Azionisti premiati se il cliente è soddisfatto
15/04/2010
Shareholders o stakeholders? A chi devono rivolgersi le attenzioni dei manager? Certamente non solo agli uni dimenticando gli altri ma con attenzione: l'unica cosa ad aumentare potrebbere essere il potere autoreferenziale dei manager stessi.
di Riccardo Sorrentino
Di chi prendersi cura? Degli shareholders, gli azionisti, di cui va massimizzato il guadagno? O degli stakeholders, coloro che sono interessati al bene dell’azienda, siano essi clienti, soci, dipendenti, fornitori e persino la comunità in cui l’impresa è attiva?
L’interrogativo torna al centro del dibattito, insieme al problema che incessantemente lo ripropone, quello del rapporto principal-agent: il nodo delle possibili – e a volte molto reali – patologie del comportamento dei manager, costantemente tentati di inseguire interessi personali con il denaro degli azionisti, o il lavoro degli impiegati, o le risorse della comunità. «L’aspetto negativo è che possiamo perdere molti soldi, quello positivo è che non sono nostri», spiegava in una vignetta del New Yorker, un dirigente d’azienda al suo team. La crisi ha del resto acceso i riflettori proprio sui ricchi compensi che molti manager americani hanno ricevuto subito dopo aver fatto fallire le loro aziende.
La soluzione sembra semplice: gli azionisti – spiega Michael Skapinker – sono meglio serviti dalle aziende che, con profitto, riescono «a vendere prodotti e servizi a una clientela soddisfatta e felice di ritornare a comperarli, e assumere personale sufficientemente motivato». Lo sconquasso finanziario dei mesi scorsi ha però messo in luce il peso degli incentivi distorti. Nel 2005 aveva richiamato l’attenzione su essi, nel settore finanziario, il capo economista del Fondo monetario internazionale, Raghuram Rajan, parlando al pubblico scettico e persino un po’ sbrigativo dei banchieri centrali. Ora il tema non è più un tabù ma non sempre si è consapevoli del fatto che questi incentivi sono definiti dagli stessi manager, molto capaci di “vendere” il loro prodotto.
Il rischio, ora, è quello di peggiorare le cose. Perché nel momento in cui si rinuncia a un obiettivo idealmente prioritario e di lungo periodo – come può essere, con tutti i suoi limiti, quello dell’ottimizzazione del valore dell’azionista – per sostituirlo con la confusa miscela degli interessi di tanti stakeholders, l’unica cosa ad aumentare potrebbe essere il potere autoreferenziale dei manager.
Tratto da Il Sole 24 Ore del 14 aprile 2010