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Cento marche regine degli spot

21/02/2006

Dal Sole 24 Ore di lunedì 20 febbraio, la classifica degli investitori pubblicitari nel 2005 e un articolo in cui, fra l'altro, si parla diffusamente della questione trasparenza dei risultati delle agenzie e si accenna anche alle vicende delle relazioni pubbliche e di Assorel, con una dichiarazione di Furio Garbagnati.

VISUALIZZA QUI la classifica dei big spenderDi Fabio Grattagliano e Paolo PozziDal Sole 24 Ore di lunedì 20 febbraio 2006, pag 16 
I primi cento investitori pubblicitari in Italia nel 2005 hanno coperto il 45% del totale della spesa in comunicazione sui vari media, dalla televisione alla stampa, dalle affissioni alla radio. Si tratta di 3,7 miliardi di euro su un totale di 8,3 miliardi. I primi tre posti della classifica sono occupati da tre aziende del largo consumo come Unilever, Ferrero e Procter & Gamble: da sole hanno speso in pubblicità lo scorso anno oltre 440 milioni. In pareggio il confronto tra i due big della telefonia mobile, Tim e Vodafone, entrambi a quota 125 milioni, mentre H3g raggiunge l'investimento messo in campo da Wind intorno ai 92 milioni di euro. Lo scontro per accaparrarsi il nuovo mercato degli ex-12, poi, fa lievitare l'investimento di Seat Pagine Gialle dai 10 milioni del 2004 agli oltre venti del 2005, così come il concorrente "Il numero" si attesta sulla stessa cifra. Complessivamente le aziende entrate in classifica dei primi 100 investitori e che non risultavano l'anno precedente, sono 14. Tra queste due gruppi editoriali (L'Espresso e la divisione periodici di Rcs, già presente in classifica con i libri e le grandi opere) e, da segnalare, il rientro della Parmalat che nell'esercizio 2005 è ritornata in pubblicità incrementando l'investimento di oltre il 50 per cento e superando i 15 milioni di euro.
Ma se i dati relativi alle imprese forniscono un quadro esaustivo e chiaro delle forze e dei numeri in campo, non può dirsi la stessa cosa del sistema delle imprese che si occupano di comunicazione (agenzie di pubblicità, centri media e agenzie di relazioni pubbliche) le cui associazioni di riferimento non forniscono ormai da diversi anni i dati sulle proprie associate. Tra gli ostacoli la divergenza degli operatori sul sistema di calcolo delle classifiche e la Sarbanes-Oxley Act approvata il 30 luglio 2002 negli Stati Uniti che impedirebbe alle divisioni italiane di multinazionali di divulgare informazioni su andamento del business e ricavi.
"Basta! È ora di finirla. Non ci si può più nascondere dietro un dito. Bisogna trovare un metodo comune di calcolo, bisogna mettersi d'accordo. E l'associazione di categoria preposta deve fare la sua parte": la presa di posizione è di Ernesto Pala, presidente e Ceo di ZenithOptimedia (Gruppo Publicis) nonché presidente della Consulta Media di Assocomunicazione.
Che il problema fosse sentito lo si era capito quando Aegis Media, che detiene il 100% delle quote delle centrali media Carat Italia e Vizeum, nella primavera del 2005 per bocca di Walter Hartsarich, presidente e Ceo di Aegis Media, decise di uscire allo scoperto da solo, facendo certificare il proprio billing da Nielsen Media Research rendendolo pubblico. "E la stessa cosa farò quest'anno anticipa Hartsarich Tra non molto convocheremo un'apposita conferenza stampa e daremo i risultati della nostra certificazione Nielsen relativa al 2005".
"Dirò di più  - si sbilancia ancora Hartsarich Uno dei parametri per valutare la correttezza e veridicità del billing è anche il numero dei dipendenti. Nessuno di noi è così folle da avere più dipendenti di quello che ci si può permettere". Che sia il billing o siano le revenues, il numero dei dipendenti o ricavi netti e fatturati, è certo che nel programma del neopresidente di Assocomunicazione, Armando Testa, c'è l'impegno alla trasparenza. Presto dovrebbe essere costituito, infatti, un Comitato tecnico che affronti la questione. Possibiliste le agenzie, tra le quali McCann (Gruppo Interpublic) il cui direttore generale, Willi Proto, è da tempo riconosciuto come uno dei promotori di iniziative rivolte alla trasparenza: "Il calcolo è sui ricavi netti. Ma bisogna fare attenzione alle partite di giro. All'estero è l'agenzia che compra gli spazi e fattura direttamente", precisa Proto.
"E' opportuno che i dati che verranno forniti, dopo l'approvazione dei bilanci, siano disaggregati non solo di gruppo. Solo così si potranno cogliere i valori dei vari settori, pubblicità, media e quant'altro", propone Marco Fanfani amministratore delegato di Tbwa Italia (Gruppo Omnicom). "Sono d'accordo con la trasparenza. Ma c'è anche da tener presente, però, che ormai il nostro lavoro è fatto anche di consulenze, eventi e altre attività. Bisogna trovare un parametro che tenga conto di tutte queste cose", aggiunge Pietro Dotti, presidente e amministratore delegato di JWT (agenzia pubblicitaria del gruppo Wpp).Qualcosa si sta muovendo anche in Assorel, l'associazione delle agenzie di pubbliche relazioni la cui classifica comprende oggi solo una ventina di operatori disponibili a fornire dati su 50 associati. "Stiamo vedendo di trovare una soluzione. E soprattutto di vedere, con i nostri avvocati, se un'associazione può dare i dati ufficiali delle singole aziende senza contrastare gli ordini di quelle filiali italiane che devono rispondere agli ordini delle loro multinazionali che invece lo vietano spiega Furio Garbagnati, presidente e Ceo di Weber Shandwick Italia (Gruppo Interpublic) nonché tesoriere di Assorel Certo è che i bilanci, in Italia, sono pubblici e hanno il compito di essere trasparenti verso terzi, verso gli investitori. Ma il problema è anche un altro. È vedere se le classifiche servono ancora oppure no. Perché non conta più di tanto, come una volta, la dimensione di un gruppo. Il mercato è cambiato. Ci sono aziende piccole che curano una nicchia molto precisa. Ciò non toglie che siano solide e molto professionali. Da parte mia credo sia giusto rendere pubblici i dati ma devono essere ben rappresentativi e far riferimento non solo alla mera lettura dei bilanci".
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