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Relazioni pubbliche: cosa c’è dopo Grunig?

20/07/2009

A che punto sono le Rp nel mondo? E quali gli scenari futuri? Una nota di Toni Muzi Falconi che anticipa in anteprima i temi trattati in un suo saggio, in inglese, sulle Relazioni pubbliche globali e il governo delle relazioni con gli stakeholder a partire dall'analisi del corpo di conoscenze.


Tra il Big Bang e l’avvento di Internet ci sono almeno 100 anni di corpo di conoscenze sulle Relazioni pubbliche. La teoria di Grunig rappresenta uno spartiacque. Ma cosa aspetta la disciplina e la professione?


Toni Muzi Falconi


Enrico Fantaguzzi ha già pubblicato su questo sito una esauriente recensione del libro Online Public Relations di David Phillips e Philip Young, appena uscito edito da Kogan Page (UK) per la collana CIPR (i nostri colleghi britannici).


Ho letto il lavoro con particolare attenzione perché ho stima per entrambi gli autori, che non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altro.
Geniale il primo: contorto, complesso, visionario, scomodo, scontroso, stimolante.
Apparentemente più tranquillo il secondo: in realtà un groviglio di nervi tesi, sempre attentissimo ma poco incline alla chiacchiera, competente e straordinario educatore.


Avevano insieme già pubblicato per lo stesso editore nel 2001 la prima edizione di Public Relations Online: davvero sorprendente per quell’epoca, quando verosimilmente non più di un relatore pubblico su dieci era pronto a scommettere che la nostra vita professionale sarebbe stata travolta dal nuovo ambiente virtuale, interpretato allora dai più soltanto come una rete informativa e comunicativa, anziché come un ambiente di relazione che avrebbe radicalmente modificato il nostro modo di rapportarci con gli altri.


Ricordo che all’epoca, da Presidente FERPI, avevo fatto venire a Milano l’oggi mitico Shel Holtz per parlare del suo primo libro su PR on the Net, e si fece una grande fatica a radunare un numero esiguo di soci interessati.
Oggi, se venisse Holtz in Italia verosimilmente si dovrebbero lasciar fuori le persone dall’Auditorium di Roma…


Raccomando con grande calore la lettura attenta (e paziente… non è facile) dell’opera di Phillips e Young, non tanto per la sua impostazione anche manualistica che offre molti spunti e suggerimenti assai utili, ma soprattutto per la sua parte teorica che argomenta una ottima risposta a chi si chiede, come molti fanno oggi, ‘cosa c’è dopo Grunig’.


Negli ultimi anni parecchi di noi, in diversi Paesi del mondo, hanno condiviso la fine del modello delle relazioni pubbliche praticate nel ventesimo secolo perlopiù elaborate, razionalizzate e insegnate negli Stati Uniti ed esportate in tutto il resto del mondo.
Fra costoro i due autori del libro che ho appena raccomandato, Grunig e diversi altri.


Molto lavoro è stato fatto per costruire un approccio maggiormente adeguato alla discontinuità intervenuta alla fine del secolo scorso grazie anche alla digitalizzazione pervasiva delle nostre vite.


Ne approfitto per informare gli appassionati che a questo link potranno leggere la bozza finale del mio ultimo lavoro predisposto per la nuova edizione (in uscita ai primi del 2010) del Corporate Reputation di John Doorley e Fred Garcia.
E’ un testo che integra il nuovo paradigma dei principi generici e delle applicazioni specifiche con il governo delle relazioni con gli stakeholder.


E’ però utile, in ogni caso, chiarire a coloro che hanno avuto meno tempo per visitare il corpo di conoscenze che si è andato accumulando nel mondo in questi anni, alcune questioni onde evitare fraintendimenti:


° fra il Big Bang e l’avvento di Internet (ormai più di trent’anni fa… e questo talvolta si dimentica..) vi sono stati almeno 2000 anni di storia dell’Occidente e buoni 100 anni di pratica e concettualizzazione professionale delle relazioni pubbliche.


Stupisce che per molti professionisti, studiosi e educatori, le relazioni pubbliche prima di Internet siano tutte da dimenticare e da buttare… per poi rendersi invece conto che molte delle stesse teorizzazioni internettiane di oggi e di ieri, altro non sono che una faticosa rielaborazione di concetti già largamente esplorati e praticati nei decenni precedenti.


Solo per fare un esempio: un autorevole e reputato docente Bocconiano, in un recente convegno, ha teorizzato il concetto di third party endorsement come fosse una scoperta della rete, ignorando integralmente cento anni di corpo di conoscenze sul tema. Così come si fa un gran parlare di relazioni pubbliche come ‘spazio’ ignorando però che l’organizzazione di eventi 8 (e la sua concettualizzazione) è un caposaldo delle relazioni pubbliche fin dalle fine dell’Ottocento.


Non solo questo è deplorevole per il vuoto di conoscenza che testimonia, ma è diseducativo per i giovani.


° molti identificano erroneamente gli studi di Grunig con il modello americano che in realtà quegli studi si propongono di sostituire. Questo è un abbaglio grossolano e denota una lettura di rimando.


Jim Grunig ha semplicemente, ma ce ne sono anche tanti altri, razionalizzato il modello americano anche allo scopo, fin dal 1984, di avviare il suo superamento.


Certo, Internet allora non esisteva ancora come fenomeno diffuso, ma le conseguenze collaterali del modello americano di Rp nel resto del mondo erano già ben visibili e, come Grunig stesso ha descritto con meticolosità in una recente intervista sul suo rapporto con i social media, non c’è nulla nella sua teoria che non aiuti a comprendere le straordinarie opportunità offerte dalla rete al nuovo approccio delle relazioni pubbliche del XXI esimo secolo.


E’ utile anche sapere che l’accademia americana tradizionale aveva sempre voltato le spalle a Grunig considerandolo ‘globalista’, proprio perché i suoi lavoro erano fortemente influenzati da Europei, Asiatici e Africani. Soltanto negli anni più recenti, e pochissimi anni prima del suo ritiro, egli viene riconosciuto e riverito dai suoi colleghi statunitensi.


Del resto, i suoi detrattori abbondano ovunque in omaggio a quella legge accademica globale per cui è bene che i giovani che vogliono farsi strada attacchino i vecchi, anche se poi dicono in larga parte le stesse cose: così i pensatori della scuola critica (inglesi e neozelandesi soprattutto) e di quella postmoderna (sudafricani soprattutto) se la prendono per il suo ‘buonismo’ e gli rimproverano una visione organizzativa anziché sociale delle relazioni pubbliche.
Certo, hanno sicuramente ragione e rinunciano esplicitamente ad influenzare la pratica professionale, esprimendo una visione astratta (anche se affascinante e stimolante) dell’ impatto sociale e politico della nostra professione.


Se loro sono i teorici (e sappiamo bene quanto bisogno abbiamo di teoria, soprattutto in questo periodo), Grunig è invece un educatore e i suoi diversi interpreti producono un impatto notevole e visibile sulla evoluzione della pratica professionale.


TMF
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