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Comunicare come media company: una sfida aziendale

29/06/2020

Serena Bianchini

Media company e brand journalism: due temi di grande attualità al centro del webinar organizzato lo scorso 18 giugno dalla Delegazione Ferpi Lazio a partire dal libro “L’Azienda Media Company” di Diomira Cennamo.

Media company e brand journalism: nel nuovo webinar altamente formativo firmato Ferpi Lazio definiamo oggi scopi e modalità delle aziende media company con l’importanza dell’impiego di professionalità specifiche nelle “redazioni” aziendali partendo da una riflessione di Diomira Cennamo, Consulente di Comunicazione e Brand Journalist, Autrice e curatrice del libro “L’Azienda Media Company”, edito da Hoepli - scritto insieme a Francesco Giorgino, Yari Bovalino, Paolo Fichera, Walter Galbiati, Piero Trupia, Carlo Alberto Pratesi, Marco Merola, Carlo Fornaro, Enrico Romagna Manoja, Flavia Trupia - che ha ispirato questo incontro.

Una tematica che interessa aziende che oltre ad erogare prodotti e servizi, ora necessitano di un rapporto, una relazione con la propria audience tramite un prodotto editoriale. Così il dibattito aperto da Giuseppe De Lucia, Delegato Ferpi Lazio.

Re-intermediazione che va oltre la disintermediazione, la pluri-informazione con visioni multiple sembra costringere le aziende a offrire informazione oltre a prodotti e servizi, chiede Diana Daneluz, Consigliere regionale Ferpi e moderatrice dell’evento a Francesco Giorgino, qui in veste di docente Luiss di Comunicazione e Content Marketing. Come siamo arrivati fin qui?

Ci troviamo sospesi tra un non più e un non ancora - chiosa Giorgino confidando che le best practices del content marketing aumenteranno nei prossimi mesi. Esistono fattori esogeni, riscontrabili all’esterno del mondo dell’impresa ed endogeni, maturati con convinzione all’interno dell’impresa. Tra i fattori esterni, indubbiamente la crisi del 2008 ha comportato diversi cambiamenti: prima si programmavano azioni solo concentrate sul valore dell’investimento in advertising poi, come fattore edogeno, è avvenuto il cambio dell’infrastruttura tecnologica. La studiosa José van Dijck parla di Platform Society ovvero viviamo in un modello socioculturale incentrato e condizionato dall’uso delle piattaforme social.

Siamo nell’era della reintermediazione del significato più che di disintermediazione e ne stiamo facendo esperienza, con un contenuto che si sottopone ad un processo plurimo di interpretazione e responsabilizza molto il fruitore.

Il pubblico non è più solo passivo come accade da decenni ma neanche solo attivo, è un co-creatore di contenuti. Prosumer/consumer, è un pubblico che non si limita alla fruizione di contenuti ma vuole determinarli, metterli a regime in una customer journey.

Come fattori endogeni si va dal marketing al societing, il marketing come spazio di pertinenza del sociale.

Ad esempio, vediamo leader politici si muovono come brand, inseguono strategie di content marketing, o ancora, brand commerciali che si muovono nella sfera pubblica come se fossero istituzioni politiche o sociali. Ecco perché le aziende avertono il bisogno di diventare editrici di sé stesse.

L'evoluzione di una azienda in media company è un processo complesso, ed è un processo culturale che coinvolge non solo le strutture organizzative, ma la stessa mentalità aziendale. Come lo hanno affrontato le imprese su cui ti sei soffermata con il tuo studio Diomira, soprattutto in Italia?

Per la Cennamo si tratta di un processo culturale che coinvolge in primis le strutture di comunicazione ma anche le altre strutture aziendali perché tutte possono diventare fonti e interlocutori tecnici. Pensiamo a come questo processo modifichi l’advertising: durante la pandemia gli spot sono cambiati ed hanno avuto come filo conduttore i fatti.

Nel libro L’azienda come media company viene descritto il processo in fasi: nella prima, le aziende si organizzano in campagne che hanno ricadute transmediali. Poi il brand esso stesso, come storia, viene veicolato. Poi arriva la newsroom: alcune aziende hanno un business editoriale vero e proprio.

Pirelli è il caso tipico di azienda media company italiana, avendo costruito negli anni un vero e proprio ecosistema editoriale informativo. A parte gli strumenti utilizzati per raggiungere pubblici diversificati, è corretto dire che la complessa macchina informativa costruita viene utilizzata da Pirelli a raccontare cosa è, il suo sostrato valoriale, più che quello che fa?

Come Pirelli abbiamo immediatamente voluto delineare una corporate news room, una content factory - Paolo Fichera, Digital Communication Gruppo Pirelli - una fabbrica di contenuto a servizio dei bisogni aziendali, delle persone, un collegamento con i social media ma anche con la comunicazione interna. Si producono contenuti per tutti gli stakeholder, in interno ed esterno in una logica multicanale. Pirelli è un’azienda che ha 150 anni di storia che già nel secondo dopoguerra aveva una rivista in edicola, indubbiamente già un ottimo esempio di brand journalism ante litteram.

Ma abbiamo percorso tanta altra strada: Pirelli produce pneumatici di altra gamma anche per Formula1, Rally, Superbyke, Luna Rossa, Sci, oltre ad essere presente nel mondo culturale con il famoso calendario Pirelli, con l’Hangar Bicocca e la Fondazione Pirelli in un constante impegno alla capitalizzazione dell’Heritage. Tantissimi asset da raccontare quindi, ma come fare? Bisogna partire dal racconto, dare una narrativa, ragionando sempre sul perché, - cita Simon Sinek con il suo libro Partire dal perché - al consumatore interessa quello che tu occupi come percorso valoriale.

