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Da Montecitorio a Capitol Hill: l’education del legislatore fra incontri congressuali e audizioni

#ConversazioneTransatlantiche

14/11/2023

Francesca Aurora Sacchi

Prende il via #ConversazioneTransatlantiche, la nuova rubrica di FERPI per raccontare il mondo del lobbying negli Stati Uniti, visto con gli occhi di una professionista italiana a cura di Francesca Aurora Sacchi.

Dopo anni passati fra i corridoi di Montecitorio e Senato, entrare al Congresso Americano per effettuare incontri istituzionali fa un certo effetto, specialmente perché emergono in modo nitido le differenze e le similitudini tra le dinamiche di lobbying dei due paesi.

Già dall'arrivo a Capitol Hill, le somiglianze con il Parlamento italiano non sfuggono: politici che cercano un'analisi chiara e diretta dei problemi (ormai privilegiando un approccio data driven), giovani collaboratori affamati di conoscenza, e incontri che si svolgono ovunque vi sia uno spazio disponibile. In entrambi i casi, l'obiettivo è la comprensione delle sfide e delle opportunità, con tematiche che variano dalla sicurezza economica allo sviluppo tecnologico.

Tuttavia, le differenze fra i due sistemi sono altrettanto sorprendenti. In Italia, il tessuto politico è noto per la sua complessità, con una proliferazione di partiti e interessi che fanno a gara per affermare la propria voce. Le lobby italiane, sebbene in crescita, operano spesso con una discrezione maggiore rispetto alle controparti statunitensi, principalmente a causa della mancanza di una regolamentazione definita, che incide sulla legittimazione stessa di alcune attività portate avanti da chi rappresenta specifici interessi. Nel nostro paese, il networking e le relazioni personali giocano un ruolo centrale, e i giovani lobbisti imparano velocemente l'importanza di conoscere le persone giuste e di consolidare fin da subito le proprie relazioni. È un ambiente in cui l’accesso alle istituzioni può essere ancora difficoltoso per i neofiti, che, pur armati di un dossier preciso e ben studiato, potrebbero avere problemi anche solo a reperire il contatto di una persona disposta ad ascoltarli.

Negli Stati Uniti, il lobbying è sottoposto a rigorose regolamentazioni e richiede la registrazione presso il Congresso, garantendo così trasparenza e responsabilità. Inoltre, il lobbying è protetto dal Primo Emendamento che garantisce la libertà di espressione e il diritto dei cittadini di "inoltrare petizioni al Governo per la riparazione di torti subiti". La Corte Suprema, già nel caso "United States v. Harriss", del 1954, aveva infatti stabilito che questa nozione di "riparazione dei torti subiti" comprendeva anche il diritto dei cittadini di influenzare il processo legislativo, consentendo loro di rivolgersi al Governo per cercare di persuadere il legislatore a prendere decisioni specifiche. Questo amplio concetto di libertà di espressione promuove da secoli un coinvolgimento attivo dei cittadini e delle aziende nel processo politico e legislativo degli Stati Uniti.

Molte aziende si dotano quindi direttamente di una semplice app sul cellulare, che fornisce ai propri lobbisti informazioni dettagliate sui rappresentanti e senatori da incontrare, facilitando la gestione degli incontri e il flusso di appuntamenti. Inoltre, negli uffici dei representatives (membri della Camera dei Rappresentanti, o Camera bassa) o senators (membri del Senato, o Camera alta), vengono forniti immediatamente, a chiunque ne faccia richiesta (anche semplici cittadini), i nominativi dei collaboratori parlamentari, con ruoli e recapiti.

