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Dialogo sì, provocazioni anche no

#MercatoLavoro

23/12/2020

Redazione

ReteCoM, la Rete delle associazioni per la Comunicazione e il Management cui aderiscono, oltre FERPI, CIDA, ConfAssociazioni, ASCAI, Com&Tec, IAA e UNA, risponde a FNSI, Federazione Nazionale Stampa Italiana, in merito all'allargamento della base contributiva dell'INPGI con l'ingresso dei comunicatori. La nota della rete qio riportata integralmente.

Da più di un anno le associazioni della Comunicazione stanno cercando un confronto costruttivo con gli enti di governo del giornalismo per discutere del cosiddetto salvataggio INPGI. L’interlocuzione è complessa, ma mai avremmo pensato che si arrivasse alla provocazione. Alle dichiarazioni ad AdgInforma della Federazione nazionale della stampa, la risposta di ReteCoM. Non un semplice “diritto di replica”, ma l’ennesimo tentativo di descrivere il mercato, le professionalità e i soggetti coinvolti. Per fare chiarezza ed entrare nel merito delle questioni, non per tentare di mantenere rendite di posizione. Si ringrazia AdgInforma per aver prontamente dato spazio alla nota di ReteCoM, che riportiamo integralmente di seguito.

Se è vero che il giornalismo è lo strumento nobile della corretta e libera informazione, qualcosa non funziona. Abbiamo letto su AdgInforma, testata autorevole nel mondo della Comunicazione e dell’informazione un articolo che ci obbliga a fare una serie di precisazioni.

Primo: ReteCoM è la Rete delle associazioni per la Comunicazione e il Management cui aderiscono due Confederazioni CIDA e CONFASSOCIAZIONI, e cinque associazioni FERPI, UNA, ASCAI, COM&TEC, IAA, ovvero sette organizzazioni che rappresentano e offrono lavoro a oltre 300mila professionisti e dipendenti di PMI e di medie e grandi aziende, oltre a funzionari e dirigenti della PA. Un segmento di mercato importante al quale si sommano, in termini di condivisione e rappresentanza, i 150mila manager di CIDA, il milione e 200 mila professionisti e imprese di CONFASSOCIAZIONI, gli oltre 40mila associati di ASCAI, COM&TEC, FERPI, IAA e UNA.
Ciò dimostra un’evidente quanto spiacevole realtà: una parte del mondo del giornalismo che ritiene di risolvere il disavanzo finanziario dell’INPGI 1 con la “deportazione contributiva” dei comunicatori, non solo non conosce il mondo e le professioni della Comunicazione, ma non ha mai avuto la “curiosità” di conoscere le associazioni che rappresentano quel mondo e di condividere con i diretti interessati il “salvataggio” dell’Istituto privato.
Ma c’è di più: per parlare del futuro delle professioni, bisogno conoscerle. Quella del comunicatore non è una professione come quella del giornalista, molto ben definitiva e regolata. È una professione in divenire a valenza manageriale. Non a caso non esiste un contratto “dedicato”. Non a caso si sottolinea quanto sia improbabile individuare quel manager d’impresa che svolge la mansione del comunicatore ma che proprio per la sua valenza manageriale può essere destinato ad altra area. È vero: un direttore/funzionario marketing può diventare un direttore/funzionario Comunicazione o anche un direttore/funzionario Area Pubblicità o direttore generale. È vero che la digitalizzazione ha cancellato molti confini tra queste professioni, ma dobbiamo puntare ad aumentare il livello delle competenze, a riconoscerne il valore e non a costringere questi lavoratori in ambiti previdenziali che possono diventare percorsi ad ostacoli. Nessuno vuole rischiare di avere pezzi di contribuzione sparsi in diverse gestioni pubbliche o private, figuriamoci se queste sono al collasso.

E quindi passiamo al secondo punto.
Le nuove professioni che riguardano la produzione dei contenuti vanno distinte per obiettivi di scopo. In questa fase di grande confusione in cui si grida al salvataggio dell’INPGI con appelli alla libertà di stampa, si dimentica che gli uffici stampa aziendali – e quindi Comunicazione corporate – comprendono attività e strumenti per costruire relazioni tra imprese e stakeholder. E tra gli stakeholder principali di quei professionisti ci sono i giornalisti. Due professioni a confronto che incrociano le proprie attività, ma due professioni completamente diverse.

Terzo: la “deportazione contributiva” dei comunicatori pubblici dall’INPS all’INPGI sarebbe un ulteriore danno all’erario e soprattutto non salverebbe i conti nemmeno per sei mesi, considerando le perdite annue che registra la cassa principale dell’istituto di previdenza privata dei giornalisti. Lo ha detto anche il ministro Dadone: 50milioni dei contributi dei comunicatori pubblici sono insufficienti per risolvere i conti in rosso dell’INPGI.

Quarto: ci domandiamo se è costituzionale intervenire sui comunicatori pubblici. La FNSI sempre in quell’articolo, afferma che “c’è comunque la possibilità di intervenire senza passare attraverso il rinnovo contrattuale e (riferendosi ad una dichiarazione a quella testata di Rita Palumbo, coordinatore di ReteCoM e segretario generale di FERPI) dice una cosa che trascura il fatto che ad esempio Cisl e Uil, Cgil è minoritaria in quel settore, sarebbero favorevoli a farlo”. Sarebbe utile, se non necessario, ascoltare tutte le Parti Sociali impegnate nei contratti collettivi di lavoro, perché non è possibile non coinvolgere i sindacati.

Infine alcune informazioni doverose.

FERPI è una storica associazione che ha compiuto 50 anni quest’anno e che ha contribuito a costruire la reputazione e la valorizzazione delle professioni del Relatore Pubblico e del Comunicatore, in Italia e all’estero. I suoi soci, che sono un migliaio su tutto il territorio nazionale, rappresentano l’intero comparto della Comunicazione perché sono dirigenti e dipendenti di aziende private e PA, amministratori d’agenzia, liberi professionisti e docenti universitari.
Il suo Segretario Generale, Rita Palumbo, chiamato in causa da Besana, è stata una giornalista per metà della sua vita professionale dedicandosi per l’altra metà al mondo della Comunicazione. Anche se non si capisce a che scopo possa essere utile quest’informazione, la sua pensione è in quota parte in carico all’INPGI. Ciò nonostante, è in prima linea per impedire un’inutile “deportazione contributiva” ed ha dato vita a ReteCoM per costruire un percorso con i maggiori protagonisti del mondo della rappresentanza con i quali valorizzare e tutelare i professionisti e le aziende della Comunicazione e del Management.

Dialogo sì, provocazioni anche no.

ReteCoM e il mondo della Comunicazione chiedono da sempre un Tavolo Tecnico permanente alle Istituzioni e sollecita un dialogo con il mondo i vertici degli enti di governo del giornalismo. Con un unico obiettivo: salvare le pensioni dei giornalisti e quelle dei comunicatori con un progetto che rispetti lo stato di diritto, i dettati della Costituzione e non sia un danno per tutti i cittadini italiani. Non è più tempo di privilegi per pochi e non è più ammissibile che esistano logiche di potere e di poltrone.

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