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Sostenibilità: i pubblici vanno “corteggiati”

23/04/2013

La CSR è la vera sfida del ventunesimo secolo. La sostenibilità interessa sviluppo e innovazione e sta diventando una caratteristica di competitività in molti settori, tra cu il lusso, ambito in cui, talvolta è difficile coinvolgere i propri stakeholder. La soluzione è che a veicolare il tema siano professionisti in grado di “corteggiare” i pubblici cui si rivolgono. Lo sostiene _Eleonora Rizzuto,_ responsabile CSR di _Bulgari._

di Luca Valpreda
Bulgari ha lanciato quest’anno un programma di formazione per giovani artigiani nell’ambito del distretto orafo di Valenza, dove operano 1.380 imprese, di cui il 63 per cento artigiane, con una media di 3,4 addetti ciascuna. L’iniziativa si articola in due corsi – uno per orafo progettista e l’altro per tecnico design – e coinvolge oltre cento giovani, con una presenza femminile superiore al 50 per cento. Il programma potrebbe essere replicato a Vicenza quest’autunno e si affianca alle molte iniziative di Bulgari nel campo della CSR. Per fare il punto su questi impegni e il loro significato, abbiamo incontrato Eleonora Rizzuto, responsabile CSR Bulgari e membro del CSR Manager Network.
Quali sono le attività CSR che lei segue direttamente?
Queste attività sono diverse e investono trasversalmente tutte le altre funzioni aziendali. Sono comuni a a realtà produttive per quanto riguarda le attività classiche: bilancio sociale, reportistica e training. Nel mio caso, in particolare, le attività di CSR sono più ampie e diversificate: ambiente, attività di welfare, supply chains per gioielli, accessori, profumi e orologi, due diligence, supervisione normativa europea e mondiale, comunicazione interna ed esterna, project management, audits a fornitori, certificazioni e, naturalmente, formazione.
Essere sinonimo di lusso nel mondo, crea qualche “intralcio” nella comunicazione delle attività legate alle iniziative sostenibili?
Il tema delle sostenibilità è in continua evoluzione. Fermo restando il suo carattere di azione volontaria che si esprime attraverso iniziative ad alto impatto etico e sociale, il concetto di CSR cambia nel tempo e per ciascun settore produttivo. Da sempre esiste una frontiera giuridica legata al rispetto delle norme e una frontiera etica che si pone nello spazio tra la norma e il comportamento individuale, inteso sia come il comportamento dell’impresa, sia come il comportamento delle singole persone che operano all’interno dell’impresa.
Nel lusso il concetto si complica un po’ quando va a intaccare interessi di stakeholders socialmente privilegiati, non sempre attratti dalle problematiche tipiche della CSR. Il mio mestiere consiste nel trovare, in questo ambito, possibili terreni dove possa venirsi a creare una convergenza di interessi e di sensibilità: lusso è infatti trovare il proprio prodotto, trovare quello che si adatta e si addice alla propria sfera personale (la ricerca del prodotto segue infatti criteri personali e diversificati). E’ un concetto che esprime qualcosa vicino alla mente e all’anima. Ma è anche un concetto vicino alla cultura di ognuno. Lusso può significare ottimizzare i propri tempi di vita e di lavoro, oppure respirare aria più pulita o vivere in un ambiente dove la natura è rispettata. Il lusso, secondo me, è un concetto che si evolve nel tempo e questi ultimi anno hanno visto cambiamenti di percezione marcati.
Prima di entrare nel gruppo LVMH, lei ha lavorato per Technip, una grande multinazionale nel campo energetico. A Parigi, lei ha creato la funzione di Diversity Management per questa società. Ci può parlare di quella sua esperienza?
Sono stata chiamata a Parigi dall’allora direttrice delle risorse umane del Gruppo per iniziare ex novo quello che poi ho declinato nella vera e propria CSR. Era il 2008 e il contesto aziendale era complesso e in totale evoluzione: era stato nominato un nuovo presidente e con lui era rinnovato gran parte del management. La funzione Diversity nacque in queste circostanze, non facili ma, nonostante tutto, fu possibile rompere con rapidità il ghiaccio su molti temi. Come una maggiore presenza femminile nel top management, una maggiore multiculturalità tra i membri dei team di progetto, il lancio del primo e-learning mondiale sulla Diversity rivolto ai 26.000 collaboratori sparsi nel mondo.
Nel suo curriculum, molto incuriosisce la sua esperienza come responsabile del personale alla Scuola Italiana a Teheran…
Questa esperienza è avvenuta un po’ per caso. Ero a Teheran per lavoro, come sempre con la mia famiglia, e le mie due figlie frequentavano la scuola elementare. La mia fu un’attività di volontariato, svolta in ausilio della direttrice della scuola italiana a Teheran, tra l’altro molto sensibile ai temi della CSR. Oltre agli aspetti tipici della organizzazione scolastica, lavorammo con le comunità locali, le comunità internazionali presenti sul territorio, gli orfanatrofi, le donne profughe afghane. Il momento storico era anche molto particolare: eravamo nel 2001, proprio alla vigilia degli attentati terroristici alle Torri Gemelle. L’esperienza svolta in Iran, oltre a essere stata umanamente molto importante, mi fornì lo spunto per dare avvio a una ricerca sul lavoro minorile. Questa ricerca, svolta presso il ministero del lavoro di Teheran e l’Università di giurisprudenza, è stata successivamente pubblicata in Italia.
Dal suo punto di osservazione, come vede gli sviluppi della comunicazione ambientale e sociale in Italia e in Europa?
Credo che la CSR sia la vera sfida del ventunesimo secolo. La sostenibilità interessa sviluppo e innovazione, sia per le imprese, sia per la pubblica amministrazione. Anche chi sembra distratto prima o poi ci si confronterà. La CSR sta diventando anche una caratteristica di competitività in molti settori, come nel settore dell’energia e nelle banche. Ma anche nel lusso.
La comunicazione ambientale e sociale ha il delicato compito di informare su questi temi, creando i presupposti culturali per il cambiamento. In Italia il mondo politico non ha ancora colto in pieno questa opportunità. In Europa, invece, le cose stanno cambiando già da tempo ed esempi importanti provengono dalla Francia, da alcuni paesi scandinavi e dalla Germania.
E’ vero. In Italia siamo indietro. La sostenibilità – nonostante la sua urgenza – non è un tema di grande presa sul pubblico e nemmeno sui media. Secondo lei, cosa occorrerebbe perché diventi un argomento di maggior interesse, un argomento più “sexy”, come direbbero gli americani?
Le rispondo con la metafora del corteggiamento. Non c’e momento più affascinante e sensuale delle fasi del corteggiamento. Si progettano strategie innovative, si dà il meglio di sé e si è capaci di insistere. Nonostante possano apparire agli inizi muri invalicabili, si riesce a convincere, a persuadere, a individuare argomenti comuni, a trovare l’urgenza e la necessità.
Ecco, la sostenibilità ha bisogno di essere veicolata da professionisti competenti ed entusiasti, ma anche capaci di corteggiare il proprio pubblico, qualunque sia. Con creatività e tenacia, che sono le doti del corteggiatore di successo.
Sul fronte delle idee, invece, i migliori successi si ottengono quando esse puntano a stravolgere prassi e processi consolidati e a proporre soluzioni innovative. Per citare un esempio, la proposta di un noto amministratore delegato del lusso di destinare l’1 per cento degli utili a progetti di solidarietà è un’idea che infrange le regole tradizionali del business.
Fonte: Amapola
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