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Attenti al loop! (Un approfondimento sul concetto di conversazione)

21/10/2009

Luca De Biase propone una riflessione sulla differenza tra conversazione collaborativa e competitiva. E il ruolo che esse assumono in un non luogo come Internet.

di Luca De Biase


Conversazione collaborativa e competitiva


Abbiamo capito che la parola conversazione spiega molto di quello che avviene sui media sociali. Ma è tempo di elaborare una strategia per andare avanti con il ragionamento: la parola è precisa, ma non sufficiente a definire una strategia per le strutture che devono attraversare questa fase di grande trasformazione e ridefinire il loro ruolo. Sto pensando, ovviamente, a giornali, università, uffici marketing… In mancanza di una certa chiarezza possiamo entrare in un loop equivoco e pericoloso. Mi spiego.


E’ possibile definire come conversazione un talk show? Una conversazione è sempre collaborativa, oppure può essere competitiva? Ci sono tecniche per emergere in una conversazione competitiva?


In una conversazione collaborativa tra amici ci si ascolta e si cerca di informarsi, divertirsi, coltivare una relazione umana.


In una conversazione competitiva si cerca di far prevalere la propria idea su quella degli altri.


Se una conversazione collaborativa avviene online in un contesto adatto, si sviluppa un progetto condiviso e ci si avvicina a realizzarlo con le forze e le competenze di tutti i partecipanti.


Se una conversazione competitiva avviene in un talk show televisivo pensato per mettere a confronto diverse posizioni politiche, l’obiettivo è convincere i telespettatori di un’opinione o almeno impedire ai telespettatori di comprendere le ragioni della parte avversa.


Tra questi due estremi ci sono molte situazioni diverse. E molti equivoci. La prevalenza della nozione di conversazione non è sufficiente a definire un percorso che porti le persone verso un progetto condiviso, verso un avanzamento della conoscenza, o verso un vero confronto di fatti e teorie. La conversazione costruttiva, collaborativa, avviene solo nei contesti adatti. E allora la domanda diventa: Internet è sempre il contesto adatto a fare emergere una conversazione collaborativa?


Si può dire che è più probabile che una conversazione collaborativa che faccia contemporaneamente avanzare la conoscenza e la qualità delle relazioni sociali avvenga su Internet piuttosto che in televisione. Ma il fatto che avvenga su Internet non è sufficiente a definirla collaborativa. Se infatti si applicano anche su Internet le tecniche sviluppate per le conversazioni competitive in televisione, ci si parla sopra, non ci si ascolta, si tenta soltanto di far prevalere una posizione. E Arturo di Corinto, su Nòva (4 giugno 2009), ha dimostrato che i partiti italiani hanno pagato ragazzi durante la campagna elettorale per le europee proprio per fare quel lavoro online.


Insomma: la tecnologia internettara consente la conversazione collaborativa; e visto che tante persone ne sentivano tanto bisogno, in effetti su Internet è esplosa una vera, grande conversazione. Ma la tecnologia non impedisce la conversazione competitiva: e visto che le strutture che vivono di competizione e non di collaborazione se ne sono accorte, Internet è diventata anche il luogo dove ci si scanna come e più che altrove. (Non c’è solo la politica italiana, infatti, per la quale lo scannatoio principale è la tivù e i suoi annessi e connessi; ci sono i siti dell’odio vero, come quelli studiati da Antonio Roversi, docente di Strategie della comunicazione multimediale a Bologna, dall’integralismo islamico, al tifo calcistico, alle organizzazioni di estrema destra e alle forme eversive di ogni colore…).


Qual è dunque il tema? Dov’è che in prospettiva si svilupperà la conversazione collaborativa che tanto ci piace? Direi che questo avverrà in un contesto nel quale ci sarà maggiore consapevolezza non solo dello strumento che utilizziamo, ma anche delle dinamiche e delle regole che guidano la convivenza. Nelle sue diverse dimensioni: società, comunità; mercato, scambio; legge, etica.


