Turismo e cultura: una questione di relazioni
20/07/2011
Tra i protagonisti dell’offerta culturale italiana e di quella turistica poche sinergie. Una debolezza di sistema che impedisce di sfruttare appieno le potenzialità di un mercato strategico per il nostro Paese. Lo sostiene _Francesca Albanese,_ intervenuta a Turistarth, il Festival del turismo culturale e delle nuove tecnologie di Urbino e del Montefeltro.
di Massimiliano Sarti
Turismo e cultura. Un binomio che in Italia dovrebbe essere sinonimo di grandi prospettive; di uno sviluppo, soprattutto, capace di riportare il nostro paese a quel ruolo di leadership dell’industria dei viaggi mondiale che la penisola deve tornare a ricoprire. Eppure non sempre i rapporti tra questi due importanti fattori di ricchezza e immagine sono stati ottimali. «Una questione di relazioni», ha raccontato Francesca Albanese, intervenendo a nome di Ferpi al convegno Turistarth di Urbino. «Tra i protagonisti dell’offerta culturale italiana e di quella turistica la sinergia è davvero scarsa. Le politiche e le gestioni dei due comparti sono per lo più separate e gli operatori dei due settori si guardano troppo frequentemente con reciproco sospetto: i professionisti del turismo considerando spesso gli operatori della cultura autoreferenziali
ed elitari, e questi ultimi, viceversa, reputando i protagonisti dell’industria dei viaggi poco sensibili nei confronti della cultura e preoccupati solo del business».
Una dicotomia non certo positiva che impedisce di sfruttare appieno le potenzialità di un segmento in realtà importantissimo per il nostro turismo. «I dati parlano molto chiaro», ha spiegato il docente di economia e gestione delle imprese dell’università di Urbino Carlo Bo, Tonino Pencarelli. «Nel 2009 le città d’interesse storico-artistico nazionali hanno raccolto il 17,9% delle presenze complessive dei viaggiatori italiani e il 33,4% di quelle internazionali. Si tratta di livelli del tutto paragonabili alle performance delle località marine; quindi del turismo balneare, da sempre considerato indiscusso segmento di punta dagli operatori dei viaggi e dell’ospitalità italiana». La questione allora è come collegare tra loro gli stakeholder di questi due comparti scarsamente comunicanti. Un problema di branding, secondo Pencarelli, da intendersi tuttavia soprattutto come una strategia multidimensionale e diffusa, capace di coinvolgere molteplici attori su livelli diversi, nonché fortemente legata alla dimensione territoriale dell’offerta.
La complessità della materia può essere sintetizzata da un’evidenza tanto intuitiva quanto peculiare di questo prodotto specifico: «Il valore di un brand turistico-culturale», ha infatti fatto notare Pencarelli, «si lega fortemente al capitale culturale del target a cui ci si rivolge, cioè al livello di educazione posseduto dagli stessi fruitori». È però altrettanto indubitabile che un marchio forte e conosciuto è in grado di generare non solo flussi finanziari incrementali, ma anche di attirare investitori non esclusivamente locali, rafforzando in questo modo il capitale sociale territoriale. «Le sfide manageriali per chi intenda andare in tale direzione sono molteplici», ha proseguito Pencarelli. «Occorrono, in particolare, degli approcci integrati alla materia, con un forte coinvolgimento sia del
pubblico sia del privato». Perché se è evidente che, in tema di beni culturali, non si possa prescindere dall’azione delle istituzioni, è altrettanto vero che gli operatori non possono nascondersi dietro al paravento del pubblico, «dimenticando il loro fondamentale ruolo in tema di commercializzazione di prodotti, servizi e pacchetti» legati alla stessa offerta culturale del territorio. Da qui anche l’importanza di «disciplinari pubblici, in grado di proteggere il valore del brand, nonché la necessità di andare oltre la semplice comunicazione pianificata, verso strategie promozionali di rete e non convenzionali, con un ruolo ovviamente crescente per il web e le tecnologie informatiche».
Quello che ci vuole, insomma, è una governance integrata del prodotto turistico culturale. Lo si è sentito dire spesso, in questi casi. Come fare allora? «La governance, in realtà», è stata la risposta di Albanese, «non è solo un problema politico, ma anche di professionalità adeguate. E i professionisti delle relazioni pubbliche sono, a mio parere, proprio quei costruttori di ponti, in grado di valorizzare il rapporto tra cultura, turismo e territorio, capace di generare la reale integrazione delle risorse e, soprattutto, l’interazione con il mercato. Perché il turismo ha bisogno della cultura quale attrattore di domanda con forti potenzialità destagionalizzanti, mentre la cultura ha bisogno del turismo per valorizzare siti eccellenti al di fuori dei circuiti più noti». E allora il punto d’incontro tra i due elementi non comunicanti è proprio il loro ruolo intrinsecamente relazionale: «La cultura», ha concluso Albanese, «intesa come scambio di valori, legame tra tradizione e innovazione, coinvolgimento emozionale; il turismo, come accoglienza, incontro di persone e confronto di culture sul territorio». Il tutto con un occhio di riguardo al web 2.0, quale ambiente relazionale innovativo, «dove il turista non può però essere considerato un semplice target, ma un interlocutore attento: una persona da ricondurre sempre all’esperienza diretta sul territorio, per farlo diventare, infine, il primo testimone della qualità dell’offerta turistica».
Tratto da Job in Tourism