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Comunicatori e avvocati: una collaborazione possibile

03/10/2012

Eloquenza, approfondita conoscenza della giurisprudenza ed esperienza sono caratteristiche fondamentali per un buon avvocato ma il possederle non significa essere un buon comunicatore. Quali le sinergie possibili tra Rp e ambito legale su progetti complessi? Quali i vantaggi reciproci? La riflessione di _Paolo Bruschi._

di Paolo Bruschi
Quando ho iniziato la mia avventura professionale nel mondo delle relazioni pubbliche pensavo che facendo tutto in regola non avrei mai avuto bisogno di un avvocato e che il giorno in cui ne avessi dovuto chiamare uno avrebbe significato che qualcosa era andato storto e che era forse il caso che i miei famigliari si preparassero all’idea di una mia lunga assenza a spese dello stato. Ancora non sapevo che uno studio legale non è soltanto una risorsa di estrema difesa, ma può essere uno strumento utile e operativo in grado di dare propulsione a un’attività: qualcuno a cui rivolgersi quando le cose vanno bene per farle andare meglio, non soltanto quando si è con l’acqua alla gola.
Insomma mi sbagliavo e l’ho capito molto presto. Il mio avvocato, invece, ancora non si fa una ragione della verità dell’assunto opposto, ovvero che anche uno studio legale non può che trarre profitto da una costante e approfondita collaborazione con professionisti della comunicazione. Non sto parlando di fare pubblicità al proprio studio. Come per chiunque altra professione, va da sé l’utilità di promuovere la propria attività. No, in questo caso mi riferisco alla sinergia che può svilupparsi quando le rispettive competenze vengano messe in rete, sommandosi e amplificandosi per il massimo profitto del cliente.
In Italia questa consapevolezza è fino ad ora mancata, con brutti esempi di presunti furbi che preferiscono fare tutto da sé, pensando che basti un po’ di buon senso per destreggiarsi in un ambiente che non è il loro. Così ho visto principi del foro sbranati come agnellini sacrificali dall’assessore all’ambiente di un comune montano di duemila abitanti, ho visto lampanti vittorie in tribunale trasformate in sconfitte pubbliche senza appello dal trattamento riservato dai media, ma ho anche visto situazioni disperate divenire trionfali successi grazie alla cooperazione tra i miei collaboratori e qualche studio legale particolarmente lungimirante.
Le cose, insomma, stanno un po’ cambiando. In particolare grazie all’esempio di clienti internazionali, che già da molti anni hanno capito che vincere in tribunale talvolta non basta. Anche se vinci, ad esempio, ma l’opinione pubblica ti sbrana il cliente, alla fine dei conti certe volte hai perso lo stesso, in particolare quando parte in causa sono i decisori pubblici, inevitabilmente sensibili tanto alla giustizia formale, quanto alla percezione di giustizia da parte dei cittadini.
Penso al prestigioso studio legale cui una società estera aveva affidato la propria rappresentanza in Italia al fine di avviare importanti attività produttive in varie aree del paese. Questo team di eccellenti avvocati aveva inizialmente provato a occuparsi personalmente di ogni aspetto, dalle forme giuridiche alle relazioni istituzionali, dall’ottenimento dei permessi alle media relations, ritrovandosi in balia di un carosello di esigenze, obiettivi, linguaggi e referenti completamente diversi, che invece loro affrontavano nello stesso modo: da avvocati. Invece ogni attività, ogni target ha bisogno di accorgimenti specifici, come un chiodo ha bisogno di un martello e una vite di un cacciavite. La complementarità delle competenze è un principio cruciale, che saggiamente i nostri interlocutori hanno riconosciuto dopo essersi imbattuti in drammatiche difficoltà iniziali. Nei momenti cruciali, un team multidisciplinare univa le proprie competenze per decidere, ad esempio, se e come appellarsi a una decisione contraria al progetto. Di ritorno dalla vittoria in appello, i miei collaboratori discutevano tra loro su quale minima frazione del merito potessero assegnare al proprio contributo. Senza alcuna modestia, la mia risposta fu il 100%. Come il 100% avevano avuto gli avvocati, gli ingegneri, il cliente. Semplicemente, l’uno non avrebbe potuto esistere senza l’altro.
Un altro grande studio legale alle prese con un’altra multinazionale intenzionata ad avviare un’attività in una località rurale italiana ci chiamò invece per una difficoltà che stava incontrando nel delicato equilibrio delle relazioni pubbliche. Detto in due parole: avvocati di grido e abitanti e autorità locali appartenevano a due mondi troppo diversi per potersi rapportare tra loro. Ora, per le grandi aziende internazionali è normale e talvolta necessario rivolgersi al proprio equivalente nel mondo legale, appoggiandosi a grandi studi, law firms con sedi in quattro continenti; società abituate a questo genere di clienti dal punto di vista linguistico, operativo, umano; gente che ha la stessa forma mentis, le stesse procedure, certe volte ha persino studiato negli stessi college americani. Ma questo vantaggio nella comunicazione tra cliente e avvocato può rivelarsi talvolta uno svantaggio nel rapporto con chi si oppone a un progetto, sia essa la magistratura, la politica, i cittadini. È come se un criminale ignorante da quattro soldi scegliesse come proprio avvocato un suo pari, perché lo capisce meglio, piuttosto che un distinto avvocato in grado di comunicare prima di tutto con la giuria che dovrà giudicarlo.
Il nostro collaudato modello territoriale di creazione del consenso, in questo caso, costituiva la base ideale da cui partire. L’approfondita mappatura, inquadratura e decodifica di stakeholder e territorio – che non è fatto soltanto di norme e regolamenti, oppure di rilievi geologici, ma soprattutto di storie, abitudini, persone, interessi – è una pratica fondamentale per impostare qualunque trattativa e non è cosa che si impari su un manuale di diritto privato. Il più bravo avvocato del mondo, in un ambiente che non conosce, rischia di fare la fine di quei sofisti greci che vennero presi a sassate al termine di una eccezionale performance dialettica nell’antica Roma, per non aver considerato il fatto che la pragmatica sensibilità della capitale dell’impero fosse ben diversa da quella ellenica.
Non in tutte le situazioni la divisione tra i compiti sarà altrettanto manichea ed esisteranno migliaia di situazioni intermedie, nelle quali le differenti competenze si andranno a integrare in modo meno evidente, ma altrettanto efficace.
So perfettamente quale sarà allora la vostra domanda: se è proprio così, perché non cambi avvocato? Desistete pure dalla caccia al cliente: è un testone, ma è un amico. E sa fare il suo mestiere. E per quanto riguarda il resto, conosco una società di comunicazione e relazioni pubbliche…
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