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Tassa sulle bevande: una questione di comunicazione

26/04/2012

L'annuncio di una tassa sulle bevande analcoliche ha scatenato la reazione di aziende e consumatori che per la prima volta si sono trovate d'accordo. Una questione che ha avuto una grande eco mediatica anche per le ragioni che vi sono dietro: la lotta all'obesità. Ne abbiamo parlato con il presidente di Assobibe, _Aurelio Ceresoli._

Secondo un gruppo di ricercatori americani dell’Università della California negli Stati Uniti mettere una tassa sulle bibite gassate aiuterebbe a salvare circa 400mila malati cronici e ridurrebbe di più del 10% i consumi americani di queste bevande.
La pubblicazione di questa ricerca, accolta da pareri contrastanti in Italia, ha trovato d’accordo il Ministro della Sanità. Molto acceso sul web il dibattito anche sugli aspetti più squisitamente di comunicazione. L’introduzione della tassa anche in Italia, secondo il Ministero, consentirebbe di raccogliere 270 milioni di euro per il rinnovamento delle strutture tecnologiche sanitarie e per l’educazione alla salute, dall’altro mettere a segno un colpo a favore della lotta al problema dell’obesità, soprattutto quella infantile. “E’ giusto – si chiede Aurelio Ceresoli, presidente di Assobibe – che tutti i consumatori paghino per gli eccessi di pochi in ambito alimentare? Una domanda dalla risposta scontata ma che tale, purtroppo, non è".
Il dibattito ha assunto risvolti che vanno ben oltre l’aspetto socio-sanitario o fiscale e che impattano le policy di comunicazione delle aziende del settore.
“Sarebbe irresponsabile negare che l’obesità sia un problema grave, reale e in crescita che interessa, a diverso livello, tutti i Paesi europei, tuttavia è utile precisare che l’Italia è al penultimo posto tra i Paesi UE con una percentuale dell’11% tra gli adulti (16.5% la media UE; 25% il dato nel Regno Unito) – continua Ceresoli – ma è altresì vero che in letteratura non esistono evidenze scientifiche che attestino un nesso causale tra consumo di bevande analcoliche ed incremento dell’obesità. Vi sono Paesi, come il Belgio, che hanno un consumo pro capite di bevande analcoliche notevolmente superiore alla media europea (+ 30%) e mostrano tuttavia uno dei tassi di obesità più bassi d’Europa (-16% della media). D’altro canto, la Slovenia, presenta un tasso di obesità molto alto (+ 8% della media europea) in concomitanza con un consumo pro capite bevande analcoliche tra i più bassi di tutto il vecchio continente (- 49% della media). ( )
Nel nostro paese l’impatto calorico delle bevande analcoliche è pari allo 0,6% del fabbisogno giornaliero. Secondo gli ultimi dati forniti dall’INRAN il consumo giornaliero di bevande analcoliche in Italia è infatti pari a 29 g/die negli adulti e 28 g/die nei bambini dai 3 ai 10 anni, per un apporto calorico medio di 11 Kcal al giorno. Sensibilmente meno rispetto alle calorie derivanti dal consumo di altri alimenti nella stessa fascia d’età (97 Kcal da dolci e snack dolci, 80 da succhi, 76 da biscotti e 37 da cioccolato).
“La tassa sembra motivata dall’esigenza di cambiare le abitudini degli italiani in considerazione dei consumi. Desidero evidenziare che l’Italia è al terz’ultimo posto per consumi pro capite in UE di bevande analcoliche, il trend sui consumi in Italia è flat da 10 anni (49 litri nel 2001 vs 50 litri nel 2011). Queste evidenze, ci portano a sostenere che il problema non è stato considerato nella sua complessità: la responsabilità del sovrappeso va distribuita in modo omogeneo tra tutte le categorie di cibi che consumiamo quotidianamente in eccesso rispetto al nostro dispendio calorico, in continua diminuzione per la riduzione dell’attività fisica.”
La scelta, quindi, non è tra consumare o non consumare le bevande analcoliche , ma piuttosto quella di adottare nei loro confronti un atteggiamento di scelta responsabile, di consapevole equilibrio. In altre parole, non esistono cibi buoni o cattivi di per sé, ma comportamenti che possono diventare – in modo inconsapevole – dannosi per la salute. E qui sta la sfida per la comunicazione!
Inoltre, come sostenuto dall’OECD/OSCE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), è pressoché impossibile prevedere le reazioni dei consumatori all’introduzione di un’imposizione fiscale aggiuntiva. Paradossalmente, uno studio condotto nel 2011 dalla Northwestern University ha evidenziato come siano proprio le persone obese quelle meno sensibili alle variazioni al rialzo dei prezzi. La tassa andrebbe quindi ad incidere maggiormente sui consumi della popolazione non interessata dal problema in questione.
In un simile contesto, la tassazione aggiuntiva sulle bevande analcoliche potrebbe incidere negativamente, da un lato sul potere di acquisto dei consumatori e dall’altro sui livelli di produzione con ripercussioni serie sulle industrie direttamente interessate e lungo l’intera filiera. In particolare sul settore della distribuzione, costituita molto spesso da piccole e piccolissime imprese. Il comparto delle bevande analcoliche comprende infatti circa 25 mila addetti, 8 mila dei quali sono impiegati direttamente, mentre ben 17 mila sono occupati nell’indotto. Diversamente dalla opinione comune si tratta di aziende con stabilimenti in Italia che producono e commercializzano i loro prodotti nel nostro Paese.
“Siamo dell’opinione, invece, che interventi strutturali finalizzati ad una maggiore educazione alimentare e incentivanti l’attività fisica e il movimento siano di gran lunga più efficaci per contrastare il fenomeno obesità soprattutto presso le fasce d’età più giovani”, conclude il Presidente Assobibe. “Sotto questo profilo, la categoria che rappresento non si è mai tirata indietro: condividendo specifici impegni volontari – tra i quali la riduzione di zucchero – incrementando l’offerta di prodotti a ridotto contenuto calorico, rinunciando ai distributori automatici nelle scuole dell’obbligo, autodisciplinando la comunicazione commerciale rivolta ai bambini, promuovendo l’attività fisica e l’etichettatura nutrizionale”.
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