Ferpi > News > Ripensare le strategie di comunicazione

Ripensare le strategie di comunicazione

05/08/2010

Lo spostamento della comunicazione online e la crescente diffusione del web 2.0 obbliga le organizzazioni a ripensare le proprie strategie e richiede un forte cambiamento culturale come suggerisce _Biagio Carrano_ in questa riflessione.

di Biagio Carrano
Mesi fa durante una docenza spiegavo il potere dei blog e la moltiplicazione dei nuovi canali di comunicazione web 2.0 di cui un responsabile della comunicazione e del marketing aziendale deve oggi tenere conto. C’era in aula la direttrice della comunicazione di una importante società di “broadband solutions”, la quale sosteneva press’a poco: “Ma chi se ne frega di quattro sfigati che si fanno un bloggino a uso e consumo dei loro amici? Noi dobbiamo tenere conto dei grandi stakeholder, le banche, gli investitori, i grandi media, i top managers: quello è il lavoro che giustifica il nostro stipendio”.
Mi trattava come un illuso dal cuore d’oro, o come un idealista che voleva proporre regole di buona educazione al cinismo degli affari. E probabilmente i suoi capi condividono il medesimo avviso.
Sono invece persuaso che uno dei grandi contributi del web relazionale alla gestione d’impresa sia stato di aver consentito di oltrepassare un certo “riduzionismo etico” entro il quale certi critici hanno spesso voluto contenere la portata della stakeholder theory.
Negli anni Ottanta e Novanta gli effetti deleteri sulle attività aziendali di certe condotte avevano ancora uno sviluppo lento e a volte prevedibile; spesso risultava ancora possibile controllare i media e pianificare delle azioni di recupero dell’immagine in tempi relativamente brevi e con risultati soddisfacenti. Ci si basava sulla memoria cartacea e televisiva, che si dilegua rapida dopo aver suscitato grandi emozioni.
Un tempo, ovvero appena un decennio fa, analisi finanziarie rigorosissime sulla cattiva gestione di un’impresa sarebbero state oggetto di discussioni tecniche e riservate tra pochi addetti ai lavori mentre oggi esse diventano accessibili a tutti tramite il web. E come potrebbero una precisazione o un articolo a sostegno del management di quella stessa impresa, magari pubblicati anche online, contrastare efficacemente quell’analisi dettagliata che viene diffusa da siti web specializzati come anche blogger e twitter, che viene ripresa da tanti profili sui social network, trasformata in video caricati su YouTube e che arriva magari a trovarsi tra i primi risultati di Google relativi a quella impresa?
Nell’ultimo lustro abbiamo assistito a un ribaltamento dei rapporti nella comunicazione tra imprese e stakeholders. La tradizionale asimmetria broadcast, in cui la centralità dell’impresa era definita dalla sua capacità di inviare i messaggi più adeguati per i vari stakeholders (intesi spesso come meri ricettori di un input o al massimo con una verifica del feedback comunque gestita dall’impresa), si è trasformata in una nuova asimmetria plurimediale a svantaggio dell’impresa, in cui la moltiplicazione dei canali e dei mezzi di comunicazione presidiabili dagli stakeholders li rende a volte addirittura predominanti e capaci di promuovere iniziative di comunicazione contro l’impresa medesima. In termini economici questa trasformazione implica che sono enormemente aumentati i costi di transazione che un’impresa deve affrontare quando comunica. Molte aziende fanno finta di niente, gestiscono la comunicazione in maniera tradizionalmente broadcast e relegano il conseguente aumento dei costi di transazione comunicazionali nei costi nascosti, dove si spera che nessun revisore contabile o blogger andrà mai a mettere il naso.
Allora non si tratta più solo di adattare e integrare gli strumenti della comunicazione in una logica web 2.0 (creare un blog aziendale, o qualche video su YouTube, per esempio) ma proprio di ripensare del tutto le strategie di comunicazione. In questo la stakeholder theory ci offre le linee guida per un nuovo approccio capace di ridurre i costi di transazione comunicazionali.
Comunicare costantemente con tutti gli stakeholders, sviluppare un dialogo proficuo con essi, monitorare costantemente il “buzz” che i social media producono su di noi, ma anche offrire continuamente l’accesso a nuovi strumenti e contenuti affinché chiunque voglia comprendere la nostra impresa o la nostra organizzazione possa farlo utilizzando noi come sua fonte principale.
La lista potrebbe essere molto più lunga e chiunque può aggiungervi altri spunti sulla base delle sue esperienze e dei suoi orientamenti. Tuttavia, non basterà aggiungere nuovi impegni alla lista se mancherà un cambiamento di tipo culturale, che è poi alla base della teoria di Edward Freeman: l’idea, diciamo anche la persuasione etica, che stai comunicando con quel soggetto non per portare a casa il tuo stipendio ma perché davvero credi che così tu possa lavorare meglio, e vivere in una società più sostenibile.
Eventi