni l’opinione pubblica? Potrà un atto di imperio governativo dirimere la questione senza conseguenze sociali e politiche? Se Silvio Berlusconi ha deciso di scendere in prima persona nell’arena nucleare tanto da intestarsi l’interim dopo le dimissioni del ministro Claudio Scajola dei primi di maggio, alcuni governatori del centrodestra (Renata Polverini e leghisti in testa) hanno detto subito di no: a casa nostra nemmeno se ne parla. A sinistra il dibattito è svigorito e anche solo dubitare dell’opportunità di ripensare al niet nucleare è come bestemmiare in chiesa. Già i consensi languono, ci mancherebbe solo sposare una causa che sventola sulle bandiere dell’odiato governo di centrodestra!
Il tono dello scontro si può già intuire dalle reazioni scandalizzate alle posizioni filonucleari di Chicco Testa, una volta capofila ambientalista, ora battagliero sul fronte opposto, che ha aperto un divertente blog (Newclear.it) dove argomenta e fornisce molti materiali ponderati sull’argomento difendendo una fonte energetica a emissione zero di anidride carbonica. Testa, che dal 1996 al 2002, è stato presidente del consiglio di amministrazione dell’Enel, non è solo: oggi a fare campagna a favore del nucleare c’è, tra gli altri, anche Patrick Moore, fondatore di Greenpeace ed ecologista convinto. La Chiesa cattolica, dal canto suo, ha lasciato capire di non avere intenzione alcuna di mettersi di traverso e pur non avendo benedetto i gagliardetti con la scissione dell’atomo, non ha nemmeno lanciato anatemi contro.
Insomma, informare per dare la possibilità di scegliere in modo adeguato e maturo non è per nulla facile e i modelli di comunicazione sono sostanzialmente due: quello francese improntato al dibattito pubblico aperto, diretto e intenso e quello belga che ha tratto vantaggi da entità terze composte da personaggi al di sopra di ogni sospetto che facilitano e stimolano il dialogo fra le parti.
L’Enel si è messa al lavoro e ha cominciato ad acquisire un terreno di conoscenza sociologica necessario per poi stabilire la propria strategia di comunicazione commissionando a quattro istituti di ricerca (Gfk Eurisko, GpF, Euromedia Research e Istituto Piepoli) studi approfonditi che si sono avvalsi di differenti metodologie. Alla fine il quadro che ne emerge è decisamente meno prevedibile di quanto si pensi. Se è vero che il nucleare divide l’opinione pubblica italiana, è altrettanto vero che la maggioranza dei nostri concittadini non è in trincea. Mentre i talebani che avversano il nucleare rappresentano uno zoccolo duro difficilmente intaccabile, l’ampio segmento degli incerti che esprime posizioni variegate e sfumate rappresenta il bacino su cui intervenire. Vi è poi un 10% di popolazione rappresentato da quelli che vengono definiti gli Influentials e che svolgono una funzione pivotale nella costruzione dell’opinione pubblica.
Convinti loro, se ne portano dalla propria parte molti altri. Il vero problema, però, è un altro. E questo sì di ardua soluzione. La prossimità fisica a una bella centrale nucleare rappresenta una delle variabili decisive nel generare dissenso, Il che vuoi dire: okay, il nucleare va bene ma lontano da me (in slang tecnico si tratta del ‘nimby’, not in my back yard, non nel mio giardino). Si va ad aggiungere poi un’altra questione cruciale: i nostri concittadini non si fidano di loro stessi e tanto meno di una gestione ‘all’italiana’ mentre sembrano preferire una terzietà, un ente super partes che conduca il gioco.
Passiamo ai numeri: se il 30% è decisamente contrario alle centrali nucleari, il 10% è molto favorevole, il 28% lo è abbastanza, il 31% lo è poco. Chi scuote la testa in segno di dissenso, lo fa per quattro ragioni/paure: rischio di incidenti e di fughe radioattive (36%), difficoltà di smaltire le scorie (29%), le conseguenze ambientali a lungo periodo (1 6%), la possibilità di una maggiore diffusione di armi nucleari (9%). Tra le professioni, i medici (che con il nucleare lavorano da anni traendone vantaggi fuori discussione) sono i più favorevoli, mentre la categoria degli insegnanti sembra guidare la crociata contraria. Su una cosa moltissimi concordano: l’informazione disponibile è insufficiente e inadeguata.