Un altro aspetto che colpisce è l'approccio agli incontri. I lobbisti sono considerati degli esperti di policy e sono spesso ricercati dalla politica stessa che valorizza profondamente la loro figura e opinione. In un solo giorno, a Capitol Hill è possibile concludere anche una decina di meeting. L'approccio è caratterizzato da una notevole umiltà da parte dei politici, pronti a riconoscere il bisogno di ottenere ulteriori informazioni e di porre numerose domande. Qui, questo processo viene definito come attività di “education” diretta verso il policy maker, e si sviluppa nell’attento ascolto da parte del decisore della testimonianza di esperti del settore al fine di acquisire una conoscenza maggiore della materia e di legiferare con più consapevolezza. Il lobbying negli Stati Uniti valorizza le competenze professionali: nessun politico tenterà di fingersi un esperto di un campo in cui non ha esperienza, ma accoglierà sempre volentieri chi avrà un dossier ben preparato e basato sull’analisi di dati. È prima di tutto una questione culturale, che accetta, e anzi rispetta, il fatto che il decisore politico non possa essere omnisciente e lo richiama, invece, a uno dei suoi principali doveri: quella di ascoltare e farsi portavoce di istanze altrui.

Tuttavia, sarebbe errato pensare che quindi qui il lavoro del lobbista non richieda, oltre alla conoscenza tecnica del settore di lavoro, anche ottime doti di comunicazione. Il sistema politico statunitense, noto per oscillare tra posizioni estreme, può infatti generare confronti accesi, e alcuni incontri possono così occasionalmente sfociare in appassionate discussioni.

Un esempio di questa dinamica è rappresentato anche dalle audizioni delle aziende davanti al Congresso, che rappresentano un ulteriore mezzo fondamentale per il coinvolgimento delle imprese nel processo politico. Queste audizioni comportano un'interazione diretta tra i politici e i rappresentanti delle aziende, con uno spazio apposito dedicato a domande e risposte con cui i politici sono liberi di interrogare direttamente i CEO di multinazionali. O, come si dice ormai in gergo, l’opportunità per i lawmarkers di “grigliare i CEO”. Chi, infatti, non ricorderà l’audizione di Shou Zi Chew, CEO di Tik Tok, durata ben 5 ore, in cui il CEO è stato costantemente incalzato, anche ferocemente, sulla possibilità che l’azienda condividesse i dati dei propri utenti con il governo cinese?

Tale pratica ha comunque un duplice effetto positivo sulla democrazia americana: da una parte, arricchisce il processo democratico, permettendo alle aziende di rappresentare al meglio le proprie posizioni alle istituzioni; dall’altra, obbliga le aziende a essere accountable dei propri processi e delle proprie scelte, e a spiegarle non solo alla classe politica, ma anche ai cittadini americani. Le audizioni sono infatti trasmesse in diretta per essere fruibili a tutti e non è raro, comunque, leggere sulle news i passaggi principali di queste, le domande più spinose, e, perché no, anche gli impegni che politici o CEO possono aver accettato di assumersi perchè messi alle strette durante la discussione. La politica americana è un vero e proprio palcoscenico, e le aziende devono imparare a gestire dibattiti pubblici al pari di leader di partito. Il lobbista è quindi una parte fondamentale del team che lavorerà alla strategia comunicativa in preparazione a questi importanti eventi.

Tuttavia, è cruciale notare che il lobbying è un campo in evoluzione in entrambi i Paesi. La nuova generazione di lobbisti sta infatti cercando di introdurre nuove prospettive e pratiche, nella direzione della responsabilità ed etica, in termini di trasparenza, monitoraggio, e finanziamento. Mentre l’Italia si troverà quindi nella situazione di dover regolamentare la professione del lobbista e le situazioni di conflitto di interesse, è verosimile che gli Stati Uniti dovranno invece concentrarsi, nel prossimo futuro, sui meccanismi di finanziamento delle campagne elettorali e su come garantire il rispetto del principio democratico di uguaglianza nell'influenza politica. In questo scenario, il lobbying è in ogni caso un crocevia di influenze, trasparenza e innovazione, in grado di plasmare il futuro dei processi decisionali politici sia in Italia che negli Stati Uniti.

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