Società e comunità


Gustavo Zagrebelsky, con i suoi libri e articoli su Repubblica, ci aiuta a distinguere tra le diverse dimensioni della convivenza, inducendo a riflettere sulla necessità di istituzioni forti che garantiscano che quella convivenza sia pacifica.


Qualunque semplificazione in materia è sempre difficile. E non mi ci voglio certo addentrare. Ma è chiaro che le regole sociali secondo le quali esistono contratti tra le persone, istituzioni cui rivolgersi, leggi accettate da tutti, sono un contesto nel quale molti aspetti potenzialmente violenti della convivenza si sciolgono in una microconflittualità non violenta. La legge non è uno strumento di collaborazione, ma eventualmente di consenso sui comportamenti che vanno bene a tutti. La collaborazione viene dalle logiche della comunità.


Se nella società tutto è regolato per contratto, per diritti e doveri, per carte e moduli, si collabora in base alla presunzione che non ci si può fidare dell’altro. La relazione competitiva è prevalente. Se nella comunità un accordo tra “gentiluomini” si firma con una stretta di mano, se l’onore e la fiducia sono gli strumenti principali in base ai quali ci si mette d’accordo, in questo contesto la relazione collaborativa è più probabile. Nelle dimensioni legalmente codificate valgono gli strumenti della relazione, mentre nelle relazioni di comunità vale il senso e lo scopo delle relazioni.


Un’ipertrofia della codificazione può finire col bloccare l’innovazione, nel senso che spinge a concentrare una quantità di sforzi sulla formalità e a diminuire l’attenzione intorno alla creazione di qualcosa di imprevisto. Un’innovazione, spesso, viene da un pensiero sviluppato da una comunità o da qualcuno che ha visto qualcosa che non era già stato burocraticamente previsto. E poi è chiaro che tutto ciò che è dovere, diritto, modulo, codice, è pesante: mentre tutto ciò che è relazione, creazione, amicizia, fiducia, è leggero e interessante. Noi viviamo nella nostra comunità, non nel codice.


Ma attenzione: il codice serve invece per tutto ciò che deve garantire l’equilibrio tra innovazione e continuità, evitando la prepotenza, l’inganno, la violenza. Perché una comunità non è necessariamente un luogo della parità tra le persone. Anzi: spesso sono proprio le leggi che riequilibrano le relazioni di prepotenza o di ingiustizia.


Se le relazioni che una popolazione vive sono prevalentemente di comunità (occhio che tra queste vanno necessariamente comprese le relazioni feudali, mafiose, oligarchiche…) ma mancano le leggi che impediscano l’inganno, la prepotenza e la violenza, la comunità prevale ma non la collaborazione.


Insomma: un contesto giusto e umano è un contesto nel quale le relazioni di comunità e quelle codificate sono in equilibrio.


Internet ha dato forza alla comunità e alle relazioni umane. Ma in un contesto di leggi forti produce più risultati collaborativi che in un contesto di leggi deboli.


In realtà, l’innovazione nei codici è proprio il lavoro della politica. E la politica, in democrazia, è competitiva. Ma se la competizione si mangia tutto il dibattito, si perde molta ricchezza intellettuale ed esperienziale, si costruisce meno sul progetto e più sulla contrapposizione.


Quindi quello che serve è che l’innovazione nei codici venga attuata nel contesto di un codice più importante – tipicamente la Costituzione – che garantisca un processo per cui prima c’è una conversazione collaborativa che rispetti tutte le posizioni e le esperienze e poi si passi alla competizione.


Il rischio di parlare solo di conversazione, senza distinguere le dinamiche diverse della conversazione, può portare a qualche confusione: se ne parla in termini di democrazia plebiscitaria, democrazia padronale, democrazia familiare o democrazia populista. E la conversazione può essere utilizzata anche da queste dinamiche in assenza di un contesto costituzionale solido, chiaro e condiviso.


Credo che queste siano intuizioni sulle quali dovrò fare ancora molta riflessione. Spero possano indurre a qualche contributo, paziente e “collaborativo”.


Tratto da http://blog.debiase.com/
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