Diana Daneluz
Da Massimo Bustreo e Marta Muscariello, in un libro, l’indicazione di un percorso strutturato verso una performance unitaria.
Anche se scegliessimo l’immobilità e il silenzio assoluti il nostro corpo parlerebbe per noi.
(Paul Watzlawick, “Pragmatica della comunicazione umana”,1967).
Tutti potremmo trovarci nella situazione di dover “parlare in pubblico”. Non solo per lavoro. Pronunciare un discorso come testimone della sposa, perorare una causa sociale di fronte a persone sconosciute, testimoniare in un’aula di tribunale e in mille altre occasioni. Ma non è detto che sia facile per tutti. Se è vero che ormai per ogni abilità esiste un manuale che giura e spergiura di rivelare tutti i trucchi e tutte le strategie e di spianarci così la strada, la realtà è che per parlare bene di fronte ad altre persone, in situazioni siano esse interpersonali o professionali, serve invece un vero e proprio allenamento, dall’approccio culturale e olistico.
Un caleidoscopio di tecniche, culture e arti
È l’approccio olistico – e a tratti zen – è quello che sembra ricercare e proporre Massimo Bustreo nel suo ultimo libro “Public Speaking. Cultura e pratiche per una comunicazione efficace”, scritto a quattro mani con Marta Muscariello e pubblicato da Dino Audino Editore, nella collana «La bilancia della ragione» diretta da Adelino Cattani e Bruno Mastroianni. La prefazione, affidata a Valentina Garavaglia, con cui l’Autore condivide il corso di Tecniche di comunicazione efficace all’Università IULM. Così Massimo Bustreo sul perché di questo lavoro: “È un pensiero diffuso che il parlare bene in pubblico sia conseguenza di un talento naturale, di una predisposizione, o di una dote. È un pensiero non completamente falso: esistono di certo caratteristiche utili delle quali un oratore può essere ‘dotato’, ma queste, per quanto presenti, non è detto siano sufficienti né tantomeno indispensabili. Tecniche, culture e arti del comunicare efficacemente sono difficili da acquisire. Ma ancor più difficili da tener nascoste una volta che si possiedono. il buon comunicatore è infatti colui che sa come mostrare estrema naturalezza nel comunicare anche quando questa è tecnicamente e artificiosamente acquisita. Come dico sempre, per essere sinceramente spontanei è necessario allenarsi molto”.
Allenarsi e andare a meta
E cosa presuppone un buon allenamento? Innanzitutto, passi successivi, un graduale appropriarsi di abilità e di competenze trasversali. Che nel caso della comunicazione, e della comunicazione in pubblico, sono tante: vocabolario, memoria, dialettica, retorica, psicologia, misura, controllo della voce e del suo tono e volume. Ma anche capacità di ascoltare, prima ancora che di parlare, da cui discende la fortuna di una relazione empatica con chi, a sua volta, ci ascolterà. Ed altre abilità ancora. Nessuna fretta quindi, sembrano avvisare gli Autori, ma una considerazione seria di una competenza multimodale (si direbbe ora) che non si improvvisa. E che nelle 150 pagine del testo viene dispiegata con chiarezza, anche visiva, ed esempi pratici. E che richiede di fare esercizio. E ciascun allenatore, in qualunque allenamento, inviterà ad esercitarsi in una cosa apparentemente naturale, che viene, forse anche qui, prima di tutto: la respirazione. Serva essa a preparare il corpo allo sforzo di una passata in acqua del remo, come nel canottaggio, abbinando il ritmo del respiro al ritmo del colpo, sia essa il respirare come “scambio con l’ambiente”, parte integrante del gioco del tennis, dove permette al giocatore di controllare lo stress e reggere un determinato ritmo, la respirazione è al centro delle tecniche preparatorie di ogni sport. Ma a cosa serve per parlare in pubblico? Come nelle pratiche meditative, serve innanzitutto ad allentare la tensione e quindi anche qui a ridurre lo stress. “Respirare a pieni polmoni” poi, per qualche respiro, aiuta la concentrazione e quindi il pensiero, indispensabile per riordinare in mappe mentali le idee sui contenuti da esprimere e pronunciare non solo un discorso di senso compiuto, ma che sia efficace per lo scopo. Imparare tecniche appropriate di respirazione, infine, permette di controllare l’emissione di voce, ma ancora di più di modularla – in alternanza con le altrettanto necessarie ‘pause’ studiate che rendono il silenzio amico e non un incidente di percorso durante uno speech –, di piegarla all’obiettivo che abbiamo in mente, di far sì che ci aiuti, anche, a sedurre. E tanto più un allenamento raggiungerà via via gli obiettivi prefissati quanto più conosciamo di noi stessi. Per capire su cosa dobbiamo incidere per migliorare nelle prestazioni. E infatti nelle pagine del libro c’è l’invito, a guardarci dentro e ad imparare a riconoscere i nostri punti di forza e le nostre carenze, che peraltro cambiano nel tempo, e a lavorare su di essi – “conoscere, praticare, correggere, rinforzare”- nel percorso verso una performance di discorso in pubblico soddisfacente per chi la interpreta e per chi vi assiste.
Parlo e Ascolto
Sì, perché anche il rispetto per l’uditorio fa parte del gioco, anzi per gli Autori questo è proprio “il principale elemento di successo di un public speaking: la conoscenza e l'ascolto del proprio pubblico - interlocutore tutt'altro che silente - che va condotto e coinvolto verso l'obiettivo del proprio parlare”, sia con la scelta delle parole e del tono della voce sia nella ricerca di una solidarietà con esso che Bustreo e Muscariello rendono bene, parlando di … pronomi. Quello utile in un contesto comunicativo efficace, dicono, è il “noi”, perché è un pronome inclusivo che mette insieme l’io che parla con il pubblico che ascolta, speaker + ascoltatori. A volte potrà servire, certamente, anche il “noi” esclusivo, come nell’esempio del discorso a nome di un team per illustrare un progetto. Tuttavia, nel caso di un pubblico generico, quello che funziona, avvertono, è senz’altro il noi che ricerca una relazione con gli interlocutori. Li ingloba, li interessa, li coinvolge indirizzando a loro, e proprio a tutti loro, le parole. Li emoziona magari, considerata l’emozione come risultato di un’esperienza e nuova chiave della nostra realtà. Anche di quella che vogliamo raccontare agli altri. Massimo Bustreo, reduce da InspiringPR di FERPI, quest’anno dedicato proprio al tema delle Emozioni proposto dal Comitato Scientifico da lui presieduto, sarebbe d’accordo.
La tentazione del Manuale
Nel libro gli Autori, dopo aver affrontato il tema di indubbia utilità per chi eserciti la professione di relatore pubblico e di comunicatore, ma non solo, con ogni precisione e complessità possibile, mettendo nero su bianco un percorso strutturato per guidare il proprio allenamento verso il piacere di interloquire con gli altri, cedono alla “tentazione del Manuale” e ci regalano le 10 regole d’oro del Public Speaking, da mandare a memoria. Non le svelo, leggete il libro! Ma la mia preferita sì: “Sorridere e usare l’umorismo”.