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Rp: la lezione del Vaticano

28/02/2013

Al di là delle implicazioni religiose, l’abdicazione di _Benedetto XIV_ dal soglio pontificio può essere letta come un utile spunto di riflessione anche per moltissime organizzazioni secolari. L’analisi del Presidente di _Global Alliance, Dan Tisch._

di Dan Tisch
In un anno che ha già portato molte sorprese, nessuna è stata però più inaspettata delle dimissioni di Papa Benedetto XIV. Indipendentemente dalla propria fede o visione del Pontefice e della Chiesa, l’annuncio rappresenta un affascinante caso di studio su una delle più importanti istituzioni al mondo di fronte alla sfida di comunicare in un’epoca di grandi cambiamenti.
Gli elementi chiave della storia sono familiari a molte organizzazioni: un leader succede ad un predecessore più carismatico, affrontando la sfida di comunicare ad un pubblico enorme, multiculturale e multilingue – in una fase di cambiamento della forma mentis e di maggiore propensione a mettere in discussione l’autorità. Una comunità sempre più potente di attivisti chiede maggiori trasparenza e senso di responsabilità per gravi colpe in alcuni ambienti dell’organizzazione. E la gerarchia dell’organizzazione più adatta ad una comunicazione unidirezionale che ad un dialogo aperto.
In Australia, poco più di due anni fa, ho condiviso il palco con monsignor Paul Tighe, Segretario del Consiglio Pontificio per le Comunicazioni Sociali. Un comunicatore astuto, una delle figure ai più alti livelli dei media vaticani. L’occasione di quell’incontro mi ha fatto individuare alcuni spunti, che oggi sembrano particolarmente rilevanti – non solo per la Chiesa, ma per tutte le organizzazioni.
La comunicazione moderna non passa da un microfono. La dinamica nella maggior parte delle comunicazioni della Chiesa è costituita da un oratore e un pubblico e monsignor Tighe ha sottolineato come i suoi leader utilizzino ogni nuova tecnologia come la radio e la televisione ossia come “un microfono migliore” per amplificare il proprio messaggio. Oggi, però, le persone non sono interessate ad una ricezione passiva, vogliono discutere, respingere, interpretare o reinterpretare il messaggio. Il pubblico deve prendere parte alla conversazione.
La rivoluzione della comunicazione di oggi non è tecnologica: è culturale. L’avvento di Internet e dei social network ci fornito strumenti nuovi, cambiando il nostro modo di interagire con gli altri. Stabiliamo relazioni e formiamo comunità con minore necessità e desiderio di intermediari – a meno che questi non aggiungono un valore tangibile.
Non puntare all’uniformità; l’obiettivo è la condivisione. Mentre la struttura di base di una funzione religiosa cattolica è universale, il contesto specifico varia notevolmente a seconda delle diverse regioni, paesi e culture. Questa è una sfida che devono affrontare anche molte organizzazioni multinazionali – portare avanti una brand experience coerente prestando però attenzione alla sensibilità e la capacità di adattamento ai diversi contesti culturali.
Nella maggior parte del mondo industrializzato, la partecipazione ai culti religiosi è in declino. Sarebbe, tuttavia, un errore interpretare questo come una perdita di interesse in materia di spiritualità e senso della vita, se non altro perchè il nostro desiderio di legami, relazioni e comprensione reciproca è più profondo che mai.
Nei secoli passati, le principali religioni del mondo, pioniere della comunicazione su vasta scala, utilizzavano non solo la parola scritta e parlata, ma una ricca gamma di strumenti visivi e strategie per unire le persone – anche in tempi di mobilità ed alfabetizzazione ridotte.
La sfida per i leader di tutte le fedi – come le loro controparti nelle organizzazioni secolari – è riscoprire quella leadership.
Possano utilizzare la comunicazione per facilitare il dialogo sincero, il coivolgimento umano e la comprensione reciproca. E possano avere saggi comunicatori a consigliarli.
Fonte: Global Alliance#
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