Dopo grafici, torte, numeri e percentuali, dopo analisi e raggi x, l’Enel ha tratto le sue conclusioni e deciso di partire per la battaglia consapevole che sarà più durevole della lunga marcia guidata da Mao Zedong nel 1934. Nell’agosto scorso l’ad e direttore generale Enel, Fulvio Conti, con il suo omologo francese Pierre Gadonneix, presidente e direttore generale di Edf, hanno firmato la costituzione di una joint venture denominata Sviluppo Nucleare Italia srI che ha il compito di realizzare gli studi di fattibilità per la costruzione nel nostro Paese di almeno quattro centrali nucleari con la tecnologia di terza generazione avanzata Epr. La strategia (ma anche la tattica) di un vastissimo piano che mira alla creazione di un consenso è affidata alla direzione Comunicazione di Gianluca Comin e più specificamente a Paolo lammatteo, responsabile Comunicazione istituzionale e stakeholders del gigante energetico, che spiega: “La partita è abbastanza aperta e dovremo dire cose diverse a segmenti diversi su ognuno dei quali sarà necessario lavorare in modo adeguato. Il governo sta costituendo l’Agenzia per la sicurezza nucleare fatta da scienziati e tecnici, eccetera, che dovrebbero stabilire i siti. Designato il territorio, toccherà alle aziende scegliere il luogo preciso su cui installare la centrale. Ma questo non basta: dobbiamo creare un consenso e gestirlo in maniera allargata con alcuni alleati, medici, insegnanti, università, imprenditori, interni, politici, giornalisti, istituzioni religiose, sindacati. E dobbiamo trovare le terze parti a sostegno. Costruiremo un forum e lavoreremo con i social network in maniera più significativa. Un altro target interessante sono le donne, che sono madri e influenzatrici”.
Sia pure in sordina, la macchina della comunicazione pro nucleare ha riscaldato i motori.
Quel che ci interessa ora non è convincere i cittadini che il nucleare sia cosa buona e santa. Ci preme invece informarli sulla tecnologia e sulla presenza nel mondo, sul fatto che la civiltà occidentale (ma anche quella orientale) è lì che si è instradata, è lì che ha puntato. Quel che diciamo è: prima fatevi un’opinione, poi ne parliamo. Il nucleare non sarà l’unica soluzione ma senza il nucleare non c’è soluzione.
Per prima di affrontare i dettagli mi spieghi quale modello comunicativo avete scelto: quello francese che prevede un dibattito pubblico o quello belga delle entità terze composte?
Abbiamo studiato con molta attenzione entrambi. Con quello francese essendo nostri partner ci lavoriamo e ne conosciamo bene i metodi e gli effetti. Il modello belga è molto interessante benché diverso dall’Italia perché loro un po’ come i francesi il nucleare ce l’hanno già da tempo. Noi pensiamo di lavorare con tutt’e due, convinti per che dobbiamo distinguere tra tattica e strategia. Nella fase strategica guardiamo ai francesi che invitano a studiare e lavorare al nucleare ragionando sul lungo periodo senza farsi ingabbiare dai dibattiti su rischi veri o presunti di malattie o di incidenti. Chi ha il nucleare nel proprio Paese sostiene che la battaglia dialettica è continuativa, lunga e mai definita, ragion per cui i francesi non rispondono alle provocazioni di Greenpeace né alle polemiche dei media. I francesi sono convinti di una cosa che peraltro ci hanno ripetuto mille volte: “Sulla paura siamo perdenti. Quello che dovete fare è darvi un periodo temporale lunghissimo perché sul nucleare non si finisce mai di comunicare”. In Francia dove esistono ben 58 centrali! – si registra una lieve seppur crescente ostilità. Dal punto di vista tattico la situazione italiana ci consiglia di guardare con attenzione anche al modello belga.
