Ferpi > News > USA vs Italia: storytelling a confronto

USA vs Italia: storytelling a confronto

02/02/2010

Perchè Obama perde la sua piattaforma narrativa mentre Berlusconi riesce a proteggerla? La riflessione di Toni Muzi Falconi su un aspetto rilevante della nostra professione alla luce di due articoli del New York Times. Il confronto con la realtà italiana.

di Toni Muzi Falconi
Due interessanti articoli usciti sul New York Times di domenica, che vi invito a leggere insieme: uno di Thomas Friedman e l’altro di Richard Stevenson.
Il primo da Davos, dedicato al crollo di fiducia verso la stabilità politica degli Stati Uniti da parte della nuova comunità economica mondiale. Il secondo che invece analizza la caduta verticale della piattaforma narrativa del Presidente Obama.
Leggendoli in sequenza, e per un del tutto ‘improbabile’ parallelo, sono indotto a riflettere sulla percezione del nostro Paese oltreconfine, e sulla capacità narrativa nazionale dei nostri due poli politici alla vigilia delle lezioni regionali.
1. Fino a qualche anno fa (sono sicuro succedeva anche a voi) alla classica e frequente domanda dei miei interlocutori internazionali ‘ma come mai è così instabile il vostro sistema politico?’ avevo buone ragioni e argomenti per spiegare che dal secondo dopoguerra il personale politico di Governo del nostro Paese è stato il più stabile fra i Paesi dell’Europa Occidentale. Naturalmente cambiavano di continuo le coalizioni, ma le persone, anche quelle in entrata e in uscita nei diversi giri di walzer, erano sempre le stesse. Nel bene e nel male, una sicurezza per i nostri partner in occidente, al di là delle apparenze. Per la verità oggi l’interesse e la curiosità per il nostro Paese è in grande diminuzione e si focalizza semmai su altri stereotipi vecchi e nuovi (politici satrapi, criminalità organizzata, razzismo…), ma se qualcuno mi facesse adesso la stessa domanda risponderei che mai come in questi ultimissimi anni i due schieramenti politici sono stati così ostili e aggressivi l’uno con l’altro, fino al punto da impedire qualsiasi cambiamento positivo.
Mutatis mutandis, naturalmente, questo fenomeno divisivo si è realizzato nell’ultimo anno anche negli Stati Uniti con la presidenza Obama. Questo lo sostengono sia Friedman che Stevenson, da prospettive culturali assai differenziate.
2. Stevenson suggerisce che la narrativa del Presidente ha perso smalto e attrazione perché, terminata la lunga volata elettorale, l’agenda si è molto complicata e le sue tematiche richiedono una narrazione che non riesce ad attirare l’attenzione dei cittadini. L’esempio della riforma della salute è chiarissimo: il dibattito dura intensamente da almeno un anno, e gli americani ci hanno capito poco o nulla e i repubblicani sono riusciti, di fatto, a bloccarla, almeno per ora e fino verosimilmente a dopo le elezioni di mid-term. Analogo discorso si potrebbe fare, da noi, per la discussione sulla riforma della giustizia. Chi ci capisce davvero qualcosa? Chi ha davvero ragione e chi ha torto?
L’unica certezza è che l’ostilità fra i nostri due poli è tale che le rispettive narrative appaiono manipolative, e tutto fanno salvo che accorciare i tempi di una decisione più o meno condivisa.
Certo, personalmente sono convinto che sia tutta causa delle vicende personali del Premier, ma so anche che molti non la pensano come me, oppure che ritengono che l’attuale stallo sia talmente insopportabile che convenga, per il futuro del paese, trovare una soluzione comunque. Che sia, come qualcuno ha pure suggerito, una soluzione di rimozione senza danni all’estero (?), oppure come molti pensano una sorta di amnistia ad personam (!).
Forse, sia in Usa che in Italia, i leader hanno perso la nozione della differenza sostanziale fra raccontare una issue complessa e complicare una issue complessa… Affermazione un po’ apodittica, acconsento… ma che se ci pensate bene, da esperti della comunicazione come siete, sono due cose assai diverse e ti fanno distinguere fra una narrazione efficace ed una deleteria.
Resta il fatto che, alla vigilia del rinnovo dei Consigli Regionali, che tanto peso hanno in questo Paese in tante delicate e importantissime questioni sociali, economiche e culturali, la narrazione dei due poli è bloccata.
Lo so che c’è chi prova sbloccarla, ma lo fa adoperando schemi narrativi vecchi, superati e che non tengono conto né del sistema comunicativo radicalmente cambiato solo dalle ultime politiche dell’anno scorso, né del sostanziale cambiamento di umori dei cittadini verso la politica che porterà verosimilmente le astensioni e il non voto ad essere il primo partito nel nostro Paese (per la verità credo che questo non lusinghiero traguardo sia già stato raggiunto alle ultime elezioni, europee sicuramente, ma non è una buona ragione perché i diversi schieramenti politici se ne freghino bellamente puntando soltanto sul convincere i propri ad andare a votare invece di riavvicinare i tanti all’urna…).
E’ vero, e va detto, che mentre Obama perde consensi avendo perso il filo della sua narrazione, mentre Berlusconi sembra non perderli… e questo potrebbe anche suggerire che la questione riguardi poco la qualità della narrazione e molto l’aspirazione degli elettori a modificare la propria situazione personale. E, da questo punto di vista, mentre gli americani che vorrebbero essere come Obama sono in proporzione almeno la metà di quelli che lo hanno votato un anno fa, gli italiani che vorrebbero essere come Berlusconi (ricco, potente, satrapo, caciarone…) sono molti di più di quelli che lo hanno votato un anno e mezzo fa.
Bisogna farsene una ragione e, come dice Bersani, lavorare per batterlo nel 2013? Può darsi, ma dove è la piattaforma narrativa che sappia argomentare questioni complesse (non complicate…) come la ripresa, il lavoro, la legalità?
Tenendo conto, ovviamente, che una cosa è, come chiede Obama, fare sacrifici personali per il bene comune e un’altra cosa, nella cultura del sé e dell’egoismo in cui siamo immersi, è varare condoni, promettere nuove tasse, attorniarsi di ragazze facili e raccontare barzellette.
Come sostiene Giorgio Bocca gli italiani sono davvero pessimi e vorrebbero tutti essere anche loro come lui. Ecco perché la sua narrativa (si può dire?) tiene e quella di Obama no.
Eventi