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TORINO 2006, laboratorio di progettazione interculturale

21/02/2006

Un contributo di Enzo Mario Napolitano di Etnica.biz

Le Olimpiadi invernali in corso a Torino stanno riscuotendo un generale consenso per l'indubbia capacità organizzativa dimostrata, nonostante le difficoltà finanziarie dovute al taglio dei finanziamenti statali e allo scarso entusiasmo degli sponsor internazionali.Una capacità organizzativa che si è espressa anche nella gestione del dialogo tra le tante fedi a cui appartengono gli atleti attraverso il Comitato Interfedi di Torino 2006, costituito nel 2003 sulla base dell'Host City Contract del CIO, ed in particolare all'Appendice D "IOC Olympic Villages Guidelines", che prevedeva la gestione e l'organizzazione di spazi dedicati alla meditazione e al culto.Non era la prima volta che ciò accadeva poiché già per le Winter Games of Salt Lake City 2002 era stato costituito prima un comitato denominato "Interfaith Round Table" a cui avevano contribuito cinquanta fedi religiose, che è tuttora in attività. 
Il Comitato Interfedi è composto da 8 membri, di cui 7 rappresentanti delle grandi religioni (n° 3 cristiani di cui 1 cattolico, 1 protestante ed 1 ortodosso 1 mussulmano, 1 buddista, 1 induista e 1 ebreo) ed un rappresentante del TOROC. Il Comitato è presieduto dal TOROC attraverso il suo Presidente. La composizione numerica dei componenti religiosi del Comitato è stata ottenuta considerando sia l'incidenza delle diverse fedi religiose sul territorio olimpico sia il peso relativo delle fedi professate dagli atleti e dai membri della famiglia olimpica che saranno presenti ai Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006. Il Comitato è presieduto da Valentino Castellani ed è composto da don Aldo Bertinetti (Arcidiocesi di Torino), dal pastore Giuseppe Platone (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia), da padre Lucian Rosu (Chiesa Ortodossa), dal rabbino capo Rav Alberto Moshe Somekh (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), dall'iman Mohamed Nour Dachan (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia), da Svamini Hamsananda Giri (Unione Induista Italiana) e da Rev Massimo Daido Strumia (Unione Buddista Italiana). Le attività attribuite al Comitato sono: assicurare un servizio di assistenza spirituale ad atleti e componenti della famiglia olimpica, collaborare alla definizione, durante la fase progettuale, dei criteri per la realizzazione degli allestimenti e degli spazi da adibire al culto ed alla meditazione e per promuovere la realizzazione di manifestazioni, convegni, eventi culturali volti a costruire rapporti di reciproca conoscenza tra le fedi, a favorire il dialogo tra di esse e a farne conoscere il patrimonio culturale e storico.
L'esperienza di questi tre anni è stata raccontata dai protagonisti in un agile volume scritto in italiano e inglese ed intitolato "Le Religioni e lo Sport Religions and Sports" (Effatà Editrice, Cantalupa, 2006) che raccoglie i loro contributi sull'esperienza del cammino percorso insieme, ma anche sulla relazione esistente tra lo sport e la religione di cui sono esponenti. È  interessante leggere Mohamed Nour Dacham, iman della moschea di Ancona e medico sportivo, che scrive "Sportivo lo ero sin da piccolo come sin da piccolo ero religioso, ed ho vissuto sempre le due realtà insieme. Crescendo, questi valori sono cresciuti con me".
L'attività più complessa svolta dal Comitato è stata quella di progettare gli spazi di culto e meditazione. Inizialmente i membri del Comitato avevo pensato a un'unica grande sala con differenti angoli ma tale soluzione è stata abbandonata per difficoltà gestionali.Il confronto e il dialogo hanno portato a individuare come i parametri di progettazione più rilevanti erano l'accesso agli spazi e l'arredamento degli stessi.Infatti, buddisti, islamici e induisti necessitavano di una sala vuota, orientata a sud e coperta di tappeti.Al contrario, cattolici, protestanti, ebrei e ortodossi richiedevano una sala orientata ad oriente, arredata con altare e sedie e a cui accedere con le calzature.Queste necessità hanno portato ad aggregare le religioni in due gruppi sulla base delle "modalità di fruizione" e a progettare, in luogo di un unico spazio che non avrebbe soddisfatto nessuno, due spazi differenziati in grado di dare risposta a tutte le religioni sulla base di un calendario stilato dal Comitato.Un'esperienza che indica come la progettazione interculturale (nel marketing, nella comunicazione o nel design) debba nascere dal confronto pragmatico e liberarsi dalla presunzione di mettere insieme tutto e tutti.Il Comitato può rappresentare il modello a cui le organizzazioni pubbliche o private, grandi o piccole, possono guardare per progettare prodotti, servizi, spazi, eventi rispettosi e utili per tutti.Un modello basato sulla creazione di un team multiculturale o multireligioso disponibile a confrontarsi su temi concreti, a ricercare la soluzione più efficace in quanto in grado di garantire a tutti una pari soddisfazione  e di porre le basi per un dialogo possibile.
di Enzo Mario NapolitanoEtnica, la scuola per l'economia interculturalewww.etnica.bizscuola@etnica.biz
 
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