I belgi hanno lavorato molto sulle cosiddette parti terze. Mi spiega bene cosa vuol dire?
Per terze parti si intendono tutti quegli stakeholder, quegli operatori sociali, quelle industrie, quei medici, quei cittadini, quelle madri che ragionano con la loro testa, diffondono informazioni oggettive e documentate ed esprimono le loro idee a favore del nucleare nell’ambito di una riflessione pubblica, strutturata e aperta. Se vuole farsene un’idea più precisa, dia uno sguardo a Forumnucleaire.be, un sito belga finanziato e alimentato da Westinghouse, Electrabel e altre aziende ma anche da centri di ricerca pubblici. Tre macroaree – produzione, scienza e ricerca, associazionismo – si sono messe insieme ponendosi a metà tra governo e industria. Si tratta di parti intermedie che prendono sulle spalle il coraggio di affrontare la tematica e chiedono ai cittadini di confrontarsi. Che è quel che vogliamo fare in Italia. I Francesi parlano nelle scuole, nelle strutture mediche, sui giornali seguendo un’agenda propria e non esterna. Noi dovremo fare un mix perché il nostro Paese è più complicato e soprattutto il nucleare non c’è per cui dobbiamo costruire uno spazio che è un po’ più largo di quello dell’industria e cercare di farci aiutare anche da terzi.
C’è chi dice: nulla contro il nucleare in sé ma alla fine i costi sono troppo alti. Anche a causa della prevista politica delle compensazioni che nel nostro Paese è una vera iattura. Basti pensare che un chilometro di alta velocità in Italia costa cinque volte quel che costa in Francia e in Spagna.
In Francia le chiamano ‘retombées socio-économiques’, ricadute socio economiche che, anche dal punto di vista lessicale, è diverso dal dire: ti ho fatto un danno e quindi ti compenso. E Parigi che decide e dice: arrivo sul tuo territorio e ti garantisco insieme alla centrale una serie di ritorni socioeconomici. In Italia, all’interno del decreto che apre le porte al nucleare, questo è stato definito in modo altrettanto chiaro stabilendo quanto intascheranno i comuni e i cittadini e per quanti anni.
Crede che si tratti di una leva davvero risolutiva?
No, non credo che lo sia ma è una tematica seria e definisce bene il perimetro. E su questo abbiamo lavorato molto in termini di studio e di regolamentazione insieme alle istituzioni per cercare di fare tesoro di quello che hanno fatto gli altri.
Venendo buoni ultimi avete sì molti svantaggi ma anche qualche vantaggio.
Gli svantaggi consistono nell’arretratezza nucleare, nel dover rimettere in moto e aggiornare un sistema legislativo, accademico, industriale che pur con qualche positiva eccezione sul tema nucleare è rimasto ‘congelato’ per oltre vent’anni. Il vantaggio è che osservi chi ti ha preceduto e sei in condizione di scegliere e adottare il meglio di tutta l’esperienza precedente.
Immagino che la marea nera delle coste della Florida abbia portato acqua al vostro mulino. Roba tipo: ecco cosa è capace di combinare il petrolio!
Sì e no. A qualcuno potrebbe venire in mente di dire che se questo lo fa il petrolio, pensa se succedesse una cosa del genere con il nucleare…
Nelle ricerche che avete commissionato c’è un dato che mi ha – si fa per dire – molto divertito: il problema per alcuni non è tanto il nucleare in sé, quanto il nucleare gestito dagli italiani, noti anche a loro stessi per essere degli approssimativi e dei furbastri.
In effetti uno dei timori più sentiti è proprio il nucleare ‘all’italiana’. I cittadini si preoccupano di una eventuale gestione poco chiara o approssimativa dei progetti e dei controlli.
Quando si scopre che hanno fatto affondare nel Tirreno navi con carichi pericolosi senza dire niente a nessuno, è difficile dare loro torto. Voi come reagite?
