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Relazioni con i media: ripartire? Ma da quali basi? Seconda puntata della nostra riflessione

21/02/2006

Prosegue l'analisi di Toni Muzi Falconi verso una professione responsabile: questa settimana parliamo di chiarezza, completezza, tempestività, rilevanza, correttezza. Mentre la socia Valentina Mancinelli manda il suo contributo sul tema della leggerezza.

Due settimane fa su questo sito Andrea Prandi ci segnalava, in un interessante articolo che i direttori responsabili di La Repubblica, La Stampa e Il Sole 24 Ore (Mauro, Anselmi e De Bortoli), nel corso di un incontro promosso dallo Studio Ambrosetti, si erano dichiarati con lui disponibili e interessati a un confronto con i comunicatori delle organizzazioni per discutere insieme su come migliorare, nell'interesse del lettore, le relazioni fra comunicatori delle imprese e giornalisti. Confronto quanto mai necessario ed opportuno!In un articolo pubblicato la scorsa settimana avevo provato a delineare - recuperando anche il senso di diverse riflessioni Ferpi sul tema negli ultimi anni e mesi - alcuni possibili componenti di una piattaforma che, da relatori pubblici, potremmo proporre (dopo averla condivisa al nostro interno) ai nostri interlocutori come avvio del confronto.In particolare avevo provato anche ad applicare al tema specifico delle relazioni con i media - una parte consistente del nostro lavoro - alcuni indicatori generali che ci aiutano a identificare una comunicazione responsabile: la trasparenza e la veridicità.Vorrei questa settimana declinarne altri, e in particolare:-chiarezza-completezza- tempestività-rilevanza-correttezza 
Per chiarezza si intende che il relatore pubblico deve compiere ogni possibile e realistico sforzo per trasferire al giornalista materiali informativi agevolmente comprensibili. Troppo sovente le tematiche sulle quali proviamo ad attirare la sua attenzione sono espresse con modalità confuse, talvolta burocratiche, e sovente tecnicistiche.Per completezza si intende che dobbiamo assicurare al giornalista la possibilità di accedere a tutte le fonti a nostra conoscenza, senza con questo rinunciare a sottolineare quelle che a noi sembrano essere le più esaurienti.Appare poi fondamentale la tempestività dell'informazione, sia nell'assicurare al giornalista la possibilità di approfondire il tema nei tempi necessari per la stesura dell'articolo, sia rispettando la regola generale che tutti i giornalisti potenzialmente interessati hanno il diritto di ricevere le informazioni che diffondiamo. So bene che quest'ultima è soltanto una regola generale e che molte sono le eccezioni, ma la procedura più corretta è quella di diffondere la notizia (quando c'è) a tutti (magari via agenzie di stampa) e poi di commentare e approfondire la notizia con quei giornalisti che riteniamo più interessanti, senza però negarsi a quelli che invece si attivano autonomamente per saperne di più. Naturalmente questi comportamenti si possono scontrare con il desiderio del singolo giornalista quando preme per l'esclusiva o lo scoop e in questi frangenti occorre equilibrare le diverse esigenze delle parti... E questo rientra nella loro discrezionalità, senza però mai dimenticare che favorendone uno si finisce per sfavorire tutti gli altri. Qualche volta il rischio è percorribile, ma non può trasformarsi in regola generale, che rimane invece quella di assicurare a tutti l'informazione nei tempi sufficienti perché facciano bene il loro lavoro nell'esclusivo interesse del lettore.L'informazione che trasferiamo al giornalista deve essere anche rilevante: non per noi ma per il giornalista. Questo implica fare ogni ragionevole sforzo per evitare di inondarlo di materiali informativi che non siano per lui/lei rilevanti.C'è poi una questione fondamentale di correttezza che è centrale in una buona relazione con il giornalista. E' paradossale lamentarsi, come facciamo spesso, della scarsa attenzione e disponibilità di un giornalista quando lo abbiamo abituato a ricevere da noi informazioni opache, incomplete, non tempestive e irrilevanti. Oppure quando lo abbiamo ignorato in eventi passati che sapevamo essre comunque di suo interesse per privilegiare il rapporto con un altro. Ci sono poi questioni di correttezza anche collegate alla soddisfazione o meno delle sue esigenze informative quando siamo in grado di farlo, a impegni promessi sul momento solo per assicurarci la sua benevolenza ma poi non mantenuti che producono non soltanto una nostra caduta di credibilità professionale ma anche un danno oggettivo all'interesse che rappresentiamo.
Verosimilmente esistono parecchi altri indicatori riferiti specificamente alle relazioni con i media, da tenere in considerazione e chiedo ai colleghi e agli amici di aiutarmi a identificarli affinché, se e quando quel confronto venisse attuato, la Ferpi non si presenti a una chiacchiera inconcludente bruciando una opportunità che invece può essere importante.L'ideale sarebbe arrivare ad un documento da noi condiviso in cui ci si presenta agli interlocutori:noi ci impegniamo a comportarci così se voi vi impegnate a comportarvi cosà e abbiamo tutti insieme il diritto di appellarci ad una sorta di comitato misto dei "saggi" in caso di evidente non rispetto degli impegni assunti. Non solo ma ci impegniamo anche a non accettare o tollerare comportamenti di altri (giornalisti e relatori pubblici) che siano in violazione di tali impegni.Che ne pensate? Scriveteci le vostre opinioni Toni Muzi Falconi



Rammaricandomi di non essere stata presente al primo confronto milanese sul tema e di non poter partecipare neppure al secondo, non posso che convenire con TMF su quanto detto e sottolineato. Mantenendo lo sguardo attento al nostro punto di vista di comunicatori che dei media fruiscono in quanto strumento essenziale di lavoro suggerirei di aggiungere una ulteriore nota.Credo che la leggerezza dovrebbe essere inserita a pieno diritto nelle caratteristiche di una buona ed efficace relazione con i mezzi stampa, e parlo della leggerezza cosi come Calvino ce la insegna nelle " Lezioni Americane": una sottrazione di peso,  una leggerezza "pensosa".Troppo spesso gli strumenti che utilizziamo per rapportarci con i giornalisti sembrano il frutto delle occasioni perdute: chi si improvvisa romanziere o poeta, chi perde completamente di vista la portata reale di ciò di cui sta parlando e la disponibilità di tempo di chi dovrebbe ascoltarci.
Essere più "leggeri" in questa specifica accezione  contribuirebbe a dare maggiore serietà al nostro lavoro e consentirebbe, a mio parere, di trovare orecchie più attente. 
Valentina Mancinelli
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