Guida una forte identità di marca, lo sviluppo di un angolo narrativo che sia capace di portare all’esterno i tratti più distintivi della marca e dei suoi valori: questo è un punto di partenza necessario di una strategia editoriale seria che possa andare avanti nel tempo.

“Identificare i valori con i prodotti e i prodotti in storie.”

Con la pandemia, Pirelli ha cambiato drasticamente tutta la strategia editoriale messa precedentemente in campo. Un ridisegno complessivo su ciò che andavamo a dire ai nostri interlocutori e ci ha disciplinato la bussola della narrativa che, anche in grandi cambiamenti derivanti in situazioni di crisi, riesce a resistere senza frammentazione.

Quali competenze specifiche? Quali gli sbocchi lavorativi che l’azienda media company offre oggi?

Giorgino cita Brand Activism: From Purpose to Action, libro di Philip Kotler. Egli parla di post consumismo non incentrato sul pilastro del bisogno da soddisfare sempre e comunque, ma targettizzato come produzione di senso: consumo come produzione di senso, di significato. A tutto questo non ci saremmo arrivati se non ci fosse stata l’evoluzione del marketing nei suoi fattori esogeni ed endogeni. Ormai siamo in presenza di un marketing che supera la centralità del prodotto e va alla ricerca di una forma di conversazione stabile tra il brand e il consumatore. E lo fa grazie ad una strategia di inbound marketing piuttosto che di un outbound marketing.

L’attrazione ha bisogno di una conversazione a tutto tondo che comprende la dimensione cognitiva ed emozionale del consumatore. Il modello prevalente è quello del content marketing. I contenuti diventano la lega per andare ad implementare il valore percepito di un’azienda.

Fare marketing con i contenuti significa scegliere i contenuti, saperli produrre in una logica compatibile con le strategie aziendali - non occasionale - in modo stabile. Scegliere contenuti autentici non posso prescindere dalla realtà. Guardiamo al Newsjacking, ovvero prendere spunto dalla realtà per essere connessi in un equilibrio che si stabilisce tra l’ambiente reale e quello simbolico che è lo specifico della comunicazione: siamo all’interno di un universo simbolico e culturale e ne consegue la necessità dei content creator, con logica di continuità.

Selezione, gerarchizzazione - scelte in ordine di trattamento - e decontestualizzazione con successiva ricontestualizzazione all’interno di frame cognitivi che ciascuna “testata” deve avere.

Importante avere competenze tematiche, tecniche di governo delle piattaforme, competenze relazionali (conoscenza dei pubblici) e competenze deontologiche che si sposano in pieno nel generare contenuti autentici – approfondisce Giorgino -, questo il valore che la comunicazione a fine di marketing ha, è una leva strategica che può fare la differenza nelle imprese.

La riforma della comunicazione pubblica, visto che stiamo parlando davanti Ferpi Lazio, ci chiarifica su quanto sia imprescindibile la logica tra comunicazione - marketing - informazione. Dieci anni fa non le avremmo mai accostate, ora fanno parte di un unicum perché facenti parte di un’unica strategia. Oggi ciò che conta è la percezione che gli altri hanno della presentazione che produciamo.

Continua Paolo Fichera: tre anni fa si diceva che la comunicazione sarebbe stata inghiottita dal marketing, oggi la comunicazione si sta rivalutando, i contenuti sono monetizzabili per scegliere strategie. Ci sono i contatti mail e CRM al centro del marketing contemporaneo e non esistono risultati se non ci sono contenuti. Anche le landing page di natura più commerciale (shopping windows, etc) funziona grazie al contenuto, il vero minimo comun denominatore.

Come si riesce ad unificare l’esperienza del fruitore?

Nell’autorevolezza e nella passione, risponde Fichera: le aziende non possono raccontare ciò che vogliono, un’azienda deve avere chiaro le proprie competenze e lavorare su di esse per diventare rilevante e ciò è premiato dagli algoritmi di google, instagram, facebook. Se si lavora solo sul real marketing bisogna far attenzione perché non si arriva facilmente ai propri pubblici. Per essere una media company il primo step è: posizionamento editoriale, un patto con il follower. Bisogna chiarire che tipo di publisher vogliamo essere.  E nel team? Integrare diverse Digital properties per lavorare sul brand awareness scegliendo temi e piattaforme in base agli obiettivi aziendali. Importante la specializzazione del canale per avere degli stream chiari con i pubblici al fine di generare una distribuzione omogenea con un’esperienza transcanale.

Tanti riferimenti per un - non nuovo - mestiere fatto di concretezza e grandi risultati.

L'azienda media company. Storytelling, Brand Journalism E Organizzazione

Diomira Cennamo, Socio Ferpi, Giornalista esperta di comunicazione e marketing digitale, da oltre dieci anni segue progetti editoriali digitali e di social media management per organizzazioni come Telecom Italia, Eni, ANSA, per enti della Pubblica Amministrazione e per ONG come AIRC. È direttore scientifico e co-fondatore di Brand Reporter Lab e responsabile Digital Media Strategy della società di consulenza in comunicazione strategica Brand Reporter Consulting. Per Hoepli ha curato l'edizione italiana di Gestire la reputazione online For Dummies (2013) e pubblicato con Carlo Fornaro, Professione brand reporter. Brand journalism e nuovo storytelling nell'era digitale (2017).

 

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