Spieghiamo che il nucleare non è un tema specificamente italiano ma transnazionale. Insomma, piaccia o no, siamo tutti sulla stessa barca e navighiamo secondo regole condivise e monitorate a livello mondiale.
Me lo spieghi semplicemente, se può. Perché il nucleare ha messo in moto i succhi gastrici di Enel? E davvero un così buon affare? E la convivenza con i francesi non sarà poi troppo difficile da gestire?
Enel è entrata nella partita a seguito di una ricostruzione in Italia della legislazione che riporta il nucleare. Il governo ha deciso di aprire le porte al nucleare per il 2020, anno in cui ci dovrà essere posto per questo tipo di energia oltre che per il parco delle energie rinnovabili e per i combustibili fossili tradizionali. Rispetto al progetto governativo di introdurre otto centrali, Enel si è detta in grado finanziariamente e strutturalmente di coprire la metà della richiesta valutando che la terza generazione avanzata, che poi è quella che i francesi stanno costruendo a Flamanville e i finlandesi a Olkiluoto 3, sia quella più avanzata.
Chi vi contesta dice che sarebbe meglio aspettare almeno le centrali di quarta generazione.
Noi invece diciamo: utilizziamo la terza generazione che è quella più sicura e più avanzata.
Domanda scema ma mica tanto: e se i terroristi si gettano con un aereo bomba su una centrale, che succede? Saltiamo tutti in aria?
Risposta semplice: le centrali di terza generazione prevedono un doppio guscio di protezione del reattore due strutture di cemento armato, ciascuna spessa più di un metro anche in previsione di un’eventualità del genere. E più tranquillo ora?
Abbastanza. Ma le centrali di quarta vi fanno proprio schifo?
E chi gliel’ha detto? Intanto sfatiamo un mito: la quarta generazione non sarà una realtà prima del 2030, probabilmente non prima del 2040. Non è utile restare fermi ad aspettare, perciò intanto cominciamo con le centrali più sicure che abbiamo a disposizione, anche perché non potremo ottenere un ruolo industriale importante nello sviluppo delle centrali di quarta generazione se non avremo dimostrato di saper costruire e gestire quelle di terza. I francesi, nel caso non lo sapesse, hanno ancora in funzione molte centrali di seconda generazione, pur essendo la Francia in quanto a tecnologia il Paese più avanzato, tanto che il nucleare è uno degli elementi di esportazione del mercato francese.
Voi siete entrati con una partecipazione nella costruzione di Flamanville.
Sì, con il 12,5%. E non si tratta solo di una partecipazione finanziaria: 60 nostri ingegneri e tecnici partecipano attivamente sia alla progettazione che alla costruzione vera e propria, acquisendo il know how più pregiato. Inoltre ben 45 aziende italiane sono coinvolte nella realizzazione.
Quanto è previsto che costi una centrale nucleare?
Tra i quattro e i cinque miliardi di euro.
Torno a chiederglielo: perché Enel è entrata in questo affare? Immagino che lo consideri un business importante sul piano strategico.
Innanzitutto è un business che gestiamo già in altri Paesi. In Spagna ci sono sette reattori partecipati dalla nostra società Endesa, in Slovacchia ci sono quattro reattori in esercizio e due in costruzione della nostra società Slovenské Elektràrne, mentre in Francia, insieme a Edf, partecipiamo a Flamanville 3 e in prospettiva entreremo nella costruzione di Penly 3 con una quota ancora da stabilire. Da queste esperienze abbiamo capito che i Paesi che hanno l’energia nucleare presentano un vantaggio competitivo significativo.
Ma dal punto di vista economico ne vale davvero la pena? Non state giocando con il fuoco con il rischio di bruciarvi le dita e anche qualcos’altro?
Al contrario. Si tratta di uno degli investimenti più significativi che un’azienda elettrica possa fare, molto intensivo in termini di investimento dei capitali ma decisamente remunerativo perché l’uranio ha un costo basso e che subisce fluttuazioni minime rispetto alle altre tipologie di combustibili come petrolio e gas. Non solo: eventuali variazioni anche sensibili del prezzo dell’uranio hanno un riflesso minimo sul costo finale dell’energia prodotta, nettamente inferiore all’impatto di analoghe variazioni del prezzo dei combustibili fossili. E poi, last but not least, sa quanto dura una centrale nucIeare?
