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Reputation: la provocatoria lezione del caso Bernard Madoff

19/03/2009

In controluce la vicenda del finanziere americano. Una truffa (oltre 50 mld di dollari) e un portafoglio clienti costruiti attraverso cinque decenni di lavoro sulla reputazione. Si può salvare il mezzo condannando il fine?

Più o meno 50 miliardi di dollari. Più o meno tre volte il crack Parmalat. A tanto ammonta il fallimento della Bernard Madoff Investment Securities detonato ai primi di dicembre del 2008. La più grande e longeva truffa mai realizzata da una sola persona, attraverso il noto “Ponzi scheme”. Una gigantesca catena di S. Antonio, che ha messo nel sacco investitori di lungo corso, star di Hollywood, un premio Nobel (Elie Wiesel) e tante istituzioni benefiche. Insomma la “crema” della finanza newyorkese (e quindi americana), compresi tanti appartenenti alla comunità ebraica.


L’entità del danno, la notorietà delle vittime e il processo (attualmente in corso) hanno spostato il punto d’osservazione verso il gossip e la cronaca giudiziaria. Nessuno quindi si è chiesto come abbia fatto Madoff a raggirare tanti navigati investitori per così tanto tempo. Infatti, secondo la ricostruzione effettuata dagli ispettori della Security Exchange Commission, la sequenza di versamenti e rimborsi risale senza interruzioni fino al 1970.


La prima risposta è la più maliziosa: Madoff potrebbe aver contato sulla complicità dei suoi principali clienti, oltre che su quella dei parenti che lavoravano con lui (i figli, il fratello e altri). Ma di questo, almeno per il momento, non esiste alcuna prova. In aula, pochi giorni fa, “Bernie” (così lo chiamavano gli amici) si è dichiarato unico colpevole.


La seconda risposta è invece ricca di riscontri. Madoff ha fabbricato il suo mito lavorando sulla propria reputazione, fin dal primo dopoguerra. Da quando, negli anni ’50 faceva il bagnino a Long Island (all’epoca la residenza e la spiaggia più esclusiva di New York) e nei ritagli di tempo caricava le bibite nei distributori automatici. Lì, da ebreo, entra in contatto con i più facoltosi rappresentanti della comunità israelita e con il mondo della finanza. Quando nel 1960 lascia il lavoro e decide di far fruttare i risparmi (cinquemila dollari) ha già i suoi buoni consiglieri. Tanto che investe nella società che ha poi contribuito alla nascita del Nasdaq, di cui egli stesso è stato presidente.


Jerry Reisman è un avvocato del New Jersey, ha conosciuto Madoff socialmente e oggi rappresenta 10 investitori che nel crack hanno perso 150 milioni di dollari. Al quotidiano inglese “Telegraph” ha detto: “Frequentava i circoli più esclusivi di New York. Dove esibiva un fascino totale. Era un maestro nel relazionarsi con le persone e alimentare l’aura che lo circondava. La gente lo vedeva come un supereroe e non si preoccupava minimamente di quello che in realtà facesse. Erano tutti travolti dall’avidità”.


Ma la strategia di “Bernie” era ancora più sottile. L’immobiliarista Jeffrey Gural ha raccontato al “New York Times” di essere stato sfottuto pesantemente dagli amici, dopo che Madoff gli aveva respinto l’investimento perché inferiore a 20 milioni di dollari: “Tutti pensavano che Bernard era un genio e io uno stupido, come tutti quelli che non gli affidavano i loro risparmi”. Trattato come un pezzente per convincere gli altri a investire e a perpetuare inconsciamente la catena.


Nel “pacchetto” comunicativo c’era anche la CSR, con i corposi assegni staccati a favore delle organizzazioni filantropiche ebree di cui Madoff curava gli investimenti. Bernie partecipava assiduamente, insieme alla moglie, alla vita religiosa della comunità e alle tante serate di beneficenza tenute al Palm Beach Country Club (Florida), “buen retiro” di tanti ricchi ebrei. Tra i quali Carl Shapiro, il 95enne magnate del tessile – “padrino” di Madoff fin dal 1948 – truffato per 500 milioni di dollari.


Una dedizione continua, quella di Madoff per le PR, unita a un talento naturale. Ma quella che ne deriva è una lezione altamente provocatoria, perché prima di prenderlo ad esempio ogni comunicatore deve rispondere a troppe domande. Tra le possibili ne proponiamo due: è più facile lavorare per se stessi che per gli altri? Tutto questo sarebbe successo se Madoff avesse avuto un relatore professionale?


Il quesito fondamentale resta però soltanto uno. Da questa storia si può salvare il mezzo (la strategia di relazione) dal suo fine fraudolento?


Rosario Vizzini – Redazione Cultur-e
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