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Sempre sugli inciuci, un intervento di Patrick Trancu

03/09/2004

Un commento all'editoriale di Toni Muzi Falconi e alle osservazioni di Franco Carlini sulle cattive prassi che caratterizzano il triangolo Cliente-Agenzia-Giornalista

CLIENTE, GIORNALISTA, AGENZIA: IL CORAGGIO DI ASSUMERSI LE PROPRIE RESPONSABILITA'(Cliente) "Certo che ci sarebbe bisogno di avere visibilità in questo momento" (account agenzia)  "Beh, potremmo combinare un'intervista con il giornale ABC" (cliente) "Si, magari con una bella foto. Ma lei mi garantisce che l'intervista la rileggiamo prima di andare in stampa?" (account agenzia) "Non si preoccupi il giornalista è un amico. La facciamo uscire come vogliamo" (cliente) "No, perchè sa, io non la pago mica per far uscire quello che vuol scrivere il giornalista".(account agenzia) "Ciao Franco sono Alberto dell'agenzia PR. Come stai? Tutto bene le ferie? Senti, devo far uscire un'intervista con l'ad del mio cliente" (giornalista) "Certo potrebbe essere interessante, ma di cosa vuol parlare, delle acquisizioni che ha in programma, dei risultati finanziari o c'è qualche altra notizia?"(account agenzia) "Mah, a dire la verità di acquisizioni non vuol parlare e poi sai i risultati finanziari è meglio che li lasciamo perdere in questo momento. Facciamo una cosa più sfumata, potremmo parlare del recente premio e anche del marketing dei nuovi prodotti. E poi si tratta dell'ad, è un'occasione unica" (giornalista) "Sì la possiamo fare ma cerca di darmi qualche notizia" (account agenzia) "Grazie Alberto sei un amico. Ah dimenticavo, prima di mandarla in stampa me la fai rileggere? Sai, se poi esce qualcosa che non va mi gioco il cliente" Il fantasioso dialogo presentato non si discosta molto dalla realtà. Un account incapace di illustrare al cliente un corretto approccio etico e metodologico, un cliente che non conosce le regole del gioco perché nessuno si è preoccupato di spiegargliele o ha avuto timore di farlo, un giornalista riluttante a dire no perché alla fine l'azienda è anche un inserzionista e poi magari arriva il direttore a rompere le scatole. Scrive Toni Muzi Falconi nel suo editoriale: "in linea generale questa novità (quella di rileggere le interviste) potrebbe anche andare poiché da un lato assicura che non vi siano misinterpretazioni del giornalista (ed evita quindi i fastidiosi batti e ribatti post intervista), dall'altro consente all'intervistato di riflettere meglio sulle implicazioni di ciò che vede stampato sul foglio o sullo schermo del pc al momento della rilettura prima della stampa".Con tutto il rispetto che nutro per Toni, non posso condividere questa posizione. La prassi come scrive bene Franco Carlini "è indecorosa". Io aggiungerei "indecente e codarda". Il primo dovere del professionista infatti è quello di formare il proprio manager o il proprio cliente. Il media training serve a sviluppare le tecniche di comunicazione e a spiegare le regole del gioco e il rispetto dei ruoli di ciascuno (portavoce aziendale e giornalista). Un manager che non ha riflettuto prima di rilasciare un'intervista e che ha bisogno di rileggerla per rendersi conto di quello che ha detto non dovrebbe interagire con i media. E se la sua agenzia o il suo consulente gli hanno proposto, o hanno acconsentito a organizzare l'intervista senza un'adeguata preparazione e senza contenuti, allora questi andrebbero licenziati in tronco. Le interviste si preparano, non si improvvisano. Decidendo di rilasciarle si valuta che il beneficio superi il rischio. Perché la sfida della comunicazione, come tutte le sfide, è accompagnata anche da rischi. Il nostro ruolo è quello di ridurli attraverso la preparazione del cliente e non chiedendo al giornalista di poter "controllare" il lavoro da lui svolto.Ci sono delle eccezioni alla regola? Per quanto mi riguarda una sola. Quando l'intervista avviene in una lingua che non è l'italiano. In questo caso, e solo in questo, è etico e lecito chiedere al giornalista di poter prendere visione dei virgolettati attribuiti prima che questi vadano in stampa. Questo per sincerarsi che l'interpretazione data sia corretta. E solo in questo caso il giornalista dovrebbe acconsentire.Tuttavia al di là degli aspetti etici vi sono altre considerazioni. Se non rispettiamo il lavoro degli altri sarà sempre più difficile farci rispettare. Se siamo incapaci di dire no al cliente, giustificando in maniera professionale il nostro punto di vista, per il semplice timore di perderlo non cresceremo mai e non crescerà mai la cultura di comunicazione delle imprese. Ma, soprattutto, se non insegniamo a scuola e in agenzia le regole di base della professione continueremo a pagarne le conseguenze sia in termini di credibilità sia di budget.Per concludere, non posso che condividere la posizione espressa da Franco Carlini: la soluzione sta nella crescita della cultura. I professionisti delle relazioni pubbliche devono assumersi con coraggio le proprie responsabilità, senza cercare facili scappatoie. Se saremo in grado di farlo gli altri non potranno che adeguarsi.Patrick TrancuDirettore TT&A – Theodore Trancu & Associates
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