Non ne ho la più pallida idea.
Sessant’anni. Mica male, no?
I francesi di Edf sono in società con Edison che, a sua volta, è un vostro concorrente.
Edf ha deciso di giocare la partita del nucleare dalla holding principale di Parigi ed è con loro che noi lavoriamo, non con Edison.
E adesso parliamo della task force comunicativa che lei guida.
Abbiamo due gruppi di comunicazione, uno francese e uno italiano. Io guido il gruppo di comunicazione Enel mentre dall’altra parte ci sono i responsabili di Edf. E questo perché sul nucleare investiamo le medesime risorse finanziarie. Dall’esperienza e dalle in[formazioni dei francesi traiamo tutto quello che è interessante per noi adattandolo, ma dobbiamo anche tener conto della diversità dell’Italia, pertanto il piano strategico e le applicazioni sono totalmente italiani. A quel punto ne parliamo con i francesi e ci facciamo approvare i documenti. Quando ho presentato il primo piano a Parigi a giugno dello scorso anno, ho detto: per questo quadrimestre vi chiedo tot. Quando si sono ripresi dallo choc ci hanno detto: “Noi facciamo il nucleare anche in Gran Bretagna e in cinque anni abbiamo speso un quinto di quello che lei ci chiede in un quadrimestre”.
Perché avete bisogno di così tanti soldi?
Gli studi dicono che gli italiani hanno necessità di essere informati e per raggiungerli – vista l’enorme frammentazione dell’audience sia la varietà dei messaggi che dobbiamo dare sia degli strumenti che dobbiamo utilizzare è necessario un altro gioco- soprattutto se vogliamo un gioco alla belga.
Alla fine come è andata?
La necessità di un’attività di comunicazione massiccia e pervasiva è stata compresa e condivisa, e di conseguenza è stata riconosciuta l’adeguatezza delle nostre richieste: hanno molto apprezzato il nostro lavoro e approvato il budget richiesto.
Quante persone lavorano con lei?
Abbiamo costituito un’unità che dipende da me e che si chiama Comunicazione energia nucleare. Ci sono persone dedicate nella comunicazione nucleare italiane e poi il gruppo francese, ma tutto il settore della direzione Comunicazione e Relazioni esterne di Enel dedica risorse a tempo pieno al progetto.
Mi dia dei numeri.
I numeri oggi variano dalle dieci alle dodici persone che lavorano sul nucleare. I dedicati oggi sono cinque che lavorano con me, poi ci sono dei francesi e poi in ognuna delle strutture – web, ufficio stampa, pubblicità, comunicazione interna – ho dei referenti.
Mi descriva il piano di comunicazione.
Nel 2009 abbiamo condotto quattro ricerche, una sociosemiotica sulla popolazione adulta italiana con una tematica: ‘Cosa pensi del nucleare?’. Abbiamo creato otto focus group cercando di capire come a livello internazionale i nostri pari parlavano del nucleare. Con che modalità, con quali immagini, con che tipo di linguaggio, associandoli o no alle energie rinnovabili (la risposta è sì, tutti lo hanno fatto visto che non emettono Co2). Poi abbiamo individuato un target: opinion maker e influenzatori. Cosa ne pensano, quali strumenti hanno per informarsi. Poi abbiamo analizzato le reazioni spontanee della popolazione italiana davanti a contenuti nucleari di pubblico dominio (quando parlava il ministro, quando parlava Conti, come cambiava la loro opinione). Quindi abbiamo condotto anche un’analisi politica: in funzione di quello che voti cosa ne pensi del nucleare? E abbiamo istituito un data monitoring permanente. Questo blocco lo abbiamo riportato anche sul 2010 con alcune variazioni. Abbiamo per esempio chiesto all’Osservatorio di Pavia di fare un ragionamento sui cittadini e la comunicazione mediatica.
