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Come il fundraising può cambiare la politica

27/06/2014

Gli effetti della recente legge sull’abolizione del finanziamento pubblico alla politica impongono ai partiti la creazione di un meccanismo di autofinanziamento diffuso, in cui la comunicazione e la fiducia assumono un ruolo fondamentale. La riflessione di _Marina Ripoli,_ autrice insieme a _Raffaele Picilli,_ del libro _Fundraising e Comunicazione per la Politica._

di Marina Ripoli
Non si fa in tempo a festeggiare la vittoria della “speranza” sulla “paura” che puntualmente tornano gli scandali della politica a minare la fiducia degli Italiani. Così, parlare di fundraising politico può sembrare fuori luogo, irrispettoso nei confronti dei cittadini delusi – e disillusi – alle prese con doveri e problemi quotidiani. Eppure è proprio questo il punto. Introdurre attività strutturate di raccolta fondi e mobilitazione dei volontari obbliga qualsiasi partito o movimento politico a scontrarsi con la sfiducia degli elettori verso la politica e le istituzioni.
Raccogliere fondi, coinvolgere, mobilitare non è però possibile se non si recupera credibilità agli occhi dei cittadini, e ciò non è cosa semplice, se non si agisce anche dal punto di vista della comunicazione incidendo sulla relazione tra governanti e governati, ricostruendo quel patto fiduciario oramai debole e svilito alla base della nostra democrazia.
Come sostengo nel libro Fundraising e Comunicazione per la Politica, di cui sono coautrice insieme al fundraiser Raffaele Picilli, la comunicazione politica può infatti rappresentare un elemento fondamentale di (ri)connessione tra cittadini e mondo politico, condizione che diventa necessaria soprattutto se si pensa agli effetti della legge sull’abolizione del finanziamento pubblico diretto in favore dei partiti (Legge 21 febbraio 2014, n. 13).
Come è già noto, la nuova legge non abolisce il finanziamento pubblico della politica, ma sostituisce i rimborsi elettorali – che saranno ridotti di anno in anno fino a sparire del tutto nel 2017 – con il due per mille e le donazioni fiscalmente incentivate. Si passa dunque da un finanziamento pubblico fornito a prescindere ad un finanziamento pubblico sottoposto alla volontà e alla scelta dei cittadini, un sistema che vede inoltre l’impossibilità per i privati e le società di donare più di 100 mila euro all’anno.
Questo cambiamento impone ai partiti la creazione di un meccanismo di autofinanziamento diffuso, attraverso il quale saranno le microdonazioni a contare e quindi i cittadini ad avere l’ultima parola. Le organizzazioni politiche saranno perciò spinte ad attivarsi per ricercare un rapporto, una “relazione” con i propri elettori, se non altro per ragioni economiche (sono infatti pesanti i contraccolpi sul mantenimento delle strutture partitiche).
Un sistema di microfinanziamento di questo tipo si costruisce quindi attraverso la pratica del “fundraising politico”, che non è pura e semplice raccolta fondi, ma l’insieme di quei princìpi e di quelle tecniche che hanno l’obiettivo di trasformare un donatore occasionale in un donatore regolare, ed un semplice elettore in un volontario attivo.
In questa chiave la comunicazione politica diventa un tassello fondamentale per il successo del fundraising, tra l’altro anche da un punto di vista strettamente operativo. Difatti parliamo di una vera e propria attività di comunicazione e relazione, e molte regole del fundraising politico coincidono con le buone pratiche della comunicazione politica.
Saper trasmettere bene e positivamente il messaggio, il programma, i valori e i tratti distintivi che differenziano il candidato/partito nel “mercato politico”, rendendolo facilmente identificabile dai propri elettori, è infatti funzionale alle operazioni di fundraising.
Riuscire a stimolare l’attenzione dei target di riferimento attraverso una narrazione, uno stile comunicativo chiaro, efficace, emotivo e razionale insieme, permette al candidato di entrare in relazione con l’elettore, e spinge all’azione il sostenitore (call to action).
Porre la massima cura e attenzione sulla coerenza delle proposte e sulla continuità di immagine del candidato/partito nel corso della campagna è fondamentale per convincere gli elettori della serietà del progetto politico e incoraggiare il voto così come la donazione.
È evidente dunque la sinergia e l’integrazione tra gli obiettivi della comunicazione e quelli della raccolta fondi, soprattutto se si comprende che il fundraising non ha solo obiettivi monetari.
Il coinvolgimento e la mobilitazione dei cittadini mediante il sistema delle donazioni crea meccanismi di attivismo preziosi. Il legame, il contratto che si stringe attraverso il sostegno di un candidato/partito, fa sentire l’elettore protagonista, un anello forte della catena che traina l’affermarsi del progetto politico. Perciò, l’elettore/donatore non va deluso, men che meno ingannato. La responsabilità che viene dal coinvolgimento nella raccolta fondi implica etica, serietà. Dopo la donazione, il processo comunicativo non si arresta, bensì è qui che inizia. La relazione creata con l’elettore/donatore va seguita, curata. Si comincia con un «grazie» e si prosegue con una informazione costante sui progressi della raccolta fondi, sull’evoluzione della campagna, su ciò che è stato possibile realizzare grazie al contributo volontario.
La comunicazione è quindi, lo ribadisco ancora una volta, la chiave di volta del fundraising. È la relazione il terreno comune sul quale si muovono entrambi, e l’obiettivo è la creazione e il consolidamento di un legame fiduciario con i cittadini/elettori.
È infine chiaro che i partiti dovranno impegnarsi per rappresentare una valida “opzione di investimento” nei confronti degli elettori. I politici dovranno infatti ricostruire la loro immagine, la loro reputazione, ristabilendo una corrispondenza tra le parole e i fatti, poiché i cittadini “investiranno” (tempo e denaro) in modo continuativo e periodico solo su coloro che fanno, o che almeno tentano di fare, ciò che promettono. Mentre “toglieranno i fondi” a chi dimostrerà di non essere limpido, coerente, accountable.
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