La gente è diffidente, se scrivete o dite una sciocchezza o peggio ancora una falsità, siete spacciati.
La base delle nostre informazioni, costruita insieme ai francesi, ci è costata lacrime e sangue in termini di attenzione per quello che scrivevamo. Per noi è un supporto importante in una fase non particolarmente divulgativa ma tecnicoscientifica che abbiamo spedito a circa un migliaio di italiani istituzionali, opinion, mediatici per farsi un’idea sul nucleare. Abbiamo portato giornalisti e politici in Francia. Di destra e di sinistra. Vedendo da vicino il nucleare, la posizione cambia anche in maniera radicale, talvolta di 180 gradi. Vedono come i cittadini convivono con gli impianti e quali benefici ne traggono, toccano con mano i livelli di sicurezza, come è gestito tutto il sistema. Insomma si rendono conto che una centrale nucleare è un impianto industriale importante ma che non trasforma né condiziona il territorio: la gente vive vicino a esso in maniera assolutamente normale. Stiamo anche lavorando con alcuni istituti di ricerca, Allo Studio Ambrosetti alla fine dello scorso anno abbiamo chiesto di fare una proiezione dell’Italia fra vent’anni con e senza nucleare, Nel 2010 ci siamo dati come obiettivo quello di lavorare sulla cultura del nucleare costruendo un forum nucleare italiano, predisponendo azioni tattiche in eventi cruciali e istituendo una ‘piattaforma’ di coordinamento internazionale della comunicazione Enel sul nucleare.
Prima rosolate le élite e poi vi cucinate le masse.
Vorremo costruire una cultura diffusa. Da poco abbiamo realizzato un video di 16 minuti con Alessandro Cecchi Paone che racconta in maniera virtuale tutto il nucleare e che utilizzeremo nelle scuole, su YouTube, magari allegandolo ai giornali, eccetera. Dentro vi si racconta tutto, dalle scorie alla sicurezza, in maniera molto comprensibile.
Come vi lavorate i media? O, detta più elegantemente, come lavorate con i media?
Con i media stiamo tacendo un lavoro di ufficio stampa significativo. Abbiamo fatto una prima uscita pubblica del nostro amministratore delegato con Giovanni Minoli in una puntata di ‘La storia siamo noi’, un faccia a faccia di 25 minuti sul nucleare.
Avete una strategia a lungo termine e un approccio tattico.
La strategia a lungo termine dice che continueremo i sondaggi, costituiremo la library, incrementeremo le partnership editoriali, costituiremo il forum, lavoreremo a reti relazionali esterne e convegni. Anche il nostro pubblico interno è determinante: abbiamo 40mila dipendenti in Italia che hanno umori e convinzioni molto assimilabili dei cittadini italiani. Ci sono poi tematiche – la salute e la sicurezza, la designazione dei siti, il problema dei rifiuti nucleari – che avranno bisogno di azioni tattiche. Sulla parte politica e giornalistica abbiamo avuto la richiesta della costituzione di alcuni club sul nucleare. Con Il Sole 24 Ore stiamo per pubblicare un codice dell’energia nucleare ovvero una raccolta ragionata della normativa che lo ha reintrodotto per essere utili agli studi legali e alle amministrazioni. Stiamo iniziando a lavorare con Harvard, con lo Iulm e la Sapienza. Stiamo contattando tutti gli editori anche televisivi per dire che siamo pronti a ragionare su programmi di divulgazione con modalità a pagamento, ma anche per studiare un’informazione sul tema. Al Festival dell’energia da poco concluso a Lecce abbiamo aperto al pubblico uno stand divulgativo. Con le università di ingegneria, medicina e giurisprudenza stiamo pensando a un road show mentre con Confindustria abbiamo organizzato una prima giornata con circa 600 rappresentanti dell’industria a cui abbiamo spiegato che per arrivare a essere fornitori devono raggiungere standard altissimi e molto strutturati.
Un’ultima domanda: quanto costa tutto questo gioco comunicativo?
Stiamo ragionando su cifre superiori ai dieci milioni di euro all’anno.
Tratto da Prima Comunicazione
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